IL CORPO DI WILMA MONTESI FA TREMARE LA POLITICA

Mattina dell’11 aprile 1953, Torvaianica, una località sul litorale romano. Un muratore approfitta della giornata tiepida e del panorama marino per fare colazione sulla spiaggia, ma la fame gli passa subito quando scorge un corpo femminile disteso davanti a sé. È privo di calze e reggicalze, e con la testa parzialmente immersa nell’acqua. Appartiene a Wilma Montesi, una ventunenne che manca da casa da un giorno e mezzo.
Figlia di un falegname, Wilma è considerata bellissima per gli standard dell’epoca di Sophia Loren e di Gina Lollobrigida, secondo i quali una ragazza deve essere un po’ in carne. Anche Wilma aspira a diventare attrice e, del resto, Cinecittà è lì vicino. Ma non scalpita e, comunque, tra breve sposerà il fidanzato, che fa l’agente di pubblica sicurezza: se il cinema non la vorrà, se ne farà una ragione. In fondo Wilma, con la sua aria di ragazza acqua e sapone, conduce una vita semplice e normale come quella di tantissime altre giovani della capitale. Anche per questo il mistero della sua scomparsa appassiona da subito milioni di italiani.

Wilma Montesi
Attraverso le indagini si scopre che Wilma Montesi, la sera del 9 settembre di quel lontano 1953, ha preso il treno per Ostia senza avvisare la famiglia. E nessuno, d’altronde, ha la delicatezza di comunicare la morte della ragazza ai familiari, che l’apprendono dai giornali. Interrogata, la madre giura che per nessuna ragione la figlia si sarebbe levata il reggicalze di sua spontanea volontà: «Ci può essere solo una spiegazione», dice la donna in lacrime, «che sia svenuta per lo spavento davanti a un malintenzionato. Di ciò avrebbe approfittato l’aggressore, togliendole l’indumento per violentarla».
La sorella spiega che Wilma aveva un eczema al tallone e forse cercava di alleviarne il bruciore immergendo il piede nell’acqua salata. I medici che esaminano il corpo della vittima avvalorano questa ipotesi, spiegando le cause della morte di Wilma Montesi: «La giovane», dice uno di loro, «è svenuta per un malore non meglio identificato mentre faceva un pediluvio e, cadendo nell’acqua, è annegata. La corrente marina può aver poi trascinato il corpo per venti chilometri, da Ostia a Torvaianica, anche se l’acqua trovata nei polmoni è poca». «Nessuno pensi», aggiunge un altro medico, «che sia stata violentata perché è ancora vergine».
Di certo si tratta di una morte alquanto bizzarra, basata su una premessa poco credibile: quale ragazza va al mare da sola di sera, quando, non avendo impegni di lavoro, avrebbe potuto andarci di mattina? Comunque, per la polizia il caso è subito chiuso. I giornali, invece, sono pieni di dubbi. Il primo ad aprire le ostilità è Il Roma di Napoli, di ispirazione monarchica, secondo il quale Wilma Montesi sarebbe stata uccisa da alcuni personaggi della politica che si vuole proteggere. Bisogna tenere presente che nel 1953 il partito al potere è la Democrazia Cristiana, mentre la principale forza d’opposizione è rappresentata dal Partito Comunista Italiano. Ed è proprio un giornale vicino al Pci a parlare per primo di un misterioso “biondino” che avrebbe potuto dire molte cose sulla fine della giovane Montesi.
Il “biondino” in questione, si scoprirà pochi giorni dopo, è Piero Piccioni, classe 1921, noto musicista jazz della radio (all’epoca esiste solo quella pubblica e la televisione non ha ancora iniziato le trasmissioni) conosciuto con il nome d’arte di Piero Morgan. È fidanzato con la famosa attrice Alida Valli e, soprattutto, figlio di Attilio Piccioni. Un nome che fa tremare i polsi perché si tratta del ministro degli Esteri, vicepresidente del Consiglio e successore designato di Alcide De Gasperi alla guida della Democrazia Cristiana, e quindi del governo. Piero Piccioni, il “biondino”, cade dalle nuvole, non sa nulla di questa storia. Il giornalista che l’ha tirato in ballo, accusato di aver fatto del puro sensazionalismo, è costretto a smentire quanto aveva affermato. Non è vero che il giovane è indagato, ammette sul proprio giornale, scusandosi.

L’attrice Alida Valli
Lo scandalo sembra spegnersi, ma si ravviva a ottobre, quando Silvano Muto, il direttore del periodico scandalistico Attualità, scrive un articolo su Adriana Bisaccia, un’attrice ventitreenne, o meglio aspirante attrice, perché il suo lavoro vero è quello di dattilografa. La giovane donna racconta di aver partecipato con Wilma a un’orgia a Capocolla. Adriana spiega che al festino, dove erano presenti rampolli della nobiltà e figli di politici, Wilma avrebbe preso un cocktail di droga e alcol che l’ha uccisa per overdose. I partecipanti, a quel punto, avrebbero trasportato il suo corpo nella spiaggia di Torvaianica, per evitare che qualcuno lo collegasse a loro. Adriana indica Piero Piccioni come responsabile della morte di Wilma e accusa di complicità il proprietario della villa, dove si sarebbe svolto il festino, il marchese Ugo Montagna.
Entra in gioco un’altra donna, Anna Maria Moneta Caglio, soprannominata Cigno Nero per il lungo collo e l’abitudine di vestirsi di scuro, figlia di un famoso notaio milanese e pure lei desiderosa di sfondare nel cinema. Anna Maria, fidanzata del marchese Montagna, racconta di essersi imbattuta in una rivale in amore: Wilma Montesi in persona. Montagna l’avrebbe tradita con lei.
Non è tutto, la Caglio conferma le dichiarazioni di Adriana sul festino finito male, non per avervi partecipato, ma per averne sentito parlare fin nei dettagli dal fidanzato traditore. Sostiene di non volersi vendicare dell’ex, ma afferma che nella villa di Capocotta si sarebbero tenuti davvero festini a base di sesso e droga. Il marchese Ugo Montagna, amico personale del capo della polizia Tommaso Pavone, sarebbe il capo della banda che procurava la droga: “Wilma Montesi, amica sia di Montagna sia di Piccioni, è morta durante uno di quei festini”, conclude il Cigno Nero, “responsabile della sua morte è Piero Piccioni”. Scrive tutto questo in un documento che invia ad Amintore Fanfani, leader emergente della Democrazia Cristiana. Fanfani prende molto sul serio la lettera e, facendo pressioni sul ministero dell’Interno, chiede un intervento delle forze di polizia per chiarire la situazione. Ci vuole poco perché anche queste nuove notizie esplosive vengano divulgate dalla stampa.
Si scoprono cose interessanti sul conto di Ugo Montagna, proprietario della villa del supposto festino. Intanto non è affatto marchese, e da un rapporto dei carabinieri del 1941 risulta che era «uso dare convegni a donne di dubbia moralità allo scopo di soddisfare il piacere di personalità del mondo politico». Era stato agente dell’Ovra, il servizio segreto fascista e poi informatore degli occupanti nazisti. Sfruttando i contatti che si era procurato in quegli anni bui, Montagna si sarebbe rivolto a Tommaso Pavone, l’attuale capo della polizia, per fargli chiudere subito il caso Montesi. In Parlamento l’opposizione esige le dimissioni di Pavone, ottenendole. L’indagine viene riaperta dal nuovo capo della polizia.
A quasi un anno dalla morte, la salma di Wilma Montesi viene riesumata e sottoposta a una nuova autopsia. Si scopre della sabbia nelle parti intime, cosa che, secondo alcuni esperti, poteva capitare solo dopo un rapporto sessuale sulla spiaggia. Ma niente tracce di droghe, nessuna spiegazione plausibile per una morte diversa dell’annegamento casuale. Piero Piccioni e il falso marchese Ugo Montagna vengono comunque arrestati, il primo con l’accusa di omicidio colposo e detenzione di stupefacenti, il secondo per favoreggiamento. Dopo sessanta giorni vengono rilasciati. Altri nove presunti partecipanti al festino vengono imputati per reati minori.
Per lo scandalo, Attilio Piccioni, il prestigioso uomo politico, si dimette da ministro e da tutte le cariche nel partito. La sua carriera, fino a quel momento irresistibile, è distrutta per sempre. A capo della Democrazia Cristiana viene eletto a sorpresa Amintore Fanfani. Il caso Montesi cambia la storia italiana, mandando al potere una nuova generazione di politici democristiani.
Il processo inizia nel 1957 nel tribunale di Venezia, forse per evitare problemi d’ordine pubblico a Roma. Tutti gli accusati negano di avere partecipato al festino di cui tanto si è parlato: «La signorina Montesi non l’avevo mai vista in faccia», sostiene Piero Piccioni. Alida Valli garantisce di essere stata, quella sera, a Ravello insieme con lui, che non poteva muoversi per un forte mal di gola. Circostanza confermata da altri testimoni.
Il tribunale riconosce tutti gli imputati innocenti, anche perché i confusionari accusatori continuano a smentirsi a vicenda e a ritrattare per poi confermare ancora. Anche Tommaso Pavone, capo della polizia in pensione, viene scagionato dall’accusa di aver coperto l’omicidio.
A questo punto, tocca ai calunniatori essere processati: Silvano Muto, il direttore del giornale scandalistico Attualità, e le due giovani aspiranti attrici, Adriana Bisaccia e Anna Maria Moneta Caglio. Muto e la Caglio si beccano due anni, la Bisaccia dieci mesi, ma non faranno un solo giorno di prigione. È la fine della pacchia per i giornali, che a ogni colpo di scena avevano aumentato le copie vendute dal 50 al 200 per cento.
Le conseguenze politiche, malgrado l’assoluzione, sono gravi per la Democrazia Cristiana, dal momento che il figlio di uno dei suoi massimi esponenti è stato sospettato di partecipare a festini. Ma non si compiace il Partito Comunista, perché anche uno dei suoi uomini più in vista, l’avvocato Giuseppe Sotgiu, difensore di Silvano Muto e futuro principe del foro, viene fotografato mentre entra in un bordello con la moglie. In quella sede, la signora avrebbe avuto rapporti con alcuni giovani, tra cui un minorenne: fatto, quest’ultimo, che produrrà strascichi giudiziari.
A Piero Piccioni va meglio che al padre. Dopo il processo, come musicista incontrerà un successo crescente scrivendo le colonne sonore di circa duecento film. Ricordiamo, tra quelli interpretati da Alberto Sordi, un titolo per tutti: Bello, onesto, emigrato in Australia, sposerebbe compaesana illibata. Il musicista si è spento nel 2004.
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