IL WESTERN FRANCOFONO SA DI SPAGHETTI

WESTERN FRANCOFONO

Nel fumetto europeo il western francofono è secondo solo a quello italiano, ma è anche quello che più si ispira alla nostra tradizione del western spaghetti.
“Il western non è dell’America è dell’anima”, si diceva negli anni sessanta per giustificare lo scippo culturale che Sergio Leone e soci avevano perpetrato. “Né storia né sequenze, solo ammazzamenti”, cosi Burt Kennedy illustrava al famoso collega regista John Ford il nuovo genere. In modo del tutto superficiale e forse con una malcelata punta di invidia.
In totale, tra il 1964 e il 1969 in Europa sono stati girati circa 400 western. La grande maggioranza in Italia, ovviamente.

 

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Una tavola di Blueberry disegnata da Gir/Jean Giraud/Moebius

 

Il fumetto europeo ha scoperto il western precocemente, sin dagli anni trenta e quaranta. La nazione che si è mostrata più prolifica è senza dubbio l’Italia, se si pensa che Tex Willer è da decenni il fumetto più venduto e che la Bonelli deve al western la sua stessa esistenza.
Anche i Paesi di lingua francese hanno prodotto numerosi western di qualità, che a un certo a punto, a differenza dei fumetti italiani (con l’eccezione di El Gringo di Max Bunker e Paolo Piffarerio), si sono lasciati via via influenzare dal genere lanciato da Sergio Leone.

 

Jerry Spring (1954)

L’eroe di Jije fa il suo debutto il 4 marzo 1954, sul numero 829 del settimanale Le Journal de Spirou. Jerry Spring, il primo western francofono, nasce in un’epoca dove questo genere al cinema era capace di sfornare capolavori come Shane (1953), Johnny Guitar (1954) e Sentieri Selvaggi (1956). Il primo Jerry Spring appare come un western completamente allineato ai codici estetici americani.

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Però il personaggio è decisamente unidimensionale, fortemente impregnato di un’etica che potremmo definire senz’altro di matrice cattolica, sicuro di sé e dei suoi valori morali che sembrano non vacillare mai. A metà degli anni sessanta, però, sotto l’influenza degli spaghetti western, l’aspetto di prode boy scout mette in imbarazzo persino il suo creatore.

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Ecco allora che si verifica un cambiamento nel tono delle storie, che diventano un po’ più ciniche e violente. Questa trasformazione si riflette anche sulla grafica del personaggio: Jerry non indossa più capi appena lavati e stirati, e sembra avere dimenticato come si utilizza il rasoio. In totale sono usciti 22 episodi.

 

Blueberry (1963)

Apparso per la prima volta sul numero 210 del settimanale Pilote, il 31 ottobre del 1963, Blueberry di Jean-Michel Charlier e Gir (Jean Giraud) per le sue caratteristiche si presta a diventare un eroe del tipo spaghetti western. Se il tratto grafico dei primi numeri è quasi indistinguibile da quello di Jije, Mike Steve Donovan detto Blueberry non assomiglia per niente a Jerry Spring. Già dal primo numero ci viene presentato come un affascinante mascalzone dal naso rotto, ispirato fisicamente all’attore francese Jean-Paul Belmondo, che lo caratterizza imprimendogli le stigmate del ribelle.

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Coraggioso e spiritoso, incline a usare la testa come i pugni, Blueberry ha vizi e difetti che lo definiscono tanto quanto le sue virtù. “Bevitore, giocatore, guascone, indisciplinato, canaglia, contestatore, insolente…”, si legge nei rapporti dei suoi superiori.

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Le storie all’inizio sono abbastanza convenzionali. Solo a partire dal ciclo della “Miniera del tedesco”, del 1969, influenzate anche dai film di Sergio Leone, iniziano a spiccare il volo. Alla morte di Charlier, avvenuta nel 1989, Giraud inizia a occuparsi anche dei testi. Dall’albo 23, “Arizona Love”, fino al 28.

 

Comanche (1969)

Con Comanche il western francofono raggiunge la piena maturità. Sul numero 1103 del settimanale Tintin, uscito il 18 dicembre 1969, per i testi di Greg e i disegni di Hermann ci viene presentato un nuovo personaggio: Red Dust. Un cowboy orgoglioso che si muove in un mondo selvaggio ormai inesorabilmente superato dalla storia. Nostalgicamente aggrappato alla sua mitologia come i personaggi di C’era una volta il West. Si tratta di un West violento, popolato da uomini che assomigliano a belve, dove non c’è spazio per gli eroi ma solo per tormentati antieroi che vagano tra ricerca di vendetta, sete di oro e violenza catartica.

 

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In questa luce crepuscolare il genere ci propone protagonisti ambivalenti, senza moralità, sbandati di fronte agli eventi di un mondo in cui non c’è più posto per loro e dove la brutalità sembra spesso l’unica via d’uscita. Funzionale alla riuscita della serie è il disegno “sporco” di Hermann. Il quale riesce a riprodurre alla perfezione le tensioni tra i personaggi e sviluppa una galleria di ritratti tipici del suo universo. Personaggi sudati, brutti, vili e flaccidi, dalle mascelle rotte e dai colli spezzati.

Le loups
Questa concezione trova il suo apice nella trilogia composta dagli episodi “I lupi del Wyoming “, “Cielo rosso su Laramie” e “Deserto senza luce”. Red Dust che uccide Russ Dobbs disarmato e in mutande è un idea di Hermann. Una cosa troppo fuori dalle righe per una serie rivolta ai ragazzi, che ha portato parecchie critiche.
Hermann lascia la serie con il numero 10, “Il corpo di Algernon Brown”. Gli subentra ai disegni Michel Rouge fino al quindicesimo albo.

 

Buddy Longway (1972)

Scritto e disegnato dallo svizzero Derib, Buddy Longway appare per la prima volta su Tintin Selection n. 16 del terzo trimestre 1972. Le storie di questo indomito trapper si ispirano a un certo cinema western “revisionista” americano. A Soldato blu, per la rivalutazione della figura del nativo americano, e a Corvo rosso non avrai il mio scalpo per l’intenso rapporto con la natura incontaminata.

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Inoltre l’eroe invecchia numero dopo numero. Sin dal primo episodio Derib trasgredisce a una delle regole che governano il mondo della letteratura disegnata francofona e non solo, ovvero il celibato dei protagonisti. Infatti, questo episodio racconta dell’incontro del trapper Buddy con l’indiana Chinook e del loro matrimonio.

 

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Alla fine del secondo album (“Il nemico”), Chinook annuncia a Buddy che è incinta, introducendo così una forma inedita di suspense: il lettore si domanda quale sarà il sesso e il destino del bambino. Jérémie nasce nel terzo album, “Tre uomini sono passati”, nelle prime tre pagine raggiunge l’età di sette anni. Nel sesto album, “L’Orignal”, incontriamo Kathleen, la sorella minore di Jeremiah, che ha circa cinque anni. In totale sono usciti 20 episodi

 

Jonathan Cartland (1974)

Jonathan Cartland è scritto da una donna. Si tratta di Laurence Harlé (1949-2005), atipica scrittrice di fumetti, giornalista, costumista di film e commedie musicali. Aveva una grande passione per la storia delle culture indiane negli Stati Uniti. Il personaggio è apparso per la prima volta sulla rivista Lucky Luke numero 4, nel giugno 1974, per i disegni ancora non del tutto maturi di Michel Blanc-Dumont.

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Già nel corso del secondo episodio della serie l’artista trova il suo stile definitivo. Inizia a riempire le pagine con vignette panoramiche orizzontali e verticali, piene di paesaggi magnificamente descritti e città di confine scrupolosamente dettagliate. Come Buddy Longway, anche Cartland è un trapper amico del popolo indiano. Tanto amico che sposa Neve del Mattino, un’indiana degli Oglala, con la quale ha un figlio. Mentre il trapper sta cacciando, la sua famiglia viene attaccata da una tribù indiana nemica e la donna muore. Cartland consegna il figlio ai parenti indiani e inizia un lungo percorso attraverso il dolore e l’alcolismo.

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La serie può essere divisa in tre fasi. La prima, che raggruppa i primi due album, si concentra sulla presentazione dei personaggi principali e la descrizione dell’ambiente. La seconda, che comprende i sei episodi successivi, ci introduce attraverso i viaggi di Cartland a tematiche inconsuete per la tradizione western, come l’intolleranza religiosa, l’esclusione sociale, il maschilismo, l’avidità e il materialismo sfrenato. Infine nella terza fase, negli ultimi due album, affiora una certa stanchezza nelle trame e una ripetitività negli argomenti. In totale sono usciti 10 episodi.

 

Durango (1981)

Durango è una serie a fumetti creata dal disegnatore belga Yves Swolfs, dichiaratamente ispirata a quel gioiello dello spaghetti western che è il film del 1968 Il grande silenzio di Sergio Corbucci. Il personaggio di Durango è disegnato su Silenzio, il pistolero interpretato da Jean-Louis Trintignant, chiamato così perché “dopo che passa lui c’è solo il silenzio della morte”. Ma anche perché da bambino gli sono state recise le corde vocali, affinché non raccontasse come i genitori furono uccisi a tradimento da tre bounty killer.

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Anche nel fumetto, come negli spaghetti western, viene data molta importanza alle armi. Durango all’inizio è armato con una Colt Single Action Army. I suoi sfortunati avversari hanno Colt Peacemaker, Remington 1875 e Smith & Wesson n. 3, ma anche fucili da addestramento, fucili Winchester 1886, 1892 o 1894 e Carabine Colt Lightning.

 

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Nel terzo albo, “Trappola per un killer”, il protagonista, perso l’uso della mano destra dopo essere stato ferito, acquista una delle prime pistole automatiche, la Mauser C96 (la stessa del film di Corbucci), da utilizzare con la mano sinistra. Il venditore gli dice che “la pistola apparteneva a un pistolero silenzioso, abbattuto in un angolo sperduto dello Utah lo scorso inverno”. Un’ennesima citazione che sancisce il passaggio di consegne. Con l’albo 14 Swolf lascia le matite a Thierry Girod, continuando a scrivere le storie che a oggi hanno raggiunto le 17 uscite.

 

La stella del deserto (1996)

Washington, 1870. Matt Montgomery, un uomo con la faccia di Sean Connery che lavora al dipartimento della Difesa, rincasando trova la figlia e la moglie violentate e uccise con uno strano simbolo indiano inciso con il coltello sulla pelle: una stella del deserto. Chi ha compiuto questa strage e soprattutto perché? Le inattese risposte si trovano nel West.

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Un West selvaggio e non ancora completamente civilizzato, che deve essere attraversato da un lungo e doloroso cammino di vendetta. La storia prende forma in sudici saloon fumosi, gremiti di prostitute e grezzi omaccioni che indossano lunghi spolverini usciti da “C’era una volta il West”.

 

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Un fumetto pubblicato a partire dal 1996, scritto da Stephen Desberg in stile moderno e con un linguaggio innovativo (a tratti scurrile) e splendidamente disegnato da Enrico Marini. Il tratto nervoso e carico di neri dell’italosvizzero rende al meglio questo western emozionante e feroce. Dove non esistono eroi, dove tutti condividono una parte di colpa e le azioni sembrano dettate da un oscuro presagio di morte. In totale sono usciti 4 episodi.

 

Chinaman (1997)

Come racconta Sergio Leone in C’era una volta il West, l’epopea dei pionieri si conclude con l’arrivo della ferrovia. La costruzione della rete ferroviaria negli Stati Uniti è stato un affare drammatico che ha messo lo Stato contro i latifondisti, la modernità contro un passato rurale. I treni devono collegare tra loro territori lontani e impervi. Molti chilometri di questa rete sono stati costruiti dai cinesi, senza i quali la Transcontinental Railroad (che unisce gli Stati della costa atlantica con la California sull’oceano Pacifico) non avrebbe visto la luce.
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I cinesi costano poco e lavorano molto. Non sono sindacalizzati, di loro si dice che “non si stancano mai” e che “sono docili come agnellini”. Per molti americani, che hanno assistito al crollo del sistema schiavistico durante la Guerra di secessione, sono degni sostituti degli schiavi neri, anzi, meno riottosi e più obbedienti. Proprio a questo periodo fa riferimento la serie Chinaman realizzata dalla coppia Serge Le Tendre (testi) e Olivier TaDuc (disegni) a partire da 1997.
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Il protagonista approda a San Francisco su un veliero carico di immigrati, ma non si tratta di un normale migrante in cerca di lavoro bensì di un mercenario al servizio delle triadi cinesi in missione di morte. Il fumetto è una sorta di manga-western che risente molto dell’iconografia orientale. Dove i duelli non avvengono con le pistole, ma all’arma bianca o tramite sfide di arti marziali secondo un’estetica tarantiniana. In totale sono usciti 9 episodi.

 

Bouncer (2001)

Nella sua esperienza cinematografica Alejandro Jodorowsky, il creatore di Bouncer, si era già misurato con il western. Nel 1970 aveva diretto El Topo, un cult mistico e surreale che fonde situazioni alla Buñuel con visioni felliniane e atmosfere alla Sergio Leone. Un film che assomiglia a un trip lisergico, che vive di momenti allucinatori ed esaltazioni orgiastiche, che mette in mostra una fauna umana violenta e cenciosa. Freak e rivoltante, iperbole di un’umanità alla deriva.
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A distanza di anni, nel 2001, torna con questo romantico “buttafuori” monco, che cerca di mantenere un minimo di ordine in un saloon chiamato Inferno. L’ambientazione western serve a Jodorowsky per mettere in scena le sue rappresentazioni simboliche. Tre fratelli, figli di una prostituta, ognuno perderà qualcosa. Chi un occhio, chi un braccio e chi il senno. Tutti e tre alla ricerca di un gigantesco diamante chiamato l’Occhio di Caino. Una storia di morte e di vendetta, e di un’iniziazione alla vita che passa per un viaggio in compagnia del peyote.

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Alejandro Jodorowsky, cileno figlio di un ebreo ucraino, ha una scrittura fumettistica non convenzionale. Non rispetta le regole, non si affida ai cliché, riuscendo per questo a essere sempre originale. Francois Boucq disegna questo “western shakespeariano” con un tratto classico e pulito, vicinissimo al Giraud di Blueberry. Con il numero 10, dopo l‘abbandono di Jodorowsky, Boucq si occupa anche dei testi. In totale sono usciti 11 episodi.

 

Undertaker (2015)

Originale western francofono scritto da Xavier Dorison e disegnato da Ralph Meyer a partire dal 2015, narra le avventure di Jonas Crow, un becchino molto furbo che va in giro per il West a seppellire i morti. La storia inizia con alcuni avvoltoi che stanno banchettando sulla carcassa di un cavallo morto sotto il sole. Undertaker li uccide tutti meno uno, che porta con sé.

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Una introduzione ai toni neri della storia, che infatti presenta una nutrita galleria di personaggi dalle tinte piuttosto fosche. Uomini dalle gambe amputate, servitori che sputano sulle torte, ricchi sfondati che ingoiano pepite d‘oro, cowboy dalle mani spezzate, tipacci che hanno perso le dita di una mano in guerra: non è certo la varietà a mancare. Ci sono alcuni topos classici, come la sparatoria sotto il temporale, la rissa nel saloon e l’attraversamento di un ponte sospeso con l’inseguimento di un gruppo di minatori a cavallo, ma il tutto è rivisto sotto una luce moderna capace di donare nuova vita a situazioni ampiamente sfruttate.

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Il disegno è bello e funzionale alla storia, anche se non si distingue per originalità essendo l‘ennesimo aggiornamento di uno stile che il grande Jean Giraud ha reso paradigmatico su Blueberry. Con il quale ancora oggi, volenti o nolenti, chiunque disegni fumetti western in Francia sembra obbligato a farci i conti. In totale sono usciti 4 episodi ed è in lavorazione il quinto.

 

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