THE BEST DEL 2017 SECONDO GIORNALE POP

Tutto è cominciato con un annuncio di Marcello Toninelli postato su “Fumettoso”, il nostro gruppo di Facebook.
Marcello chiedeva ai collaboratori di Giornale Pop, che ormai non sappiamo più dove iniziano e dove finiscono, di elencare tre fumetti, oppure tre film o tre romanzi, a loro parere più significativi del 2017 per organizzare una “serata degli Oscar” di Giornale POP.
L’annuncio è arrivato un po’ tardi, così alcuni non l’hanno visto, altri l’hanno visto ma non hanno trovato il tempo per scrivere (siamo quasi tutti professionisti in qualcosa, ma qui collaboriamo solo per hobby) e altri ancora si sono rifiutati perché gli venivano in mente, al massimo, solo un paio fumetti da salvare.
“Alcuni dei fumetti che vedo elencati qui sono buoni solo per allineare le gambe dei vecchi tavoli”, dice per esempio Sauro Pennacchioli con la sua consueta generosità.
Un nostro collaboratore, infine, ha mandato il testo con una mail priva di nome e cognome, così non sappiamo chi sia e quindi non lo pubblichiamo.
In ogni caso, questi sono i gusti degli autori di Giornale POP. Tra l’altro, per vedere cosa gli stessi hanno scritto o disegnato finora nelle pagine del giornale basta cliccare sui nomi: come per magia apparirà l’elenco completo dei loro splendidi contributi.
Cogliamo l’occasione per augurare a tutti uno splendido 2018… a proposito, ci prendiamo una settimana di vacanza anche noi: torniamo domenica prossima (questa settimana riproporremo qualche vecchio articolo, ma sempre attuale, e che forse vi era sfuggito).
Film
Allied – Un’ombra nascosta (Allied), di Robert Zemeckis
Con il passare del tempo, Zemeckis pare voler forzare i limiti realistici anche quando certe vicende li imporrebbero. Cosicché le sequenze migliori di un film ben calibrato e che funziona a tutti i livelli sono il risultato di un’astrattezza visionaria che può riuscire solo a pochi registi.
Elle (id.), di Paul Verhoeven
Verhoeven allestisce un teatro della crudeltà con innegabile coraggio. Forse mette troppa carne al fuoco ed esagera con le provocazioni. Ma alla fine, girando e montando con rara perizia, amalgama magistralmente il tutto.
La cura dal benessere (A Cure for Wellness), di Gore Verbinski
Con questo horror cupo e onirico Verbinski dà l’impressione di imporsi, senza supponenza, la libertà espressiva anche all’interno di un cinema spettacolare e che piaccia al pubblico. Purtroppo La cura dal benessere, non privo di difetti e lungaggini, è stato un disastro al botteghino, ma anche il film americano più sottovalutato del 2017.
Fumetti
Popeye di Elzie C. Segar
Imperdibile la ristampa proposta dalla Gazzetta dello Sport che comprende tutto Segar e parte della produzione di Sagendorf e Zaboly, pure se l’ultimo numero è stato stampato in maniera difettosa (mancano le prime 32 pagine) e ho dovuto renderlo.
Super Eroi Classic di Stan Lee, Jack Kirby, Steve Ditko e altri
Questa altra serie allegata alla Gazzetta mi ha riportato ai tempi dello sbarco Marvel in Italia grazie all’Editoriale Corno. Quando, sognante ragazzino di 11 anni, attendevo L’Uomo Ragno e Devil in edicola ogni 14 giorni.
Macerie prime, Zerocalcare
Lo devo ancora leggere, ma sono sicuro che mi sorprenderà come le opere precedenti di questo autore. Considero Zerocalcare imperdibile.
Film
Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone
Lo metto all’inizio dei tre film del mio elenco proprio nel senso di “primo posto”. Questo cartone animato di produzione italiana (non seguo molto il cinema straniero) meriterebbe l’Oscar.
I’M – Infinita come lo spazio di Anne-Riitta Ciccone
Un fantasy permeato di realismo che affronta il tema del bullismo scolastico e dei sogni da realizzare, con tanta musica rock e una straordinaria Bobulova.
A Ciambra di Jonas Carpignano
Il film racconta una storia marginale con grande senso del cinema.
Salverei anche due fiction televisive che sono quasi cinema, sicuramente meglio di tante pellicole dozzinali: Sirene di Davide Marengo e Di padre in figlia di Riccardo Milani.
Romanzi
Eppure cadiamo felici di Enrico Galiano
È la storia di due adolescenti, ciascuno con le proprie “stranezze”, che finiscono per incrociare le strade in una narrazione fluida, capace di tenere con il fiato sospeso e di raccontare come talvolta anche le intese migliori riservino momenti di contrasto e parole non dette. Destinate, però, a trovare un definitivo punto di contatto.
Questo libro cattura l’attenzione sin dalla prima pagina: la prosa è semplice, ma ha il merito di tenere in tensione il lettore lungo una storia che in alcuni tratti può assomigliare a un giallo, riservando non poche sorprese. C’è dentro tanto mistero, ci si sente disorientati poichè nulla è come sembra.
Dà dove la vita è perfetta di Silvia Avallone
Un quartiere periferico di Bologna fa da sfondo a una serie di storie, ognuna difficile e tormentata. Personaggi diversi si muovono all’interno di questo libro alla ricerca di una propria dimensione, in una vita che appare sempre fragile e ingiusta. I rapporti sono tesi, conflittuali: il pathos che ne deriva è intenso perché in ballo, per ognuno, c’è la ricerca della serenità.
L’ultimo lavoro della Avallone si muove con delicatezza tra storie di sofferenza, emarginazione e frustrazione. Le immagini sono forti, a tratti il racconto è crudo, ma l’intera narrazione è attraversata da una dolcezza di fondo che accompagna per mano il lettore fino alla fine. Non mancano, inoltre, gli spunti per riflettere sui rapporti madre-figlia, sulle relazioni interpersonali e sulla difficoltà di diventare genitori.
Magari domani resto di Lorenzo Marone
Napoli, con i suoi Quartieri Spagnoli, sono il palcoscenico sul quale si dipanano le vicende di Luce, giovane avvocato, a cui si affiancano personaggi di rara bellezza come l’anziano don Vittorio. Proprio dalla frequentazione di questo signore saggio e dall’incontro con un bambino e la sua famiglia, Luce farà chiarezza nella propria vita fino ad allora senza punti di riferimento.
La scrittura di Marone è lineare, chiara e pulita. La sua capacità è quella di scavare in profondità nell’animo umano, mettendone in risalto le mille sfaccettature. In molti passaggi la sua prosa diventa quasi poesia, con immagini, colori e sensazioni cui è difficile resistere. La storia della protagonista diventa la nostra: le sue debolezze sono le nostre. Ma esattamente come lei, capiamo che non tutto il male viene per nuocere. Questo libro è un viaggio introspettivo bello e profondo.
Fumetti
Mercurio Loi di Alessandro Bilotta e disegnatori vari
Una serie che inizia quest’anno a maggio. Mercurio Loi è un po’ Batman e un po’ Sherlock Holmes, ma in realtà la serie, a partire dall’ambientazione nella Roma ottocentesca del Papa Re è un unicum. Pochissima vera azione, rari i confronti fisici tra i personaggi, tanta introspezione e voglia di esplorare le potenzialità della narrazione.
Rat-Man di Leo Ortolani
Una serie che termina quest’anno. Pubblicato in edicola dal 1997 (l’autoproduzione era iniziata due anni prima, mentre il personaggio addirittura risale al 1989), Rat-Man è finita a settembre per volontà dell’autore. Solo perché era finita la storia che voleva raccontare, non per scarse vendite: un unicum nel fumetto italiano, ed evento raro in quello occidentale in assoluto.
Come Rat-Man, flettiamo i muscoli e siamo nel vuoto.
Tex di autori vari
Una serie eterna. Nel 2018 compirà settant’anni. Non avrà più tutti i lettori più di un tempo, ma rimane di gran lunga il fumetto italiano più venduto (l’Indagatore dell’Incubo da tempo non è più un rivale plausibile). Il suo supervisore-sceneggiatore Mauro Boselli lo ha fatto ringiovanire in alcune belle storie sul suo passato: lo abbiamo visto ragazzo nel Texone “Il magnifico fuorilegge” (disegni di Stefano Andreucci), bambino nel Maxi Tex (disegni di Pasquale Del Vecchio), mentre nella serie regolare è tornata, disegnata da Alessandro Piccinelli, la vecchia fiamma Lupe.
Il tizzone d’inferno ci seppellirà tutti.
Romanzi
Sete, Jo Nesbø
Dopo aver massacrato fisicamente e mentalmente il suo personaggio fin quasi alla distruzione, nel suo precedente romanzo lo scrittore norvegese l’aveva rimesso in piedi e stavolta ce lo presenta in veste di docente della scuola di polizia di Oslo. Naturalmente il crimine e l’orrore tornano a chiamarlo e Harry Hole non si nega. Questa volta la soluzione è forse meno sorprendente del solito, ma continua a valere la lettura.
Ferro e sangue, Liza Marklund
Per l’ultimo capitolo della serie, la scrittrice svedese chiude il cerchio portando Annika Bengtzon a occuparsi di nuovo del caso della spogliarellista uccisa nel primo tomo delle vicende della giornalista-investigatrice, e il cui colpevole era rimasto impunito. Piacevole, appassionante, coinvolgente come sempre. E, attingendo alla saggistica sul tema, la Marklund si infila nel dibattito sulla crisi dei giornali con considerazioni non banali.
Eymerich risorge, Valerio Evangelisti
Lo scrittore bolognese aveva ucciso il suo antipatico-irresistibile inquisitore nel precedente volume ma, come un novello Sherlock Holmes, Nicholas Eymerich da Gerona è costretto a tornare dalla morte (a furor di popolo?). Chi ha seguito fin qui il fortunato personaggio di Evangelisti, nato sulle pagine di Urania, non può che tuffarsi nella lettura di questo undicesimo volume della serie.
Fumetti
Popeye, Elzie C. Segar
A distanza di quasi un secolo l’umorismo dell’autore statunitense continua a funzionare alla grande. Applausi alla Gazzetta dello Sport per aver portato in edicola questa bella ed economica riedizione cronologicamente completa e filologicamente accurata, a dimostrazione di come il frutto del genio non marcisca mai.
Cocco Bill e il meglio di Jacovitti, Jacovitti
Onore al merito della Hachette, che ha trovato il modo di raccogliere tutte le avventure di Cocco Bill e una esaustiva scelta degli altri personaggi creati dal più folle, geniale, originale e divertente fumettista umoristico italiano in una collana di eleganti (anche se non economicissimi) cartonati. A corredo delle storie (con qua e là qualche deprecabile errore di montaggio) i ricchi e preziosi redazionali dell’espertissimo Luca Boschi, che cura in contemporanea settimanalmente anche la collana Rcs dedicata a Popeye. Se non finisce alla neuro stavolta…
Parker, Darwin Cooke
Sulle orme di Eisner e Miller, il prematuramente scomparso fumettista statunitense prende i romanzi “neri” di Richard Stark (al secolo Donald Westlake) e li fa suoi con stile un po’ cartoonesco, ma quanto mai adeguato dimostrando grandissima abilità nell’amalgamare testo e disegno in un montaggio mai banale e sempre funzionale. Il romanzo prevale (come è giusto che sia) sul fumetto, ma il godimento è assicurato. Brava la Cosmo a raccogliere la serie in quattro svelti volumetti.
Fumetti
Fuggire. Memorie di un ostaggio di Guy Delisle
L’autore francocanadese dà alle stampe un altro grande esempio di graphic-journalism. Rendere graficamente avvincente la storia di un ostaggio che rimane per gran parte del tempo in una singola stanza era una bella scommessa. Vinta.
Black hammer di Jeff Lemire
Storia surreale e struggente nata dall’amore dell’autore per i supereroi della golden age che provvede a destrutturare posizionandoli in un mondo “altro”.
Quaderni giapponesi 2 di Igort
Il secondo volume dedicato al Giappone di Igort rappresenta un viaggio che va ancora più in profondità, dritto al cuore della cultura zen. Ma è anche un viaggio alla scoperta di se stessi.
Film
Alien: Covenant di Ridley Scott
Parafrasando il caro, vecchio Jeremy Clarckson, c’è chi dice che se si mette la radio su 88.4 Fm si riesca a captare le preghiere di Ridley Scott in pieno delirio mistico-religioso. Altri, invece, che il suo capezzolo abbia la forma di uno Xenomorfo. Io so soltanto che Scott s’è macchiato della colpa più grave di tutte in assoluto: nell’anno domini 2017 ha osato girare un film che non è un remake. Gravissimo signori. Gravissimo.
Per quanto mi riguarda, Alien: Covenant è stato uno dei migliori film dell’anno che sta per concludersi. Immagino tutti abbiano sentito i rumors riguardo un fantomatico Alien 5 diretto da Neill Blomkamp, no? Se fosse stato realizzato questo Alien 5, di che diavolo avrebbe dovuto parlare?
Alien è un franchise vecchio di quarant’anni, una carcassa che è stata spolpata fino all’osso. Pertanto oggi come si può anche solo sperare di sorprendere o spaventare il pubblico con una cosa del genere? Ciò che, personalmente, non mi è mai piaciuto di Alien “saga cinematografica” è la mancanza di una struttura orizzontale, un impianto narrativo solido che legasse insieme i film. Al contrario, gli unici sforzi fatti riguardano solo assurdi pretesti per giustificare e mettere in mostra la solita acchiapparella fra Ripley, una manciata di personaggi e gli alieni.
A conti fatti è per questo che ho apprezzato tantissimo sia il precedente Prometheus, che questo Alien: Covenant. Che potranno anche essere i film peggiori di questo mondo, ok? Sta di fatto che almeno lo sforzo, la volontà, di aggiungere qualcosa di nuovo nel tentativo di andare “oltre” è stato fatto. L’impegno nel cercare di dare uno spessore alla figura dello Xenomorfo, di creare una mitologia che lo sostenga, c’è stato. Questa è una cosa che può piacere come no, ovvio. Tuttavia, la realtà dei fatti è che Scott ha avuto le palle di rischiare e dire la sua con qualcosa di nuovo. Cercando (nel bene e nel male) di venir fuori dal solito film di mostri, piatto e blando in cui la saga si era trasformata. Avrebbe potuto rifilare per l’ennesima volta lo stesso pappone riscaldato, non l’ha fatto.
Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve
Interessante notare come il tempo cambi drasticamente le cose. Il romanzo originale di Philip K. Dick del 1962, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, da cui è stato tratto Blade Runner del 1982, ha poco da spartire con il film: per esempio, il Deckard del romanzo è inequivocabilmente umano. Il dubbio insinuato dal film nasce da un travisamento della trama. A voler essere precisi, il problema di Deckard nel libro è proprio la sua umanità.
A ogni modo, mentre il film era in lavorazione ci furono una valanga di casini. Tutti volevano il sangue di Ridley Scott. Dal produttore fino a Philip Dick, il quale lamentava il fatto che gli avessero stravolto la trama (si convinse in un secondo momento, riuscendo a vedere solo i primi venti minuti di girato prima di morire). Dopo aver sforato alla grandissima il budget, Blade Runner andò da schifo ai botteghini. Nonostante tutto, trentacinque anni dopo questo film è considerato uno dei capisaldi della fantascienza.
Quest’anno, è uscito dunque Blade Runner 2049 diretto da Denis Villeneuve. E l’ho trovato eccezionale. I motivi per cui il film mi sia piaciuto così tanto sono piuttosto vari. Volendo stringere, si riducono a due.
Come per Scott e i suoi Prometheus e Covenant, il regista avrebbe potuto giocarsela facile riproponendo per l’ennesima volta i soliti cliché. Invece ha avuto il coraggio di ampliare ed evolvere il mondo distopico mostrato nel film precedente. Dandogli così un suo carattere e una impronta distintiva.
La cosa sorprendente è un’altra. Come dicevo, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e Blade Runner sono due opere distinte. Vanno avanti condividendo a grandi linee lo stesso messaggio, tuttavia, si muovono e restano su binari paralleli. Blade Runner 2049, dal canto suo, non solo è riuscito a emergere come film dal carattere proprio, ma ponendosi come seguito delle vicende narrate nel film è riuscito a essere (in un certo modo) più fedele al romanzo originale.
(Chi ha letto il romanzo sa che il mondo immaginato da Dick era un deserto arido e sterile. Lo si vede nel film di Villeneuve, non in quello di Scott).
Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh
Agatha Christie è una scrittrice che mi piace particolarmente. Alcuni suoi romanzi, come Dieci piccoli indiani, Poirot a Styles Court e, appunto, Assassinio sull’Orient Express, sono fra i miei preferiti. Però, per quanto validi e appassionanti, per quanto il giallo (in tutte le sue sfumature) sia un genere pressoché intramontabile, c’è da tenere conto che quelle della Christie sono storie di quasi cent’anni. Quindi adattare un suo romanzo per il grande schermo richiede un certo lavoro nell’allineare tempi e ritmi narrativi così diversi.
Prendiamo Sherlock Holmes. Gli adattamenti delle storie dell’investigatore creato da Conan Doyle, tra film, parodie e serie tv saranno almeno un centinaio. Roba che te le tirano appresso a pochi cent la tonnellata. Per quanto tutti i film con Basil Rathbone mi piacciano, sono consapevole del fatto che sono produzioni antidiluviane: parliamo di fine anni quaranta. Cose simili difficilmente farebbero presa sul pubblico odierno, a meno che non ti chiami Guy Ritchi e assegni la parte di Sherlock Holmes a Robert Downey Jr. La versione di Ritchie del personaggio è un po’ come prendere un’auto d’epoca e sbatterle dentro il motore di una Bugatti Veyron. Ecco, una carretta che fa 400 km/h non è cosa che si vede tutti i giorni.
Ma ho apprezzato Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh (oltre a dirigere il film interpreta Hercule Poirot) perché s’è mantenuto su una via di mezzo. Conoscendo già la trama per via del romanzo, del film del 1974 di Sidney Lumet e del recente adattamento con David Suchet, il volto storico del Poirot televisivo, l’unica cosa che mi restava era vedere dove Branagh andasse a parare.
Da un lato, c’è da ammettere che questo nuovo adattamento è un tantino rigido. Quel taglio da pièce teatrale a volte risulta forzato. Così come forzato è il tentativo di dare una svecchiata al tutto nel tentativo di unire il classico al moderno. Una cosa che a volte funziona e altre no. Ciò non toglie che il film sia piuttosto riuscito. Anche perché o così oppure bisognava chiamare Robert Downey Jr. a fare Poirot.
Fumetti
Black Panther di Ta-Nehisi Coates e disegnatori vari
Serie Marvel osannata dalla critica e, almeno per i primi numeri, premiata dalle vendite. Le avventure di un re sospeso tra la tradizione culturale di Wakanda e la volontà di conquistare un ruolo internazionale. La dimostrazione che si può scrivere un fumetto politico non noioso.
The Legend of Wonder Woman di Renae De Liz
L’uscita cinematografica di Wonder Woman offre alla Dc Comics il pretesto per una rivisitazione in chiave femminile, ma senza gli eccessi di un femminismo deteriore, del mito di Diana, del primo impatto con la società degli uomini e della scoperta dell’amore.
Hangar 66 di Max Bertolini
Poteva essere un pastrocchio indecifrabile, questo progetto nato e cresciuto sul web. Mettere insieme le idee e i gusti di tanti “collaboratori” non deve essere stato facile per l’ottimo Bertolini. Il plot di partenza di un futuro post apocalittico non è una novità, ma la gestione non consolatoria della trama lo rende molto intrigante.