LO STRIPTEASE DEL FUMETTO NEI QUOTIDIANI

LO STRIPTEASE DEL FUMETTO NEI QUOTIDIANI

Il fumetto, come genere a se stante non più confuso con le semplici vignette, nasce nei supplementi domenicali dei quotidiani americani degli ultimissimi anni dell’ottocento, anche se nessuno sa esattamente in quale momento (ne ho parlato nell’articolo “Quando è nato il fumetto non si sa”).

L’inserto domenicale dei fumetti nei quotidiani americani (1948)

Le tavole a colori potevano occupare tutta la pagina, e all’epoca i quotidiani erano mediamente grandi il doppio di quelli di oggi. Ma solo dal 1906, grazie a Lyonel Feininger (come abbiamo visto en passant nell’articolo “L’estetica nazista”), la grandezza della pagina viene sfruttata per realizzare vignette spettacolari non più rinchiuse in rigide gabbie. Come anche nel pochissimo noto Explorigator di Harry Grant Dart del 1908. Uno dei primi fumetti con extraterrestri, in questo caso seleniti.


I marziani veri e propri li vediamo un anno dopo nei viaggetti di Nip e Tuck, di John Rea Neill. Lo stile è comico come in tutti i fumetti dei primi tempi.

Dall’inizio del novecento i fumetti compaiono con temi più adulti anche nei giorni feriali all’interno dei quotidiani (il supplemento domenicale è pensato soprattutto per i bambini). Naturalmente in bianco e nero come il resto del giornale. Il formato dei fumetti varia, ma in genere occupa spazi ampi.

In questa pagina del “Chicago Examinier” del 1916 abbiamo solo quattro strip (all’epoca non ancora nel formato striscia vero e proprio), con autori del calibro di McManus, Opper e Swinnerton.

Nel “New York American” del 1928 abbiamo una situazione ormai definitiva della disposizione delle strisce: sei per pagina. Molte altre strisce più lunghe di queste occupano interamente la pagina da un lato all’altro.

L’anno successivo, il 1929, cominciano a uscire i fumetti realistici. Dick Calkins per Buck Rogers ricalca le foto con risultati scadenti (vedi l’articolo “Buck Rogers porta il realismo nel fumetto”). La vignetta sotto, con la sinuosa amica di Buck, Wilma, è sopra la media.

A imporsi è invece lo stile fotografico, tipico degli illustratori, del molto più bravo Hal Foster.

Invece Milton Caniff, che inizia con uno stile “semicomico” alla Roy Crane (tipo Tintin per intenderci), su influsso del collega illustratore Noel Sickles finisce per puntare tutto sul chiaroscuro.
Per fortuna mantiene uno stile non fotografico nella delineazione dei personaggi, perché altrimenti questi non sarebbero più fumetti, ma cartoline.

Già nel 1949 il “Los Angeles Times” di Hearst ammassa ben 18 strisce in una sola pagina.
Con questi formati angusti le strisce continuative, quindi soprattutto quelle realistiche, proprio a partire dagli anni quaranta iniziano lentamente a chiudere: c’è troppo poco spazio per raccontare un’avventura.


Qualche tavola domenicale è ancora a tutta pagina, come quella del Tarzan di Burne Hogarth, ma la pacchia sarebbe durata poco.

Già Flash Gordon, qui nella versione dell’ingiustamente poco conosciuto Mac Raboy, è stato ridotto a mezza pagina mentre ai tempi di Raymond ne occupava due terzi.


Gli autori dei fumetti rimangono ancora popolari.
Nel 1956 a Li’l Abner di Al Capp viene dedicato un musical che, tre anni dopo, diventa un film presentato in Italia con il titolo “Il più pazzo villaggio del mondo”.


Oltre “Life” anche “Newsweek”, l’equivalente americano de “L’Espresso”, pubblica la foto di Al Capp in copertina come una cosa normalissima.

Quando nel 1965 Al Capp partecipa a una delle prime manifestazioni fumettistiche italiane, l’edizione europea di “Life” (l’allora settimanale più diffuso del mondo) pubblica una copertina disegnata da lui stesso.
Al Capp rappresenta gli italiani come palpeggiatori di fondoschiena femminili: proprio lui, che dai rapporti desecretati della Fbi risulta abbia tentato di violentare alcune studentesse universitarie.

Se Li’l Abner è ancora una striscia comica continuativa, le altre, a partire dal Topolino di Gottfredson, devono diventare autoconclusive a causa dei formati sempre più ridotti.

Una delle più interessanti strisce autoconclusive basate su una gag è Nancy di Ernie Bushmiller (Arturo e Zoe in Italia). Si ritorna così al format delle strisce d’inizio secolo, quando la continuità non era stata ancora inventata.

Stan Lee, mentre dirige i comic book della Atlas/Marvel di Martin Goodman, prova più volte a proporsi come autore di strisce quotidiane, soprattutto con la collaborazione di Dan De Carlo, fallendo ogni tentativo. Le strisce erano ancora molto più prestigiose degli albi a fumetti.
Qui sotto una striscia di Stan Lee disegnata da Joe Maneely, morto prematuramente nel 1958 cadendo da un treno.

Anche se le strisce sono sempre più piccole, i disegni continuano a essere molto lavorati. Come, per esempio, vediamo in questa vignetta originale di Secret Agent X-9 disegnata da Bob Lubbers.

La tendenza a ricalcare le fotografie iniziata con Hal Foster si afferma sempre di più, tarpando le ali alla fantasia di bravi disegnatori come Leonard Starr.

Grazie al quotidiano “Herald Tribune” di New York, stampato pure in Europa e nel resto del mondo, si comincia a capire che si possono pubblicare fumetti nei giornali.

Con Mafalda, l’argentino Quino supera in umorismo tutti i colleghi degli Stati Uniti.

Oltre al milanese “Il Giorno”, anche diversi quotidiani del pomeriggio, oggi estinti, presentano le strisce.

“Paese Sera”, il quotidiano pomeridiano di Roma legato al Partito comunista, lancia anche una striscia italiana di successo: Sturmtruppen di Bonvi.


Ma ormai saranno decenni che i quotidiani italiani non pubblicano più strisce, nazionali o estere che siano.

Molto più radicata è la tradizione dei fumetti in Gran Bretagna. Qui, a un certo punto, si comincia a puntare sulle nudità femminili. Anche perché a pubblicare le strisce sono gli scandalistici tabloid, non i quotidiani di alto livello come “The Times”.

Quando da piccino vidi sulla effimera rivista “Sorry” questa striscia di Gun Law disegnata da Harry Bishop rimasi profondamente impressionato. Forse per il ramo contorto.

In America, vecchi fumetti se ne vanno mentre ne arrivano continuamente di nuovi…

Qualche autore continua a proporre eroi avventurosi alle agenzie dei fumetti sindacati, come Marv Wolfman e Ross Andru, provenienti dalle serie più vendute della Marvel. Il loro The Unexplained è un Martin Mystère ante litteram del 1979 che non è mai partito.

Tra gli anni ottanta e novanta esplode lo strepitoso Calvin & Hobbes di Bill Watterson, una delle migliori strisce della storia, declinano gli ultimi grandi autori del passato.

Sarò scemo, ma Charles Schulz, che non mi ha mai entusiasmato all’apice del successo, a volte mi fa ridere durante il suo declino: con questa irresistibile sequenza dei Peanuts, per esempio.
Purtroppo il suo spoglio segno bidimensionale ha fatto scuola.

Sono veramente pochissime le tavole domenicali che, nel loro attuale spazio angusto, si permettono ancora di raccontare storie a puntate. Come l’eterno Prince Valiant, qui disegnato dal suggestivo Gary Gianni.

Ecco invece come si presentano oggi le strisce ormai a colori dei quotidiani, in questo caso del “San Francisco Chronicle”: sono talmente piccole che i disegni vengono solo abbozzati seguendo l’infausta moda invalsa con i Peanuts (si tenga presente che il formato delle pagine è molto più piccolo rispetto a una volta).
Peraltro ormai i giornali possono scegliere tra così tante strisce che ben poche guadagnano abbastanza, così gli autori le trascurano per fare un secondo lavoro.
Il livello continua ad abbassarsi inesorabilmente e di capolavori non se ne vedono più: va bene quando di una serie si salva una striscia alla settimana, come nel caso che ho trattato nell’articolo “L’inquietante Lio”.

L’involuzione delle strip secondo Bill Watterson.

Come dite?!

 

Leggendo “striptease” nel titolo avevate capito che qui c’erano le donne nude?…

striptease dei quotidiani



 

 

Contatto E-mail: info@giornale.pop

8 commenti

  1. Confesso che quando ho letto da qualche parte che Al Capp era un molestatore ho smesso di rileggere i suoi comics. Idem con quelli disegnati da Justiniano o scritti da Gerard Jones. Un mio limite. Potremmo chiamarla la sindrome di Ezra Pound. Forse aveva ragione Cary Grant che sentenziava che dello streaptease è meglio non chiedere come si fa, ma godere dei risultati. Il papà di Alex P. Keaton nel serial Casa Keaton sosteneva che nell’aldilà Dio si fosse rivelato uguale a Cary Grant. Spero di non leggere mai nulla di penale sul divo amato da Hitch.
    I Peanuts potranno anche aver innescato il processo, ma erano disegnati con arte e metodo ispirati dal motto sempiterno less is more. Idem per B.C. o il Mago di Wiz, tanto per citare un paio di esempi. Ci sono strade che non si possono fare a meno di seguire, temo. Ed alla fine non è nemmeno Dilbert. Solo Cary Grant nell’alto dei cieli sa cosa troveremo nei quotidiani cartacei – ammesso che ne restino – ed on line quando li leggeremo per ingannare il tempo mentre il nostro servorobot furibondo imprecherà perché le spazio linee di Musk hanno perso i bagagli imbarcati sulla Terra e sul pianeta rosso non esiste una sola copia di Adventures of Gianni Morandi disegnate da Gary Gianni col suo stile pulp sfoggiato per la miniserie Batman Black and White. La vita si farà sempre più difficile. Meno male che anche tra trent’anni ci saranno i comics.

  2. Un solo appunto: non era certo Grace Kelly a cercare un marito danaroso a Montecarlo. Ne aveva ben di suoi, di dollari. Meglio del padre, una delle persone più ricche d’America. Che comprò un marito per la vulcanica ( letteralmente, anche se l’aspetto non l’avrebbe lasciato intuire ) figlia, in quel di Monaco. Un Principe di grande fascino e pochi danari………

  3. […] (i syndacate sono le agenzie che distribuiscono contenuti di vario genere ai quotidiani) è crollata verticalmente. Sia per i disegni, sempre più rimpiccioliti, sia per i testi. Anche perché gli autori non […]

  4. Se la memoria non mi inganna, nei ’70 apparivano strisce a fumetti anche sulla Gazzetta del Popolo.

    • Sì, nei quotidiani del pomeriggio in generale.

      • Ricavo da wikipedia che c’erano state edizioni pomeridiane della Gazzetta, ma molto prima del periodo che ricordo, quando era un “normale” quotidiano del mattino.
        Fra l’altro, sempre grazie a wiki, scopro che la GdP è stata la prima a far conoscere Topolino in Italia, ancora prima di Nerbini…
        Mi sembra di ricordare che ci fosse il Paperino di Taliaferro e forse Beetle Bailey.
        Non sono però sicuro se le strisce fossero pubblicate tutti i giorni o solo la domenica…

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati con *

Dichiaro di aver letto l'Informativa Privacy resa ai sensi del D.lgs 196/2003 e del GDPR 679/2016 e acconsento al trattamento dei miei dati personali per le finalità espresse nella stessa e di avere almeno 16 anni. Tutti i dati saranno trattati con riservatezza e non divulgati a terzi. Potrò revocare il mio consenso in qualsiasi momento, integralmente o parzialmente, con effetto futuro, ed esercitare i miei diritti mediante notifica a info@giornalepop.it

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*