GLI STILI DI SCRITTURA DI STAN LEE E DI JACK KIRBY

Come tutti i bambini della mia generazione ho amato alla follia il modo di scrivere di Stan Lee. Storie scorrevoli, facili e divertenti, difficile chiedere di più a quell’età.
Ma la scrittura di Jack Kirby? Era diversa. Quando ero giovane non riuscivo quasi mai a finire una storia di Kirby. Anche adesso devo ammettere che richiede molta più concentrazione.
Crescendo, dopo aver letto la Bibbia, Shakespeare e i miti greci, la fantascienza, la teologia e la fisica quantistica (sul serio? – NdR) il mio rispetto per quanto scriveva Kirby non ha fatto che aumentare.
Ora penso che la scrittura di Jack Kirby sia più ricca e profonda di quella di Stan Lee, anche se non altrettanto accessibile.
Stan sarà sempre il migliore a costruire una storia per chi vuole evitare di pensare, immergendosi per qualche decina di minuti in un mondo di pura fantasia.
Siete mai tornati a casa dopo una giornata faticosa di lavoro desiderando un momento di svago senza essere costretti a pensare? In quei momenti volete Stan Lee, non certo Jack Kirby. A volte abbiamo bisogno di film-popcorn e altre volte dei classici.
Nessuno dei due autori è “migliore”, entrambi sono cultura, ma sono diversi. Eppure nei Fantastici Quattro questi due modi di raccontare cosi diversi hanno convissuto per anni.
La scrittura di Stan Lee, una rapida panoramica
Stan Lee e Jack Kirby hanno lavorato insieme sui primi 102 numeri dei Fantastici Quattro. Mentre i dialoghi del numero 103 sono stati scritti solo da Stan Lee, perché il nuovo disegnatore, John Romita, preferiva limitarsi alle matite.
Questa prima pagina è un’illustrazione perfetta dello stile di scrittura semplice e diretto di Stan Lee.
Qui tutto è facile da capire a colpo d’occhio: gli eroi sembrano molto buoni e il cattivo uno squilibrato.
È la stessa storia che abbiamo visto su migliaia di cartoni animati: i cattivi attaccano gli eroi e alla fine perderanno. A ogni punto della storia sappiamo esattamente cosa sta succedendo perché il dialogo ce lo ricorda più volte. L’ambientazione è familiare e i personaggi pure: anche se non avevamo mai visto questo fumetto prima, tutto ci appare già visto. Questo è un fumetto! Non presenta nulla di impegnativo, è esattamente ciò che ci aspettiamo.
La scrittura di Kirby, una rapida panoramica
Nello stesso periodo in cui Stan Lee stava scrivendo Fantastic Four 103, Jack Kirby scriveva (e disegnava) da solo le prime storie dei New Gods. Vediamo la differenza.
Quella di Kirby è roba molto più ricca. Anche qui si narra una battaglia, ma lo si fa su una scala molto più ampia. Il primo numero sembra qualcosa tratto dalla Bibbia, in particolare dal libro di Daniele.
L’oscuro Metron sembra Satana che discute con Dio all’inizio del libro di Giobbe, quando non era ancora quell’essere malvagio che conosciamo, ma un personaggio più complesso tratto dalla cultura religiosa persiana.
Il secondo numero ha qualcosa di mitologico. Vi si narra la nascita di Apokolips e Nuova Genesi come nelle saghe millenarie e viene presentato uno dei più carismatici cattivi della storia del fumetto: Darkseid.
I dialoghi di Jack Kirby
Spesso gli appassionati di fumetti ritengono che il punto debole di Kirby siano i dialoghi. Le frasi nei balloon del grande Jack sarebbero per lo più bambinesche, magniloquenti e in ultima analisi incomprensibili.
Per quello che mi riguarda, Jack Kirby ha scritto alcuni tra i migliori dialoghi nella storia del fumetto. Ma non tutti la pensiamo allo stesso modo.
Il dialogo di Kirby non è come la maggior parte dei fumetti. È sia più facile sia più difficile, ma infinitamente più gratificante.
È più facile perché apparentemente utilizza parole semplici, descrizioni brevi e immagini visive. Per quelli abituati alla previdibilità di Stan Lee, il dialogo di Kirby può sembrare un po’ sgraziato.
Tuttavia, quando prendiamo in considearazione ogni singolo frammento di frase, il dialogo di Kirby risulta di grande bellezza. Dal mio punto di vista, passare dal dialogo di Stan Lee a quello di Jack Kirby è come passare dal latte condensato a una sugosa fiorentina. Richiede un rallentamento, un assaggio, una ricalibratura del modo in cui leggiamo. Sì, ci vuole più tempo, ma ne vale la pena.
In un episodio Stan Lee fa dire a Sub-Mariner: “Stai indietro, umano! Nessuno può lasciare questo edificio per ordine imperiale del principe Namor in persona!”, certamente è un dialogo non privo di un certo fascino.
I personaggi di Kirby parlano letteralmente un’altra lingua, a volte imbarazzante e spesso molto difficile da comprendere.
Nel numero di debutto della sua run sull’albo di Jimmy Olsen, per esempio, Morgan Edge si rivolge così a Clark Kent: “No deal, no how, Kent! Not you, Buddy Boy! The ‘hairies’ who inhabit the wild area – trust nobody over twenty-five!”. Che viene tradotto con: “Niente da fare Kent, non tocca a te, figliolo. I capelloni che abitano la zona selvaggia non si fidano di gente sopra i venticinque anni”. La traduzione rispetta il significato letterale del testo, ma non conserva del tutto gli aspetti di novità e di poesia del testo originale.
“No deal, no how Kent!”.
Qui c’è il conflitto, il cuore della buona scrittura. E questa è una frase che una persona reale potrebbe dire (l’oratore è un newyorkese di mezza età del 1970)
“Not you, Buddy Boy!”.
E ora abbiamo personalità e umorismo. Qualcosa che manca nelle parole che Stan Lee mette in bocca a Namor. Nella situazione di Kirby chi parla e chi ascolta sono socialmente uguali. Ciò rende il conflitto significativo, mentre nell’esempio di Namor il potere è così unilaterale che non c’è tensione.
“The hairies that inhabit the wild area”.
Un piccolo frammento di frase, ma ricco di immagini poetiche e informazioni utili. “Hairies” porta con sé connotazioni hippie, con significato politico e sociale. Ci dice anche che i più vecchi guardano dall’alto i giovani, trovandoli rozzi e poco educati.
“Trust nobody over twenty five!”.
Questa è la chiave del dialogo. Una frase compressa della quale rimangono solo gli elementi necessari a creare un senso, un senso che però rimane oscuro e ambiguo. Non siamo dunque dalle parti della poesia?
Quando Jack Kirby ha iniziato a suggerire i dialoghi dei Fantastici Quattro scrivendoli ai margini delle tavole disegnate?
La maggior parte degli esperti ritiene che Kirby non abbia messo mano ai dialoghi nei primi venti numeri dei Fantastici Quattro. La prima scansione che si conosca di una pagina dei Fantastici Quattro che riporti le note a margine di Kirby, dimostrando che lui era l’autore effettivo della storia è il secondo “annual”, uscito nell’estate del 1964. Lo storico dei fumetti Nick Caputo sostiene che le note a margine di Jack Kirby appaiono per la prima volta in The Avengers n. 6, datato luglio 1964.

Fotocopia di una tavola originale dei Fantastici Quattro con i dialoghi scritti a matita da Jack Kirby nei margini, che poi Stan Lee rielaborava
Possiamo ragionevolmente pensare che nel corso del 1964 Jack Kirby abbia iniziato a realizzare in modo del tutto autonomo le storie dei Fantastici Quattro, relegando Lee alla sola rielaborazione dei dialoghi.
Ovviamente ci sono delle eccezioni: ogni volta che c’è la morte eroica di un personaggio puoi stare certo che quella parte è stata pensata e scritta da Stan Lee. La struggente morte di Franklin Storm? Quella è di Stan Lee. Il nobile sacrificio del personaggio alla fine di “This Man This Monster”? Quello è di Stan Lee.
Sono momenti indimenticabili, potenti, e dobbiamo ringraziare Stan Lee per questo.
Che grande articolo!!! È vero!!! Quando ero ragazzetto infatti petcepivo che io linguaggio di quei fumetti rimandava a mondi più elaborati del semplice divertissement
Sempre interessante leggere i suoi articoli. Concordo su tutto, soprattutto sul fatto che il Kirby scrittore di storie e dialoghi richiedeva una maturità che noi marvelliani della prima ora non potevamo avere a quei tempi. Concordo anche sul fatto che il Sorridente era insuperabile nei dialoghi magniloquienti delle storie epiche e drammatiche, e nel tracciare quelle trame semplici e senza chiaroscuri che noi ragazzini di allora non potevamo non amare, vista la schematicita’ della psiche infantile. Un duo insuperabile e insuperato.