INTERVISTA A RUGGERO DEODATO

INTERVISTA A RUGGERO DEODATO

Ruggero Deodato, può raccontarci come è diventato regista e con quale film ha esordito dietro la macchina da presa?

Dopo una sessantina di film come aiuto, un produttore mi chiamò per fare l’assistente a Steno. In quel periodo erano esplosi i Beatles e io ero conciato come loro: capelli lunghi, camicioni indiani e collane al collo. Steno così conciato non mi volle e il produttore allora mi fece firmare un contratto per due film come regista. I film furono “Donne botte e bersaglieri” e “Vacanze sulla Costa Smeralda”.

Ci sono due film, tra i suoi primi, che mi piacciono particolarmente. Uno è “Gungala la pantera nuda”, che tra l’altro ha un’ambientazione esotica che segnerà gran parte del suo cinema successivo. Ce ne può parlare?

Un film dove il mio nome non è ufficiale. Ho sostituito un regista e ho girato tutta la parte in Kenya ed alcune scene interne a Roma.

Il secondo è “Zenabel”, con Lucretia Love. Che ricordo ne ha?

Un film molto divertente, pieno di belle donne e con grossi calibri di attori americani. Purtroppo uscì nel 1969, il giorno della bomba in piazza Fontana a Milano, e il pubblico evitò in quel periodo i locali chiusi.

Lei è unanimemente considerato un maestro del cinema violento. Le fa piacere?

Diciamo che nella vita sono un uomo veramente mansueto. In effetti, quando giro un film mi immedesimo nel soggetto e se questo è violento… Poi la mia tecnica fa il resto.

Molti si attribuiscono la paternità dei film suoi cannibali. Eppure gran parte dei critici ritiene che sia stato lei a creare questo genere. È così? E come è nata l’idea di “Ultimo mondo cannibale”?

Almeno questa paternità lasciatemela. La trama del film la presi da un fatto realmente accaduto: un figlio di Rockfeller cadde con il suo Cessna in una foresta equatoriale e ai tempi si disse che dei cannibali se lo mangiarono. Le location le scelsi guardando alcune immagini su National Geographic fotografate nella gungla di Mindanao.

Un critico, ultimamente, ha detto che chiunque vorrà scrivere un trattato sulla rappresentazione della violenza sul grande schermo dovrà fare i conti con “Cannibal Holocaust”. Lei mentre girava era consapevole che stava segnando una tappa fondamentale del cinema estremo?

No. Decisamente no. Pensavo di fare un film di cronaca di quei tempi. La televisione trasmetteva servizi con scoop violenti che alcuni giornalisti mistificavano pur di far effetto sul pubblico.

Organizzare un set nella giungla quali difficoltà comporta?

Bisogna fare attenzione a tutto ciò che si muove: ci sono serpenti, alberi che cascano improvvisamente, sanguisughe e acquazzoni che cambiano continuamente il set. E tanti tanti insetti.

Ha riproposto il genere “cannibali e reportage” con il film “Inferno in diretta”: il cui titolo dice tutto. Come furono accolti questi film dalla critica del tempo?

Come al solito. Brutte critiche e grande successo di pubblico.

Lei ha diretto film di vari generi (tranne western, se non sbaglio). C’è un genere che le piace più degli altri?

Non è esatto. Ho girato anche un western comico, “I quattro del Pater Noster” con Villaggio, Montesano, Toffolo e Lionello. Il mio genere preferito è il film verità, diciamo il neorealismo, rifacendomi al mio Maestro Rossellini.

È vero che vorrebbe girare un seguito di “Cannibal Holocaust”?

Ora mi piacerebbe, ma non è facile trovare un produttore.

Lei è stato aiuto di registi molto importanti: Roberto Rossellini, Sergio Corbucci, Antonio Margheriti, Riccardo Freda e Giorgio Ferroni. Può dirci qualcosa di loro?

Rossellini il carismatico e l’umano, Corbucci il crudele, Margheriti il tecnico, Freda il genio, Ferroni un vecchio, troppo vecchio mestierante.

Tra i film di Corbucci ce ne sono due con Totò. Che ricordo ha del grande comico?

Con Corbucci di film con Totò ne ho fatti cinque o sei. Totò era un comico straordinario e nella vita un vero signore. Quando si girava un film con lui bisognava fare attenzione a non ridere poiché era tutta improvvisazione e sarebbe stato difficile ripetere le scene.

Chi ha visto i suoi gialli “Ragno gelido” e “The Washing Machine” ne ha un ottimo ricordo, eppure in Italia sono poco conosciuti. Come mai?

I produttori non erano all’altezza per poter far uscire i due film. Troppe spese di pubblicità. Quindi preferirono venderli alle televisioni estere.

A me è piaciuto anche “Un delitto poco comune”. È soddisfatto di questo film?

Abbastanza, avrei preferito accorciarlo di dieci minuti. Ma produttori e sceneggiatori me lo impedirono.

Edwige Fenech è una delle interpreti-simbolo del nostro cinema di genere. Come si è trovato con lei?

Molto bene. È una persona corretta e professionale.

A proposito di attrici: ce ne sono alcune con cui si è trovato particolarmente bene?

Sì. Irene Papas.

Negli ultimi anni della sua carriera ha diretto soprattutto serie televisive. A mio parere “Noi siamo angeli” e “Sotto il cielo dell’Africa” sono tra le cose migliori viste sul piccolo schermo. Ci può spiegare quali differenze (se ci sono) esistono tra dirigere un film e un serial di varie puntate?

Allora era la stessa cosa, ora purtroppo bisogna correre e fare minutaggio e la qualità è più scadente.

Non vorrei generalizzare, però mi sembra che la qualità dell’immagine del cinema che si faceva anni fa e quello che si fa adesso (per non parlare della televisione) sia mediamente peggiorata. È colpa delle nuove tecniche?

No. Colpa dei network e della mancanza di concorrenza.

Lei ha girato il suo primo serial nel 1968, “Il triangolo rosso”. Di cosa si trattava?

Una fortunata serie della polizia stradale che è servita molto come educazione alla guida. Gli attori erano Jaques Sernas, Elio Pandolfi, Riccardo Garrone e via via altri grandi attori dell’epoca.

Ha diretto anche molti spot pubblicitari. È stato uno dei primi registi a fare cinema e pubblicità, prima dei vari Ridley Scott e Adrian Lyne. Pensa che lo stile di un regista possa essere influenzato dal fatto che dirige spot?

Senz’altro la pubblicità insegna il ritmo e l’eleganza delle immagini.

Un altro suo film che a me piace particolarmente è “Concorde Affaire ‘79”. Che è molto di più di un film catastrofico… ha all’interno una storia inquietante. A lei è piaciuto farlo?

Moltissimo. Ho avuto modo di visitare svariati paesi: Martinica, Stati Uniti, Brasile, Londra e ho lavorato con grandi attori americani tra i quali Joseph Cotten, premio Oscar per il “Terzo Uomo”.

La splendida colonna sonora di “Concorde Affaire ‘79” è di uno dei più grandi musicisti italiani, Stelvio Cipriani. Avete lavorato bene insieme?

Sì. Devo dire bene. È un vero professionista e ha soddisfatto i miei desideri.

Vorrei chiederle qualcosa sui suoi gusti cinematografici: ci sono dei registi contemporanei che ammira in modo particolare, o dei film che le sono piaciuti?

Vado al cinema quasi ogni giorno e mi comporto non come un critico, ma come uno spettatore medio. Adoro Spielberg, Ridley Scott, Bertolucci e anche Muccino. Amo molto seguire le storie girate nella maniera più semplice, in questo gli inglesi sono imbattibili.

Un argomento che purtroppo è un tormentone: che fine ha fatto (o sta facendo) il cinema italiano?

È finito male… è caduto nella melma.

Recentemente uno sceneggiatore mi diceva che secondo lui uno dei registi che ha fatto più danni è Nanni Moretti. La pensa anche lei così?

Non più di tanto, per lo meno le storie le sa raccontare.

Secondo lei perché i nostri film di genere sono più apprezzati all’estero che in Italia? O, se vogliamo, perché sono i registi stranieri a ispirarsi a Deodato, Di Leo, Fulci, e non i giovani italiani?

Perché purtroppo i giovani italiani non hanno umiltà. Quando li incontro mi fanno sentire una nullità, tanta è la loro presunzione. E si vestono come tanti Fellini trendy.

Quello che mi ha sempre colpito del suo stile è l’estremo realismo, anche nell’uso della violenza. Lo ha forse imparato da Rossellini?

L’ho già detto prima. Certamente sì.

Ha diretto due slasher molto interessanti: “La casa sperduta nel parco” e “Camping del terrore”. Le piace girare film del terrore?

Non molto, ma a distanza di anni ho rivalutato moltissimo “La casa sperduta nel parco”.

Una domanda forse banale, ma indispensabile: quali progetti ha in cantiere?

Ne ho due o tre ma non sarà facile realizzarli.

 

FILMOGRAFIA COMPLETA DI RUGGERO DEODATO

(lungometraggi)

Ursus il terrore dei Kirghisi (1964) (co-regia con Antonio Margheriti)
Gungala la pantera nuda (1968)
Fenomenal e il tesoro di Tutankamen (1968)
Donne, botte e bersaglieri (1968)
Vacanze sulla Costa Smeralda (1968)
I quattro del pater noster (1969)
Zenabel (1969)
Ondata di piacere (1975)
Uomini si nasce poliziotti si muore (1976)
Ultimo mondo cannibale (1977)
L’ultimo sapore dell’aria (1978)
Concorde Affaire ’79 (1979)
Cannibal Holocaust (1980)
La casa sperduta nel parco (1980)
I predatori di Atlantide (1983)
Inferno in diretta (1985)
Camping del terrore (1986)
The Barbarians (1987)
Un delitto poco comune (1988)
Lone Runner – Lo scrigno dei mille diamanti (1988)
Minaccia d’amore (1988)
Mamma ci penso io (1989)
La lavatrice (1992)
Vortice mortale (1993)
Ballad in Blood (2016)

 

1 commento

  1. Bah, l’unico film di Deodato che ho è CONCORDE AFFAIRE ’79, ma non per “merito” di Deodato, bensì per via del mio amore insensato per il Concorde (su quel tipo di aereo possiedo tutti i libri rintracciabili, tutti i film dove esso appare anche per un istante, ecc, ecc.).

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