NORMAN ROCKWELL CONTRO EDWARD HOPPER

Si potrebbe obiettare che Edward Hopper e Norman Rockwell non siano confrontabili perché il primo era un artista che dipingeva quadri mentre il secondo un illustratore di riviste. Obiezione formalistica da respingere senza neppure dover dare spiegazioni.
Non credo che ci siano artisti opposti come Hopper e Rockwell. Per molti, Hopper rappresenta l’America in maniera pessimistica e Rockwell in chiave ottimistica (naturalmente, “con ingenuità”). In realtà Hopper è pessimista a prescindere dal soggetto dipinto e Rockwell è ottimista a prescindere. L’America non c’entra niente: Rockwell sarebbe stato ottimista anche nella Russia sovietica, se fosse nato lì.
Norman Rockwell
Norman Rockwell (1894-1978) sembra rifarsi a certi dipinti di El Greco, per il modo di allungare i volti per renderli più “eleganti”. La sua fama negli Stati Uniti è legata alle circa 300 copertine realizzate per il settimanale “The Saturday Evening Post”. Beati i tempi quando le riviste pubblicavano illustrazioni, ora ci sono solo foto. L’unico a resistere con le copertine disegnate e le vignette all’interno è il colto e ironico settimanale “New Yorker”, che in Italia non sarebbe nemmeno immaginabile.
L’autoritratto di Rockwell al lavoro è stato imitato infinite volte.Gli innamorati guardano al futuro. Malgrado la giovanissima età e i vestiti sgualciti, non c’è proprio niente da ridere sulla serietà delle loro intenzioni.
Il maturo sceriffo si commuove al suono dell’armonica del giovane prigioniero ripensando a qualcosa di ormai lontano, irraggiungibile, perso per sempre come il primo amore. O per dirla con Fabrizio De André nel Pescatore: “… e la memoria è già dolore, è già il rimpianto di un aprile giocato all’ombra di un cortile”. Pure il cane dello sceriffo è incatenato.
La moderna moglie “stilosa” si appresta a rivoluzionare una casa tradizionalista, preannunciando parecchi mal di testa al tranquillo maritino. Si noti la geometria della composizione.
A prima vista sembrerebbe una donna elegante, guardando meglio ci si accorge che è una studentessa delle superiori: forse sogna a occhi aperti sfogliando la rivista.
Un rozzo operaio, che il collega cerca a stento di trattenere, fa complimenti salaci alla figona con la puzza sotto il naso. Rockwell ha simpatia per entrambi, ama senza eccezioni tutta l’umanità che rappresenta nelle illustrazioni.
A casa, il veterano della Prima guerra mondiale segue le ultime notizie dal fronte della Seconda, con l’ausilio di mappe come fosse un ufficiale vicino alla prima linea. I gattini sottolineano la tranquillità domestica lontana dai pericoli dalla battaglia.
Da come reagisce ciascun conoscente al rientro del soldato dalla guerra, si intuisce quello che sta pensando.
Due eleganti ragazze di città cercano maldestramente di aggiustare la loro auto, mentre lo zotico nella catapecchia si gode lo spettacolo senza muovere un dito.
Il ragazzino nel vagone ristorante cerca di capire cosa si può permettere di ordinare, sotto gli occhi comprensivi di un cameriere. Non c’è alcun compiacimento nell’evidenziare le differenze sociali tra le due “razze”.
L’entusiasmo alla partenza della breve vacanza e lo stravolgimento del ritorno, nelle facce della stessa famigliola
La comare colpita come un boomerang dal proprio pettegolezzo, che magari si è andato amplificando strada facendo.
Le prove della banda musicale nel retro del negozio. L’illustrazione non mi sembra particolarmente evocativa, la metto solo perché i comic book (albi a fumetti) in vendita sono perfettamente riconoscibili e databili: Rockwell non negava di usare le fotografie.
Il giovanissimo barista è un boss quando serve le amichette. Si noti la sinuosità della ragazza vista di spalle.
La ragazzina guarda la foto dell’attrice cercando di capire se si sta sviluppando come lei, ma Rockwell non si burla mai delle persone che ritrae.
Questa, secondo me, è l’opera più importante di Rockwell. L’agricoltore delle Grandi praterie fa compagnia al figlio, mentre aspettano l’autobus che per la prima volta lo porterà al college. Tanto è vissuto il padre, quanto bamboccione il ragazzo. Ciononostante anche lui fa simpatia, soprattutto per il cane, vecchio compagno di giochi che gli si appoggia intuendo che non lo rivedrà tanto presto.
L’illustrazione forse più famosa di Rockwell. Lo sbirro becca il bambino in fuga, ma prima di riportarlo a casa gli offre qualcosa al bar per fargli vedere che pure lui è un buon diavolo.
Illustrazione certo non originale che ricorda molte vignette umoristiche. L’ho scelta per la perizia tecnica con la quale è disegnata l’espressiva ragazza. Naturalmente si intuisce cosa stia fantasticando.
Un signore distinto guarda fin troppo rispettosamente un’opera d’arte astratta alla Pollock, nel vano tentativo di afferrarne il significato. Rockwell detestava l’arte moderna, ritenendola una truffa di imbrattatele poco dotati. Una volta fece un quadro astratto e lo presentò, sotto falso nome, a un concorso artistico. Vinse il primo premio.
Soprattutto alla fine della carriera, Norman Rockwell realizza anche opere di carattere sociale: solo per questo motivo, alcuni le qualificherebbero superiori alle precedenti di genere “spensierato”. Ma un artista non diventa più o meno bravo a seconda della finalità del proprio lavoro. Nell’articolo “Gino Boccasile, il più grande illustratore italiano al servizio delle SS”, abbiamo visto che un artista può realizzare buone opere anche al soldo dei nazisti (che poi sarebbe dovuto essere condannato è un altro discorso). Nel dipinto più sotto, intitolato “The Problem We All Live With”, Rockwell tratta un fatto avvenuto nel Sud degli Stati Uniti nel 1960.
I sudisti, dopo la liberazione degli schiavi a seguito della sconfitta nella Guerra di secessione, continuarono comunque a segregare gli afroamericani. Negli anni cinquanta del Novecento i neri iniziarono a protestare, esigendo, per esempio, di poter mandare i figli nelle scuole riservate ai bianchi. Per imporre questo principio, Richard Nixon, l’allora vicepresidente dell’ammalato Dwight Eisenhower, dovette inviare in zona la Guardia nazionale (un corpo dell’esercito).

Ruby Bridges, una bambina afroamericana di sei anni, viene scortata in una scuola per bianchi (1960)
Il tema del dipinto, quindi, si oppone radicalmente all’estetica “ottimistica” di Rockwell che non ammette l’esistenza dei “malvagi”. L’artista risolve in parte il problema non “inquadrando” i segregazionisti: ne intuiamo la presenza dal pomodoro lanciato contro il muro. Perfino i volti degli agenti di scorta, sicuramente piuttosto tesi, non possono entrare nel mondo iconografico di Rockwell. La positività è tutta racchiusa nella piccola figura risoluta di Ruby Bridges, una bambina di sei anni, attrezzata di quaderno, libro, matite e righello. Opera significativa, anche se enfatica come tutta la propaganda.

Nel 1998 a Ruby Bridges è stato dedicato un film, dal quale è tratta la foto: la bambina sembra più ispirata all’illustrazione di Rockwell che a quella reale
Edward Hopper
Edward Hopper (1882-1967) ha uno stile che non dipende né da quello che lui pensa dell’America, né dal fatto che fosse ottimista o pessimista. Il suo è uno stile tipico degli anni venti-trenta, geometrico, algido, quasi marmoreo. Stile che ha avuto particolare successo nei Paesi dittatoriali dell’epoca, sempre monumentalisti, come il fascismo italiano e il comunismo sovietico.
Ho sempre pensato che Hopper fosse influenzato, per il senso di desolazione urbana, da Giorgio De Chirico. Per gli stessi motivi credo sia anche vicino ad architetti come Marcello Piacentini: Hopper sembra essersi perso per le vie dell’Eur, il quartiere romano fatto costruire da Mussolini per l’Expo che non si tenne mai a causa della guerra. La trovata di Hopper è quella di usare la gelida luce al neon per rendere più asettica ancora la rappresentazione.
“I nottambuli”, il primo quadro sotto, è uno dei capolavori del ventesimo secolo: esprime al massimo grado il senso di solitudine urbana tipico di Hopper.
Se Edward Hopper avesse dipinto per tutta la vita quadri di ambientazione messicana, come ha fatto solo alla fine della propria carriera, il suo stile freddo si sarebbe stemperato nel caldo del Sud e sarebbe forse rimasto un pittore di secondo piano.
Bellissimo articolo,ritrovo tante immagini che hanno accompagnato la mia infanzia, inconsapevolmente. Bravo, complimenti!
bel pezzo, agile e interessante e bella scelta di immagini,evidentemente leggere i fumetti educa l’occhio
Grande Sauro a me quest’articolo è piaciuto mo molto : analisi lucida e precisa ??
Ottimo articolo. Complimenti come sempre. Adoro entrambi gli artisti
Analisi oggettiva e priva di enfasi; difficile contenersi a proposito del titanico Rockwell, il più’ famoso degli illustratori americani, dalla tecnica forse insuperata. Contrapporlo a Hopper liquidando d’arbitrio le ovvie distinzioni tra illustrazione e pittura è un’avventatezza ponderata come solo tu sai ponderare; bravo e coraggioso.
Grazie , Grande l’accostamento e le spiegazioni semplici e appropriate .
Mi piacerebbe leggerne altri di articoli così.
io adoro questi artisti! Bravo Sauro, è l’America che abbiamo visto nei vecchi film per questo ci sembra tanto familiare.
[…] anni nei fumetti dei quotidiani sembra ispirato, attraverso la mediazione dell’illustratore Norman Rockwell, alla “Sepoltura del conte di Orgaz” di El […]
Era da tanto che cercavo un articolo così, uno di quelli che vorresti aver scritto tu.
Per inciso,a me è sempre piaciuto di più Rockwell,mio padre è un estimatore di Hopper.
Gli farò leggere l’articolo!