QUANDO LA MARVEL SUPERÒ LA DC

QUANDO LA MARVEL SUPERÒ LA DC

Nel 1962 la corazzata Dc Comics era stata centrata in pieno. Mentre gli alti papaveri della casa editrice restavano beatamente ignari di ciò, alcuni uomini Dc ci videro subito chiaro: Bob Haney e Arnold Drake, due sceneggiatori che scrivevano molte cose per la Dc.

Una notte, mentre stavano lavorando fino a tardi, i due decisero di intrufolarsi in un locale n. 575 Lexington Avenue, dove si trovava la Independent News, la società di distribuzione di fumetti della Dc che distribuiva anche gli albi della Marvel.

I due volevano leggere in anteprima Fantastic Four n. 4, il nuovo albo Marvel che negli anni successivi avrebbe ribaltato l’intera industria del fumetto americano. Ne erano usciti soltanto tre numeri ma il successo era stato immediato anche tra gli studenti universitari, una fascia d’età che generalmente non leggeva fumetti, tanto che già con il terzo numero era comparsa in copertina la scritta: ”The world’s greatest comic magazine”

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“Sfogliando il n. 4 di Fantastic Four dicevamo: ‘Guarda che roba!'”, ricordava Haney nel 1997. “Il ritorno di Sub-Mariner, la minaccia del mostro gigante, il coraggio della Cosa, la furia della Torcia… I disegni di Kirby erano pieni di movimento, la storia di Lee era ricca di trovate geniali”. Entrambi erano d’accordo sul fatto che si trattasse di un fumetto “nuovo, stravagante e pazzesco”.

I due sceneggiatori furono impressionati soprattutto dalla enorme quantità di energia che usciva da quelle pagine. Arnold Drake e Bob Haney presero alcune copie dell’albo e le portarono in visione all’editore della Dc, Irwin Donenfeld. Purtroppo per la Dc, Donenfeld non vide le stesse cose che avevano visto Drake e Haney.

Donenfeld fu sprezzante. “Facciamo 100 milioni di dollari all’anno e loro solo 35 milioni”, disse. “Quella che stai guardando è una rivoluzione” gli fecero notare i due. Ma Donenfeld non la riconobbe. 

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Le vendite della Dc raggiunsero il loro apice nel 1963, ma iniziarono a diminuire nel 1964. Invece quelle della Marvel continuarono a salire.

Eppure nel 1962, quando Drake e Haney stavano mettendo in guardia sul potenziale della Marvel, il loro editore aveva buone ragioni per sentirsi invincibile. La Dc pubblicò 343 singoli fumetti quell’anno. Superman fu l’albo più venduto e sette delle prime dieci posizioni furono occupate da pubblicazioni della Dc, gli altri tre non erano nemmeno della Marvel.

La Dc era al top anche perché stampava molte più serie. La percentuale del venduto rispetto allo stampato era molto più bassa rispetto a quelle Marvel. “Albi come The Amazing Spider-Man arrivavano a vendere il 70%, 80% e persino l’85% dello stampato, mentre alla Dc arrivavamo al 40%”, ricorderà Carmine Infantino

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La Marvel, che fino a poco prima si chiamava Atlas e vendeva molto meno, divenne talmente redditizia che nel 1963 la Independent News, il distributore di proprietà della Dc, acconsentì a una sua espansione, passando da dieci albi a quattordici al mese.
Dei quattro nuovi titoli, uno, The Amazing Spider-Man, venne affidato a Steve Ditko, gli altri tre tutti a Jack Kirby. Almeno due serie prendevano spunto da materiale Dc.

Per gli Avengers, su richiesta dell’editore Martin Goodman, Lee e Kirby copiarono la formula della Justice League: supereroi già esistenti che si uniscono in un unico supergruppo.
Per i “misteriosi” X-Men quasi plagiarono una storia apparsa sul n. 80 di My Greatest Adventure che presentava la prima apparizione di una nuova squadra chiamata Doom Patrol.

Il disegnatore era l’italiano Bruno Premiani e lo sceneggiatore Arnold Drake, che come abbiamo visto era uno dei pochi alla Dc che sembrava prestare attenzione a quello che stava succedendo alla Marvel. L’albo raccontava la storia di un uomo geniale sulla sedia a rotelle, noto come il Capo, che riunisce una squadra di disadattati per combattere il crimine. Vi dice niente?

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Solo che fu la Marvel a vincere la battaglia. Jack Kirby tirava fuori dal suo capello magico idee sempre più originali, sorreggendole con disegni grondanti di creatività. Mentre Stan Lee affascinava il lettore attraverso i suoi dialoghi brillanti, anche se un po’ logorroici, e le innovative pagine della posta dei lettori, oltre con i suoi “soap box”, brevi testi che apparivano ogni mese sugli albi.

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Stan Lee, soprannominandosi “il Sorridente”, si rivolgeva ai lettori in un modo colloquiale e disinvolto, imponendo l’immagine di una casa editrice divertente e vivace che conserva ancora oggi. Lee faceva sentire i lettori a casa loro, come se facessero parte di un club esclusivo riservato a persone brillanti e intelligenti, riducendo al minimo la distanza tra chi fa i fumetti e chi li legge.

Mentre i redattori della Dc continuavano a comportarsi da noiosi signori di mezza età concentrati sulla gestione di un patrimonio di personaggi che risaliva alla Golden Age, Lee portò uno stile nuovo, una visione moderna e uno spirito leggero perfettamente in linea con i tempi.

Gli editor della Dc, forti del fatto di presentare i primi supereroi, erano convinti che nessuno potesse fare meglio di loro. L’editor della Dc Joe Orlando disse dei suoi colleghi nel 1998: “Venivano presi a calci in culo dalla Marvel in edicola, e si rifiutavano di leggerne gli albi, perdendo l’occasione di capire cosa stesse facendo la concorrenza. Trattavano la Marvel con totale disprezzo”.

Il solito editore Donenfeld se ne uscì con la bizzarra tesi che il successo della Marvel era dovuto al fatto che i bambini venivano confusi dal materiale che trovavano in edicola e compravano erroneamente gli albi Marvel quando invece avrebbero voluto comprare quelli della Dc.

All’inizio del 1966 Donenfeld, coerentemente con la sua valutazione del problema, impose una striscia orizzontale a scacchi bianchi e neri sulla parte superiore delle copertine di tutti gli albi Dc per renderli più riconoscibili.

“I nostri albi a quei tempi erano pessimi, e questo stratagemma mostrava subito alla gente cosa non comprare”, commenterà ironicamente Carmine Infantino.

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Intanto Arnold Drake continuava con i suoi tentativi di convincere la direzione della Dc a prendere sul serio la sfida rappresentata dalla Marvel. Il 3 febbraio 1966, scrisse a Irwin Donenfeld un promemoria di sette pagine in cui spiegava le ragioni per cui credeva che la Marvel fosse superiore a loro e le modifiche da farsi per tenere il passo.

“La Marvel ha successo principalmente per due motivi”, scriveva Drake nel promemoria. “In primo luogo, si mostra più interessata di noi a ciò che sta accadendo nel Paese. E forse ancora più importante, mira a una fascia di età che in passato non leggeva i fumetti, i giovani tra i 16 e i 20 anni”.

Arnold Drake suggeriva di produrre albi diversi per ogni fascia di età. I fumetti entry-level, come il Superboy di Mort Weisinger, per i lettori più giovani, gli albi di Julie Schwartz, come Flash e Lanterna Verde per gli intermedi, e la sua Doom Patrol per la fascia più adulta.

La risposta di Donenfeld fu la solita: “Vendiamo tre volte quello che vende la Marvel”.

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Un altro sceneggiatore che tentò di introdurre una sensibilità diversa fu Jim Shooter, che scrisse la sua prima storia per la Dc nel 1965 alla tenera età di tredici anni. Shooter era cresciuto leggendo i fumetti Dc, ma poi aveva scoperto la Marvel e la sua giovane mente ne era stata sconvolta.

“Avevo assistito a un modo completamente nuovo di raccontare storie, un modo più maturo di gestire i supereroi. I personaggi Marvel sembravano più reali, più simili alle persone”, ricorda Shooter. Fu così che iniziò a scrivere storie nello stile di Stan Lee. Introdusse nei suoi episodi per Superman e per la Legione dei Super Eroi alcuni degli elementi che lo avevano colpito leggendo gli albi Marvel. Ben presto alla Dc cominciarono a chiamarlo “lo sceneggiatore della Marvel”, e non era un complimento.

Molti iniziarono a prendersela con l’editor Mort Weisinger, responabile degli albi di Superman e dei personaggi collegati, per aver dato carta bianca a qualcuno che scriveva come Stan Lee. Da una parte alla Dc ridicolizzavano gli albi Marvel e dall’altra non capivano come potessero continuare ad aumentare inesorabilmente le vendite anno dopo anno.

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Un’altra strategia poco illuminata che la Dc continuava a portare avanti era quella di mantenere anonimi gli autori dei fumetti. Era una prassi che andava avanti dalla Golden Age. La Dc non voleva che i lettori conoscessero i nomi degli sceneggiatori e dei disegnatori, voleva che solo i personaggi fossero le star.

“Non voglio che nessuno sappia chi sei, voglio che si preoccupino per Superman”, disse una volta Mort Weisinger a uno dei suoi sceneggiatori. I fumetti furono un lavoro anonimo per molti anni. Fino al giorno in cui arrivò Stan Lee, che poté cambiare le cose nel mondo dei comic book perché, pur essendo il direttore generale, la casa editrice di Goodman lo pagava così poco che doveva anche scrivere parecchie storie per sbarcare il lunario. In pratica, Lee autorizzò da solo per se stesso (e di conseguenza per gli altri) la possibilità di firmare.

Il nome di Lee e quello di Kirby sono scarabocchiati nell’angolo in alto a destra della prima pagina di Fantastic Four n. 1 e con il n. 9 la prima pagina degli albi iniziarono a includere un riquadro dove erano inseriti i nomi di tutti coloro che avevano partecipato alla realizzazione della storia.

“Ho messo il nome di tutti. Ho persino scritto il nome di chi realizzava il lettering”, disse Lee. “Volevo che sembrasse un po’ come un film. Volevo che i lettori sapessero chi eravamo e diventassero nostri fan”.

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A un certo punto la Dc impose la regola che chi lavorava per lei non poteva collaborare anche per la Marvel. Ma come si dice, “fatta la legge, trovato l’inganno”. Alcuni disegnatori Dc cominciarono a collaborare con la Marvel sotto falso nome. I primi a passare dall’altra parte del muro furono due inchiostratori: Frank Giacoia e Mike Esposito, che alla Dc lavoravano su Flash e Wonder Woman.

A partire dal 1965 i lavori di Giacoia per la Marvel vennero attribuiti a un certo “Frankie Ray” e quelli di Esposito a un certo “Mickey Demeo”. L’inchiostratore di Superman Jack Abel iniziò a lavorare su Iron Man con il nome di “Gary Michaels”, e Gil Kane, il co-creatore di Lanterna Verde della Silver Age, assunse il nome di “Scott Edward” per disegnare una storia di Hulk. Gene Colan usò invece lo pseudonimo di “Adam Austin” quando iniziò a disegnare Sub-Mariner.

La crescita della Marvel era stata così costante negli anni sessanta che, nel Soapbox dell’aprile 1968, Stan Lee dichiarò che la casa editrice era ormai “leader indiscussa dell’industria dei fumetti”. La spavalderia era tipica dello stile vanaglorioso del Sorridente.

La Marvel non era ancora la numero uno, ci sarebbero voluti ancora alcuni anni, ma era cresciuta notevolmente. I titoli della Marvel si vendevano così bene che nel 1967 Martin Goodman riuscì a convincere la Independent News, il distributore della Dc, a permettergli di aumentare le testate.

Improvvisamente i personaggi che in precedenza erano stati costretti a dividersi le pagine di Strange Tales, Tales to Astonish e Tales of Suspense, ebbero una testata tutta per loro. Queste testate da tre divennero quindi sei e nel corso del 1968 uscirono tutti assieme: The Incredible Hulk, Sub-Mariner, The Invincible Iron Man, Nick Fury: Agent of Shield, Captain America e Dr. Strange. Fu una specie di trionfo, ma anche il momento in cui la curva di crescita cominciò a scendere.


Mentre tutti alla Marvel erano entusiasti per i risultati raggiunti. Martin Goodman stava pensando di vendere l’azienda. Dopo decenni passati a combattere nel settore, sfornando pulp, riviste per adulti e fumetti, Goodman aveva capito che le sue pubblicazioni stavano entrando in crisi.

Vendette la Marvel nel 1968 per circa 15 milioni di dollari (di allora) alla Perfect Film and Chemical Corporation, una conglomerata fondata nel 1962 da Martin S. Ackerman. Secondo gli accordi, Goodman rimase a capo della casa editrice non più sua, ma dopo pochi anni Stan Lee riuscì a prendere il suo posto. Questo gli permise di smettere di scrivere, guadagnando di più come publisher.

Ormai se n’erano andati anche Jack Kirby e Steve Ditko, e i nuovi disegnatori non avevano la loro creatività. Soprattutto, l’idea di lasciare il distributore della Dc per inondare il mercato di nuove serie si rivelò quasi fatale per le vendite: la Marvel ora batteva la Dc, d’accordo, ma entrambe perdevano copie. Solo alla fine degli anni settanta, con l’arrivo di Jim Shooter come editor in capo, la casa editrice tornò a imboccare la strada del successo.



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