PROMETHEA DI ALAN MOORE SPIEGATA

PROMETHEA DI ALAN MOORE SPIEGATA

Se cercate una serie a fumetti che abbia come obiettivo dichiarato contribuire all’evoluzione della coscienza umana, anche nella speranza del futuro superamento di ogni forma di conflitto interiore ed esteriore, questa è Promethea di Alan Moore e J. H. Williams III.

La protagonista, la studentessa Sophie Bangs, per opporsi a violenze fisiche o psicologiche usa come unica arma il potere delll’immaginazione. Non ha bisogno di travestirsi come un qualunque eroe mascherato, né subisce una semplice scissione della personalità come chi è affetto da tendenze schizoidi (1).

Insomma non fa finta di essere qualcun altro, ma permette a qualcosa di più vasto, che riveste un maggior significato e che esiste ad un livello diverso, di esprimersi attraverso di lei. In pratica Promethea è il suo doppio magico, ma non solo.

È un’idea vivente che rappresenta l’essenza stessa della magia, cioè dell’immaginazione concepita come qualcosa che non andrebbe considerato come fittizio, ma che in un certo senso esiste e permea il mondo in cui viviamo, né più né meno di quanto faccia la materia.

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Ovviamente nella serie questi presupposti sono portati alle estreme conseguenze. Attraverso la magia gli esseri immaginari riescono a prendere sostanza e ad agire nel mondo fisico, allo stesso modo in cui quelli dotati di un corpo fisico possono entrare mentalmente nel mondo immaginario dell’Immateria.

Un equivalente narrativo di ciò che nei suoi scritti Alan Moore ha definito anche come Ideaspace, uno spazio mentale in cui le idee possono muoversi ed evolversi, fino a prendere apparentemente vita.

Questo non riguarderebbe solo l’ambito privato di ognuno, ma coinciderebbe anche con una sorta di inconscio collettivo a cui tutti possono accedere, superando i limiti delle proprie fantasie personali così come un corpo supera i limiti di un’abitazione uscendo di casa (2).

In questa ipotesi, sviluppata in un fumetto, ma avanzata anche come seria possibilità, si potrebbe intravedere l’ esistenza di un doppio magico anche per l’intero mondo in cui viviamo, un doppio la cui presenza è stata più volte sospettata in varie e presunte dimensioni ultraterrene e che invece potrebbe essere chiamato tranquillamente immaginazione (3).

Questa teoria è stata sviluppata ed espressa a fumetti attraverso immagini raffinate ed evocative, accompagnate da continue sperimentazioni tecniche e grafiche, nell’arco di 32 albi poi raccolti in 5 volumi, pubblicati sotto l’etichetta America’s Best Comics tra il 1999 e il 2004.

La durata della serie non è stata casuale, poiché 32 è il numero che nella Cabala è associato al viaggio spirituale che partendo dal livello della Terra si dirige verso la Corona Suprema, l’essenza universale indifferenziata che qualcuno “superficialmente” chiama Dio.

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Il fuoco dell’Arte

Le origini di Promethea sono mostrate in flashback nel primo albo: la figlioletta di un mago egizio è messa in salvo dal padre facendola rifugiare nel luogo in cui vivono gli dèi, prima che alcuni monaci cristiani vengano a linciarlo e ucciderlo (4).

Il luogo è Alessandria d’Egitto nel 411 d.C., un’ambientazione non casuale. Nella prima pagina infatti si cita il personaggio storico di Ipazia, insegnante “pagana” di filosofia e astronoma di Alessandria, uccisa quattro anni prima da quegli stessi “monaci guerrieri” cristiani, religiosamente intolleranti (5).

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Anche il dio che accoglie la bimba nell’Immateria è un essere doppio, come molti dèi antichi che si identificavano l’uno con l’altro, essendo composto da Toth, dio egizio della scrittura e delle scienze arcane, e da Ermes, dio greco dei messaggi e degli incantesimi, che è anche la guida delle anime nell’aldilà.

Il caduceo di quest’ultimo (il bastone alato con due serpenti attorcigliati), simbolo doppio e magico per eccellenza, diventerà l’attributo principale attraverso cui si incanala il potere di Promethea.

La bimba si trasforma quindi in un’idea vivente che può manifestarsi nei due mondi, ma per assumere forma fisica deve essere evocata dalla fantasia di un mortale e prendere possesso di un corpo ospite che si identifichi con lei.

Di volta in volta, nel corso degli anni, è fatta rivivere da poeti, illustratrici e naturalmente autori di fumetti, che proiettandone l’immagine sui corpi propri o di persone a loro care, danno vita a diverse versioni di Promethea, una diversa dall’altra ma tutte ugualmente vere e vitali, che ne mantengono l’aspetto anche dopo la morte, continuando a vivere nell’Immateria.

Scrivendo una poesia su di lei, Sophie diventa quindi la nuova Promethea, e come le precedenti deve vedersela con una serie di minacce ultraterrene, “immaginarie” o concrete, da cui deve proteggere sé stessa e coloro che la circondano.

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Oltre a trattare magia e immaginazione, Promethea è anche di una serie sull’Arte con la A maiuscola, trattandosi di tre concetti che per Moore sono strettamente interconnessi, anzi, praticamente identificabili.

Molti termini, come “opera” o “creazione”, sono infatti utilizzati sia nei riti esoterici sia nell’espressione artistica ed entrambe le cose tentano di dare forma a un qualche potere della fantasia sulla materia, che è esattamente quello che si esprime in Promethea.

Il dono del fuoco all’umanità narrato dall’antico mito greco di Prometeo, qui diventa il dono di un fuoco interiore, quello della Fantasia, della Magia e dell’Arte, viste come realtà metaforiche, ma che hanno in sé la capacità di cambiare il mondo in base ai nostri desideri, poiché immaginarlo diverso è comunque il primo passo per modificarlo.

Alan Moore, insomma, nelle sue attività artistiche ritiene di aver compiuto contemporaneamente degli atti magici, suscettibili potenzialmente di smuovere qualcosa anche nel mondo fisico (6).

Per esplorare a fondo i territori della fantasia, Moore sostiene anche di essersi dotato lui stesso di un aiutante magico, scegliendo come propria guida l’immaginario dio-serpente Glicone (7).

Comunque sia, la sua dimestichezza con questi territori appare evidente anche per i profani, soprattutto nei testi delle sue performance con i musicisti Tim Perkins e Dave J (8) e naturalmente nelle sceneggiature di Promethea, profondamente imbevute di forme e teorie esoteriche.

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Le elaborate tecniche con cui queste storie sono realizzate, affidate per lo più alle matite di un eccezionale disegnatore come J. H. Williams III e alle chine di un altrettanto raffinato autore come Mick Gray, non sono secondarie, ma, come sempre dovrebbe accadere sia nella magia che nell’arte, sono parte integrante del messaggio.

Fin dall’inizio, la composizione delle copertine e delle pagine interne si accompagna a decorazioni simboliche e soluzioni grafiche sempre diverse, in sintonia con i contenuti di ogni episodio, che esprimono quanto non sarebbe possibile dire a parole.

Ciò influisce anche sul montaggio narrativo delle vignette, spesso disposte su due tavole, qualche volta seguendo un ordine che stravolge l’abituale senso di lettura.

Naturalmente questo può creare qualche problema ai lettori più pigri, ma non può mancare di entusiasmare quelli più esigenti in cerca di autentica creatività. In Promethea nulla è lasciato al caso, pur di ottenere un buon effetto “magico”…

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Le quattro armi magiche

Dopo qualche scaramuccia con alcuni demoni e un primo viaggio nell’Immateria, che soddisfano anche esigenze “commerciali” d’azione e divertimento, Sophie comincia a conoscere meglio le Promethee precedenti.

A turno la guidano nei rispettivi territori immaginari e le forniscono metaforicamente quattro armi magiche, cioè degli insegnamenti che le diano maggior comprensione e potere sia sulla fantasia che sulla realtà.

Le quattro armi, ispirate ai semi delle carte spagnole e napoletane: Coppe, Spade, Denari e Bastoni, in qualche modo coincidono con i quattro strumenti magici della tradizione celtica che si dice i mitici dèi irlandesi, i Tuatha De Danann (le genti della dea Dana), avessero portato da Tir Nan Og (la Terra della Gioventù).

Questi strumenti sono il calderone di Dagda, la spada di Nuada, la pietra di Fal e la lancia di Lug, attributi dei più importanti dèi o eroi d’Irlanda (9).
Secondo Alan Moore, la coppa rappresenta la Compassione, la spada l’Intelletto, i denari il Mondo Fisico e il bastone la Volontà, ma si identificano anche con i quattro elementi: Acqua, Aria, Terra e Fuoco. A significare che senza l’unione di tutti e quattro la nostra natura non sarebbe completa.

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È interessante notare come l’Immateria vive di metafore che rimandano al mondo concreto. Benché teoricamente privo di limiti, nei primi episodi sembra uno specchio deformato della realtà materiale in cui certi eventi restano cristallizzati.

Non si può dire comunque che uno dei due mondi, fisico o immaginario, derivi dall’altro: sono due realtà intrecciate inestricabilmente, di cui a volte è difficile stabilire dove si trovino i confini.

Bisogna considerare, però, che le precedenti Promethee non si erano allontanate molto dal mondo materiale. Una di loro, che agiva durante la Prima guerra mondiale, abita un mondo fiabesco dei sogni, la Misty Magic Land (Nebbiosa Terra della Magia), ispirata direttamente alla Slumberland (Terra del Sonno) in cui agiva Little Nemo nei fumetti di Winsor McCay all’inizio del Novecento (10).

Un’altra Promethea affronta mostri usciti dai pulp degli anni trenta, in una terra chiamata Hy-Brasil, nome di un’isola mitica della tradizione celtica (che secondo qualcuno ha dato il nome al Brasile), ma che qui indica un antico mondo fittizio affine a quello in cui si muove Conan il barbaro nei racconti di Robert Erwin Howard.

Un’altra ancora appartiene a storie a metà tra quelle dei supereroi e quelle dei fumetti rosa degli anni cinquanta.
Ognuna cita una forma di narrativa popolare di un diverso periodo del Novecento, in cui l’unico limite è la fantasia degli autori, che è pur sempre un limite.

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Anche il mondo di Sophie, una New York di un anno 2000 più avanzato del nostro, è un luogo ideato da uno scrittore. Quindi, a rigor di logica, dovrebbe anch’esso far parte dell’Immateria, ma meglio stare al gioco e fingere che sia reale, o le domande successive sarebbero: “Quanto è reale il nostro mondo?”; “Ci sarà qualcuno che sta immaginando noi?”.

Eppure il nome Sophie Bangs non sembra casuale, anche se Moore dice che quando iniziò la serie non sapeva che un altro scrittore di nome Bangs avesse già ambientato un romanzo in un mondo immaginario (11).

Sophie è il diminutivo di Sophia, che in greco significa Sapienza, proprio ciò di cui sono “amanti” coloro che si dicono filosofi (12). Inoltre nella Cabala la fonte nascosta del Tutto, identificata con Dio, è chiamata En Soph (l’Infinito) e Sophie è spesso chiamata Soph dall’amica Stacia. Come le dice il mago Jack Faust prima di far sesso con lei, “tutto ha un significato magico”.

Sophie, che non a caso è una studentessa in quanto simbolo della potenziale “Sapienza Infinita” a cui gli esseri umani possono accedere, ha bisogno che qualcuno le insegni, o le ricordi ciò che in fondo dentro di sé potrebbe già sapere. Molte rivelazioni somigliano a un risveglio di ciò che è già in noi.

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Pur senza essere freudiani, diventa chiaro, se ci si pensa, che la coppa rappresenta anche il sesso e la natura femminile, mentre il bastone è anche il sesso e il principio maschile, come Jack Faust insegna alla nuova Promethea con una dimostrazione molto, molto esplicita.

Invece nelle carte francesi e toscane, appartenenti ad ambienti più raffinati, i semi si stilizzano e si “ingentiliscono”: le coppe diventano i cuori, simbolo ancora più chiaro della compassione, le spade diventano le picche (in inglese spades, “vanghe”, come se l’intelletto dovesse anche scavare oltre ad essere affilato), i denari diventano i quadri (in inglese diamonds, “rombi” o “diamanti”, quindi ancora più legati alla terra e al mondo fisico) e i bastoni diventano i fiori (ma in inglese conservano lo stesso nome, clubs, letteralmente “clave” o “mazze”).

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L’apprendistato della magia, come dell’arte, non può però essere solo intellettuale e necessita di esperienze pratiche. L’atto sessuale con Faust, più che a soddisfare un vecchio libertino, serve a Promethea-Sophie per comprendere non solo con la testa, ma con tutto il suo essere, cosa significa spostarsi su altri livelli di coscienza.

Il cosiddetto sesso tantrico (13), creando identificazioni successive con i diversi chakra, le fa sperimentare anticipatamente le emozioni contrastanti ed estatiche che la attendono in quello che sarà il suo viaggio più importante: l’ascesa verso le sfere più elevate della Cabala (14).

 

L’Albero della Cabala

Dopo il periodo di studio con Jack Faust, ricevuta un’ultima serie di insegnamenti dai serpenti del suo caduceo in un episodio particolarmente sperimentale (15), Promethea si immerge nell’Immateria seguendo la mappa dell’Albero della Vita, una struttura immaginaria messa a punto dalla Cabala, la tradizione mistica ebraica, a cui sono stati sovrapposti nel corso dei secoli molti simboli di diversa provenienza.

È considerata una rappresentazione sintetica sia della natura umana sia dell’intero Universo, in una stretta corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, tra ogni individuo e l’Essere Cosmico che costituirebbe il doppio privo di limiti di ognuno di noi (16).

Libri recenti sulla Cabala tendono a proporre l’uso dell’Albero della Vita per affrontare e risolvere anche i più banali problemi quotidiani, più che per pure meditazioni mistiche, trattandone i segreti, a questo punto non più tanto “segreti”, in modo meno serioso e più accessibile, ma anche enormemente semplificato, rispetto ai trattati antichi.

Senza togliere nulla alla profondità degli studi esoterici di Moore, devono essere stati probabilmente manuali “pratici” di questo tipo a fornirgli gli strumenti più utili per districarsi nella materia (17).

 

La scusa per il viaggio è fornita dalla ricerca dell’anima di Barbara Shelley, la Promethea prima di Sophie, che dopo morta si è addentrata nell’Immateria per ricongiungersi allo spirito del marito.

Da questo momento gli elementi più avventurosi e dinamici, già messi da parte più d’una volta, sono delegati alle apparizioni saltuarie di un’altra Promethea che sostituisce Sophie sulla Terra, mentre gli autori passano a concentrarsi sulle fantastiche rappresentazioni delle sfere cabalistiche, accompagnate da dotte e ironiche dissertazioni filosofiche.

I lettori neofiti scoprono così che l’Albero della Vita è diviso in dieci sfere o centri manifesti, chiamati Sefiroth (Numeri), disposti in ordine progressivo a partire dall’alto, identificati tra l’altro con i pianeti e collegati da ventidue “vie” o “strade”, a loro volta identificabili con le carte dei Tarocchi (18).

 

Il viaggio di Promethea parte ovviamente dalla Sefirah di Malkut, il “Regno”, che corrisponde al pianeta e all’elemento Terra ed è il piano materiale su cui viviamo fisicamente, mentre dentro e attorno a noi si svolge il “discorso divino” (19).

Da qui prende il via la 32sima via, corrispondente alla carta dell’Universo (o “Il Mondo”), che raffigura una donna che danza con un serpente (20). Supera poi il fiume Stige, che nei miti greci divide il mondo dei vivi da quello dei morti, e giunge alla Sefirah di Yesod, il “Fondamento”, che corrisponde alla Luna ed è legata alla sessualità (21) e ai sogni, che già nella Cabala si identificavano con un abisso della coscienza analogo al Subconscio.

Qui Promethea, in mezzo a immagini di personaggi reali e fantastici, tra cui vari “viaggiatori lunari”, ritrova la propria amica e proseguono insieme la ricerca. L’associazione tra il mondo inconscio dei sogni e il regno dei morti mitologico è esplicita (22).

In questo luogo si possono incontrare solo parvenze di vita, dei sogni appunto, doppi inconsistenti e prevedibili delle vite reali; per trovare i simboli che danno forza e sostanza all’anima occorre andare oltre.

 

Percorrendo a ritroso la “folgore” dell’Albero della Vita, ovvero la strada simbolica che avrebbe compiuto lo Spirito Divino per manifestare il Mondo, prendono quindi la via che equivale alla carta del Sole e che le conduce alla Sefirah di Hod, lo “Splendore” (o “Maestà”), la sfera di Mercurio, associata anche all’omonima sostanza, che è il regno dell’intelletto razionale e del linguaggio.

Qui trovano gli dèi della magia che avrebbero inventato Promethea e i loro corrispondenti di altre culture, oltre ad alcuni moderni maghi. Poi attraversano la via della Torre e passano nella Sefirah di Netzach, la “Vittoria” (o “Eternità”, o “Pazienza”), sfera dei sentimenti istintivi e del pianeta Venere, che bilancia quella dell’intelletto ed è associata all’elemento Acqua (23).

Il successivo passaggio cruciale è la via della Morte, che è indispensabile accettare e superare, rinunciando al proprio io terreno, per accedere alla Sefirah di Tifareth, la “Bellezza” (o “Gloria”, detta anche Rachamim, “Pietà”), sfera del centro della coscienza che si identifica col Sole e con l’Oro e rappresenta il punto più alto della personalità umana, l’io di ognuno di noi che coincide con quello dell’Universo, la voce percepibile del respiro divino, ovvero suo figlio (24).

 

Viene poi la strada della Giustizia che le porta alla Sefirah di Geburah, la “Forza” (o “Potenza”, detta anche Din, “Giustizia”), la sfera di Marte associata all’elemento Fuoco, che rappresenta la volontà e il giudizio della parte superiore dell’Anima.

Un luogo pericoloso se ci si identifica troppo con esso perché può portare a eccessiva severità e distruzione, ma da lì la via della Forza le conduce alla Sefirah che lo bilancia, Chesed, la “Misericordia” (o “Amore”), sfera del pianeta Giove associata all’Aria (ma anche all’Acqua, per contrapporla al fuoco di Geburah), in cui ci si identifica con la benevolenza paterna, l’aspetto creativo e protettivo degli dèi del cielo.

Da questo punto non c’è sull’Albero un sentiero diretto che porti alla sfera successiva lungo la “folgore divina” e del resto nei miti sembra che la folgore venga da qui, dalla mano di Zeus o dal martello di Thor.

Si direbbe che abbia percorso una via che non esiste più, o che solo la Divinità poteva percorrere. Inoltre lungo la sua strada è posta una sfera occulta priva di numero, chiamata Daath, la “Conoscenza” (25), nel punto in cui un “abisso” divide le sfere degli archetipi dell’Anima da quelle più alte, appartenenti direttamente allo Spirito Divino.

In realtà sulla “mappa” ci sarebbero altre strade secondarie che potrebbero portare lassù (26), ma è chiaro che Moore non ama le comode scorciatoie, quindi deve far superare alle sue eroine quel baratro e lo fa creando qualcosa di originale, enigmatico e, come sempre, geniale, in cui si intravedono gli echi delle opere di Howard Phillips Lovecraft.

 

In qualche modo riescono dunque a raggiungere la terza Sefirah, Binah, la “Comprensione” (o “Intelligenza”), la stabile sfera di Saturno, che rappresenta l’amore e la consapevolezza spirituale, il principio passivo, la parola interna non udibile, il “Mondo Futuro” a cui tornano le anime.

Qui appare loro la doppia natura dell’aspetto più alto della Dea Madre, di cui la stessa Promethea non è che un aspetto. Poi la via dell’Imperatrice, un altro simbolo del potere generativo della Dea, le porta alla seconda Sefirah, Chokmah, la “Saggezza” (o “Sapienza”), il pensiero abissale che rappresenta la volontà e il fine dello Spirito Divino, che origina e governa ogni attività e dinamismo (27), il principio maschile che si unisce al principio femminile e che Moore e Williams rappresentano senza nessuna soggezione o censura dogmatica.

L’11simo sentiero, quello del Matto, le porta infine a ritrovare il marito di Barbara nella prima Sefirah, Kether ‘Eliyon, la “Corona Suprema” (chiamata anche Ayn, il “Nulla”), l’Io Universale in cui tutte le differenze si dissolvono, il punto abbagliante senza dimensioni o movimento, il vuoto in cui l’Infinito si manifesta e da cui scaturisce il Tutto (28).

 

Ogni tappa, compresa l’ultima, è rappresentata con una cura e un’attenzione ai minimi dettagli che rasenta la perfezione.
Questo viaggio potrà anche risultare un po’ noioso per chi si entusiasma solamente quando può tifare tra due energumeni che se le suonano, ma è quanto di più vicino alla Divina Commedia sia mai stato realizzato nel mondo del fumetto (29).

Senza entrare nel merito artistico, Moore usa delle allegorie più universali di quelle Dante e pur rivendicando una certa sostanza alla fantasia, ha l’accortezza di tenere separati i diversi piani, senza confondere le metafore con delle realtà concrete.

 

Doppia battaglia tra esseri duplici

Promethea n. 24 è l’ennesimo episodio originale in una serie in cui non ne esistono di banali. Tornata dal suo viaggio, Sophie si deve scontrare con la Promethea che aveva lasciato al suo posto e che è un po’ refrattaria a ritornarsene in pensione.

Assistiamo in parallelo al flashback di un lontano ricordo sepolto, di un’epoca in cui ci furono contemporaneamente due Promethee, una cristiana e una musulmana, incapaci di comprendersi e destinate a combattersi senza esclusione di colpi, pur essendo due forme della stessa persona simbolica.

Mentre passato e presente si confondono, assistiamo quindi a un doppio conflitto tra due coppie di fantastici doppi magici incarnati in corpi di donne diverse, che però condividono essenzialmente una sola natura ed una sola anima.

Ci si può chiedere se quando combattiamo qualcuno non stiamo per caso combattendo noi stessi, o riflettere su quale sia il senso di considerare sempre giusta la nostra violenza e sbagliata solo quella degli altri. Non male in fondo, per un episodio su una semplice “scazzottata”.

 

L’Apocalisse prossima ventura

Il quinto e ultimo volume della serie è ambientato tre anni dopo il quarto. Nel frattempo Sophie Bangs ha tentato di evitare i suoi doveri di Promethea, perché sembra che questi comprendessero qualcosa di cui la maggior parte della gente ha una cattiva opinione: la fine del Mondo.

In questo caso diciamo che si tratta della fine di un mondo fatto di guerre, sopraffazioni, odio, miserie e sistematiche violenze di ogni genere. Un mondo politico, economico, religioso, ideologico e tecnologico che troppo spesso continua ad essere disumano e disumanizzante e la cui fine, in un certo senso, non sarebbe quindi necessariamente una brutta cosa.

In cosa poi consista esattamente questa “fine del Mondo” non è del tutto chiaro, fino alla conclusione della storia e non si può certo essere così crudeli da anticiparlo qui.

 

Comunque di Apocalissi ne sono già state raccontate tante, soprattutto se si considera che ancora non ne è mai capitata nessuna. Le più belle, come sempre, sono quelle mitologiche, che se non altro hanno il pregio di poter essere interpretate in molti modi.

Nei miti dell’India (30) come nel Ragnarok della Scandinavia (31), nonostante certi elementi cruenti, c’è un aspetto consolante: dopo la fine del mondo attuale ne nascerebbe un altro, con degli dèi nuovi di zecca, probabilmente destinati a loro volta a scomparire per poi essere sostituiti da altri insieme al loro mondo.

La morale è che l’esistenza è un ciclo, perché nasca qualcosa di nuovo deve morire il vecchio e da ogni fine può rinascere qualcosa. Invece nelle religioni monoteiste o legate a un presunto profeta storico, che si chiami Siddharta, Jesus o futuro Messia, c’è questo dio umanizzato, o essere umano divinizzato, a cui viene lasciata la responsabilità di venire alla fine di tutto a constatare i disastri che si saranno combinati nel frattempo, a rimettere a posto in qualche modo i cocci e a spengere la luce definitivamente dietro di sé allo scadere dell’orario di chiusura.

Il ciclo conclusivo di Promethea prende qualcosa da entrambi questi modi di concepire la fine, ma non sposa completamente nessuno dei due.
Per la verità non si può dire che la rivelazione finale della storia giunga del tutto inattesa, per lo meno per chi si intende un po’ di cose esoteriche.

Anche perché Moore, nel suo desiderio di diffusione della sapienza misterica, aveva distillato tutta una serie di rivelazioni continue, un po’ per volta, nel corso della serie e, così facendo, inevitabilmente aveva già anticipato molto.

Un lettore smaliziato, insomma, potrebbe anche intuire a grandi linee cosa lo attende nell’ultimo volume, al di là del fatto che la storia è come sempre narrata in modo meraviglioso, col notevole apporto dei “dipinti fotografici” di Josè Villarubia e ricorrendo in modo inatteso anche ad elementi quotidiani che vengono caricati di un significato magico senza limiti.

La realtà apparente delle cose viene semplicemente scardinata più volte e poi ricomposta. La doppia natura dell’esistenza risulta ormai evidente agli occhi di chiunque voglia vederla. Il dirompente potere della fantasia si mostra in tutta la sua innegabile verità e poi si nasconde ancora dietro tentativi di spiegazioni razionali.

La protagonista cresce, matura, cambia e compie azioni definitive e “irrimediabili”, senza nessuna apparente possibilità di tornare sui suoi passi. Sullo sfondo intanto, personaggi estremi, colti nel loro più estremo momento di inquietudine, tentano di cogliere le loro ultime occasioni prima della fine…

Ma quello che comunque è veramente affascinante e rivoluzionario in questa Apocalisse, al di là del fatto che il mondo raggiunga o meno la tanto sospirata pace, è che ad accoglierci, alla fine, una volta tanto ci sia una bella donna.

 

Titolo: Promethea (serie di 5 volumi)
Testi: Alan Moore
Matite e dipinti: J. H. Williams III (con la collaborazione di Charles Vess e Josè Villarubia)
Chine: Mick Gray
Colori digitali: Jeremy Cox
Formato: variabile tra 168 e 192 pagine

 

Note

1) Sul carattere schizoide e schizofrenico vedere ad esempio il volume di Ronald Laing “The Divided Self”, Tavistock Publications 1959 – edizione italiana “L’Io Diviso”, Einaudi 1969.

2) “Lo spazio all’interno della nostra casa è interamente nostro, eppure se facciamo un passo fuori dalla porta d’ingresso ci ritroviamo in una strada, in un mondo che è mutuamente accessibile e aperto a tutti. E se questo fosse vero anche per la mente? E se potessimo viaggiare oltre i confini dello spazio mentale individuale verso lo spazio comune esterno, dove potremmo incontrare le menti di altre persone in uno spazio condiviso? Questo potrebbe spiegare di colpo fenomeni controversi come quella che viene definita telepatia o trasmissione delle conoscenze a distanza, ma spiegherebbe anche dei fenomeni più ordinari, anche se altrettanto intriganti. Quando James Watt scoprì la propulsione a vapore, per esempio, ci fu un gran numero di altri inventori a cui venne la stessa idea nello stesso anno, in modo del tutto indipendente…”, da “Alan Moore intervistato da Eddie Campbell”, traduzione di Smoky Man, introduzione al volume “Serpenti e Scale” di Moore e Campbell, edizione italiana Black Velvet Editrice 2003.

3) “Quando venni per la prima volta iniziato alla magia, si trattò di un evento spontaneo, non stabilito: i miei pensieri parvero focalizzarsi su un argomento, che la consapevolezza è uno spazio, la mente può essere osservata come uno spazio e quello spazio può essere occupato. Ci possono essere entità che sono indigene di quello spazio. Flora e fauna del mondo mentale, il ché credo sia più che sufficiente a spiegare tutti i demoni, gli angeli, le chimere, gli alieni grigi, gli elfi, i folletti, le fate della cultura umana”, da un’intervista ad Alan Moore, a cura di Barry Kavanagh, traduzione di Smoky Man dal sito Ultrazine.it.

4) Con gli editti di Tessalonica (380 d.C.) e Costantinopoli (392 d.C.) emanati dall’imperatore romano Teodosio, il cristianesimo diventò la religione ufficiale di stato dell’Impero Romano e tutti gli altri culti vennero aboliti e dichiarati fuori legge, anche come conseguenza dell’opera propagandistica del vescovo di Milano Ambrogio.

5) “Nel 415 d.C., il patriarca cristiano di Alessandria d’Egitto, Cirillo, istigò i suoi monaci combattenti ad uccidere la nota “maestra di filosofia” Ipazia (Hypatia: 370-415 d.C.), figlia di Teone, matematico e Rettore dell’Università di Alessandria. Donna di grande saggezza versata in filosofia, matematica e astronomia, Ipazia aveva fondato una scuola rinomata (…) Cirillo ordinò la sua cattura e la mandò a morte, in una chiesa, facendola scarnificare viva con conchiglie taglienti; i suoi resti furono gettati in una cloaca. (…) Cirillo fu in seguito canonizzato dalla chiesa e ancora oggi viene celebrato ad Alessandria il 9 febbraio e nelle chiese latine il 28 gennaio. Ipazia era talmente stimata e apprezzata per la sua brillante intelligenza che il suo assassinio è stato considerato da molti come la morte del mondo e della cultura pagana. (…) anche i suoi discepoli furono uccisi, gli scritti bruciati ed i suoi insegnamenti andarono in parte perduti. Alcuni suoi lavori, conosciuti anche in Oriente, vennero tradotti in arabo e furono resi noti in Occidente dopo oltre mille anni di silenzio”, sintetizzato dal sito Alatheus.it. Ipazia è apparsa anche in un fumetto, nella storia di Corto Maltese “Sirat Al-Bunduqiyyah – Favola di Venezia”, realizzata da Hugo Pratt nel 1977, e in un film del 2009, “Agorà” diretto da Alejandro Amenábar e interpretato da Rachel Weisz.

6) “Non faccio distinzioni tra magia e arte. Quando mi misi nella magia, compresi che lo avevo fatto per tutto il tempo, da quando scrissi la mia prima patetica storia o poesia quando avevo dodici anni o qualsiasi altra cosa. Questa è stata la mia magia, il mio modo di averci a che fare”, da un’intervista ad Alan Moore, a cura di Barry Kavanagh, traduzione di Smoky Man dal sito Ultrazine.it.

7) Glykon fu un dio venerato per breve tempo in Dacia, oggi parte della Romania, nel II secolo d.C.

8) Sulle performance di Alan Moore e le versioni a fumetti di Eddie Campbell che ne sono state tratte, vedere articolo “Alan Moore: Eroi, orchi e serpenti” www.de-code.net/approfondimenti_scheda.asp?tipo=1&id=10.

9) Sia la Spagna sia la Francia, in cui gli attuali semi e figure furono aggiunti alle carte da gioco provenienti dai paesi arabi, erano e sono abitate da popoli d’origine celtica. Le quattro armi magiche dei Thuata De Danann sono anche al centro di una storia a fumetti della serie di Slaine, The Horned God, scritta da Pat Mills, dipinta da Simon Bisley e liberamente ispirata a leggende irlandesi (edizione italiana in tre album: Il Dio Cornuto, Magic Press). Il tema di queste quattro armi mitiche è stato sviluppato, in modo molto diverso, anche da Alfredo Castelli nella sua serie di Martin Mystère, ipotizzando una loro improbabile origine extraterrestre.

10) Su Little Nemo di Winsor McCay, vedere l’articolo “Da Freud a Little Nemo… e oltre – Viaggio cosciente nei sogni a fumetti”, alla pagina www.segretidipulcinella.it/sdp19/art_02.htm

11) Si tratta di John Kendrick Bangs, autore di “Un Houseboat sullo Stige”, Harper 1896. Moore ha usato il suo libro come spunto per Promethea n. 14, spacciandone l’autore per un “lontano zio” di Sophie.

12) In greco, filosofia significa letteralmente “amore per la sapienza”. Sophia o Sofa era anche un appellativo di Athena, in quanto dea della Sapienza. Nel Cristianesimo gnostico, Sophia è la luce nata dalla Fede, che separa il cosmo dal Caos sottostante, cioè dall’illimitato abisso oscuro delle acque primordiali, secondo il mito delle origini del testo copto Pistis Sophia (rinvenuto a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945 e risalente al 400 d.C.). In Promethea n. 21, Alan Moore identifica la Sophia con la Shekinah, la Presenza Divina della Cabala, che si manifesta discendendo nella sfera materiale di Malkut, così come Promethea si manifesta nel corpo di Sophie.

13) Con “sesso tantrico” si indicano atti di “magia sessuale” ispirati a teorie dalle filosofie indiane dello Yoga e del Tantra, ma in India non risulta sia praticato fisicamente, almeno non da adepti ortodossi delle attuali religioni locali, che nonostante l’uso di simboli sessuali, come il linga (il sesso maschile) e la yoni (il sesso femminile), attuano una repressione dei propri istinti anche maggiore di quelle occidentali.

14) Da sempre le discipline magiche tendono a identificare strutture simboliche di diverse tradizioni mistiche. I sette chakra indiani (una sorta di centri energetici), si possono far coincidere con i sette livelli dell’Albero della Vita cabalistico ed entrambi si possono sovrapporre a punti del corpo umano in modo abbastanza coerente.

15) In Promethea n. 12 si sovrappongono in modo coerente: la storia del mondo narrata in rima dai serpenti, le figure dei tarocchi, degli anagrammi del nome Promethea e una barzelletta raccontata dall’occultista Alistair Crowley. Ogni pagina è una vignetta che continua nella successiva e l’ultima si collega alla prima. Il senso può essere che, nella magia, le corrispondenze (artificiose o meno) unificano i concetti e svelano le verità comuni.

16) Nei testi cabalistici raccolti sotto il nome di Zohar (Il libro dello splendore) si fa anche una distinzione interna all’Albero della Vita tra “Grande Volto” e “Piccolo Volto”, descritti minuziosamente come simboli della doppia natura dello Spirito Divino e dell’Anima, ovvero il Padre e il Figlio, che si riflettono l’uno nell’altro.

17) Vedere il libro di Will Parfitt “The Elements of the Qabalah”, Elements Books Limited 1991, edizione italiana “La Cabala”, Oscar Mondadori 2000. Un manualetto di Cabala semplificata che descrive esattamente la stessa struttura e le stesse corrispondenze dell’Albero della vita utilizzate da Moore per Promethea.

18) In versioni antiche le Sefiroth si identificano anche coi vari nomi di Dio, gli Arcangeli, le gerarchie angeliche e addirittura con ordini demoniaci e Arcidiavoli, che ne costituirebbero l’aspetto negativo, nascosto nei cosiddetti Qliphoth, i “gusci” che ne restano quando se ne allontana lo Spirito Divino. Le Sefiroth e le vie che le uniscono possono essere associate anche a divinità, animali, piante, pietre, elementi, lettere, punti cardinali o segni zodiacali, rappresentando tutte le forme in cui si manifesta la Divinità e quindi l’intero Universo. L’identificazione delle ventidue vie con i ventidue Tarocchi maggiori è dovuta ad occultisti del XIX secolo, mentre in origine il loro numero era messo in relazione soprattutto con le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico.

19) La Sefirah di Malkut si identifica anche con la Shekinà, la “Presenza Divina”, in quanto manifestazione fisica della Divinità, ed è quindi chiamata anche Regina o Moglie (di Dio). Nello yoga corrisponderebbe al chakra Muladhara, il “Sostegno alla base”, collocato tra ano e genitali, dove l’energia femminile di Kundalini è attorcigliata su sé stessa come un serpente (sul significato di questo simbolo, vedi nota 20)

20) Moore ritiene che rappresenti l’Immaginazione che si intreccia con la vita (identificando il Serpente con la doppia elica del Dna). La Dea Madre dei culti antichi (identificabile anche con Maya, l’Illusione) è spesso associata al Serpente, simbolo di trasformazione e rinnovamento legato agli elementi e in genere a tutto ciò che fluisce, come i fiumi a cui assomiglia, l’energia, il Tempo e come appunto la Vita. L’interpretazione di Moore è un po’ restrittiva, poiché in molti miti il Serpente, in quanto simbolo del fluire dell’esistenza, è associato anche ad eventi ciclici naturali come alluvioni o siccità e non unicamente agli esseri viventi. Un grande serpente, o più esattamente un drago, di nome Nidhogg, si trova anche alle radici di Yggdrasill, il frassino cosmico che costituisce un equivalente dell’Albero cabalistico nella tradizione nordica.

21) In origine Yesod rappresenta il simbolo della circoncisione, considerata il “fondamento” del culto ebraico. Nello yoga sarebbe il chakra Svadhisthana, “Che sta al proprio posto”, alla base dell’organo genitale.

22) L’affinità tra simboli degli Inferi e dell’Inconscio è stata trattata nel 1979 dallo psicologo James Hillman, nel suo libro “The Dream and the Underworld” – edizione italiana “Il Sogno e il Mondo Infero”, Adelphi 2003.

23) Hod e Netzach, nello Yoga corrisponderebbero al chakra Manipura, la “Città della Gemma”, posto nella zona dell’ombelico, in cui si concentrano le tendenze possessive che in effetti possono essere comuni sia all’ambito intellettuale e razionale che a quello sentimentale e istintivo.

24) Tifareth rappresenta la pietà, in quanto intermediaria tra le sfere superiori del Giudizio e dell’Amore. Nello yoga sarebbe il chakra del cuore, Anahata, “Che risuona senza colpo”, il luogo in cui gli opposti si uniscono.

25) Nella cabala moderna, Daath è stata identificata con il pianeta Urano, un tempo sconosciuto, mentre Moore ha preferito un’altra soluzione. Nello yoga corrisponderebbe al chakra della gola, Vishudda, il “Purissimo”.

26) Una delle pochissime imprecisioni di Moore è riscontrabile quando, su Promethea n. 20, fa dire a Sophie che “non ci sono vie che partono dalla quarta sfera”. Oltre a tre vie che tornano indietro, ci sarebbe stata la 16sima strada, quella del Papa, che però avrebbe avuto il difetto di passare direttamente alla seconda sfera saltando la terza, quella della Madre Divina (si sa, i papi negano da sempre l’aspetto femminile della Divinità…).

27) Nella Bibbia, Binah corrisponde alle acque primordiali, mentre Chokmah, che nella Cabala moderna è stata associata al pianeta Nettuno, corrisponde allo Spirito di Dio che aleggia sulle acque. Binah e Chokmah nello yoga corrispondono al “terzo occhio” tra le sopracciglia, Ajna, “Dove si realizza il comando”, e infatti quando Promethea visita queste due sfere appare sulla sua fronte un terzo occhio inscritto in un triangolo. In Binah, sfera di Saturno, Moore inserisce anche delle falene di una specie chiamata Saturniae Promethea, “Promethea di Saturno”, della cui esistenza pare non fosse a conoscenza quando iniziò a scrivere la serie.

28) Nella Cabala moderna, Kether è fatta coincidere con il pianeta Plutone, probabilmente perché anche l’antico dio degli Inferi rappresentava il Nulla che segue o precede l’esistenza. Nello Yoga corrisponderebbe al chakra Sahasrara, il “Loto dai Mille Petali”, alla sommità del capo, appena sotto o appena sopra la calotta cranica.

29) La struttura dell’Universo della Divina Commedia è simile a un’altra immagine cabalistica delle Sefiroth: l’Adam Qadmon, l'”Adamo Celeste”, l’Uomo Cosmico inscritto in dieci sfere concentriche, il cui punto centrale, la Sefirah di Yesod, coincide con il suo sesso e corrisponde anche alla posizione dell’Inferno dantesco. Dante prima scende negli Inferi e poi risale dall’altra parte della Terra, ma la sua direzione non cambia, come se percorresse in linea retta l’Albero della Cabala, da Malkut verso Kether. Quindi il cunicolo che dal centro della Terra lo porta all’isola del Purgatorio e poi il monte del Purgatorio stesso corrisponderebbero alla via dell’Arte, che si interseca con quella della Torre e che conduce a Tifareth, la sfera del Sole. Questa si può considerare in relazione con il giardino dell’Eden che è in cima al Purgatorio, dove Dante invoca Apollo e vede sorgere un Sole che lo illumina. L’albero proibito della Conoscenza, che sovrasta l’Eden, può essere in relazione con la Sefirah occulta della Sapienza, Daath, o con le Sefiroth superiori in genere, come dice anche il testo cabalistico dello Zohar. Saranno coincidenze, ma mentre la guida di Dante lungo la “via dell’Arte” era un artista, Virgilio, lungo l’equivalente della via della Papessa, che porta da Tifareth a Kether, lo accompagna invece una donna, Beatrice. I nove cieli del Paradiso dantesco più quello della Terra sono poi identici ai dieci cerchi dell’Adam Qadmon e rappresentano le stesse sfere dei pianeti cabalistici (quelli conosciuti dagli antichi) associate a significati più o meno analoghi e poste nello stesso ordine, anche se numerate in senso inverso. Infine l’Empireo di Dante corrisponde perfettamente a Kether.

30) Il principale mito apocalittico indù, dice che l’ultima incarnazione di Vishnu, chiamata Kalkin, col suo cavallo bianco e la sua spada fiammante “purificherà” il Mondo dal male, ponendo fine al Kali Yuga, l’attuale “Età Perdente”, a cui, dopo un crepuscolo di 360.000 anni, seguirà un nuovo Krta Yuga, o “Età Perfetta”.

31) Il Ragnarok, o Crepuscolo degli Dèi, degli antichi popoli nordici, in cui i troll e i giganti insorgeranno contro gli dèi di Asgard e l’oscuro dio Surtur salirà dall’abisso con la sua spada di fuoco a incendiare il Mondo, è stato narrato anche a fumetti, da Lee e Kirby in due puntate di Tales of Asgard del 1966, e poi ha minacciato di verificarsi più volte nelle storie di Thor. La versione operistica germanica, capitolo conclusivo del ciclo dell’Anello di Wagner, è stata adattata a fumetti due volte, da Roy Thomas e Gil Kane e da P. Craig Russell.

 

 

(Da De: Code n. 1 e Glamazonia)

 

 

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