METAL HURLANT, UNA RIVOLUZIONE DEL FUMETTO A METÀ
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Nel 1975 la comparsa nelle edicole francesi della rivista Metal Hurlant non passò certo inosservata. Per dirla tutta, ai tempi la parola che ricorreva più spesso era rivoluzione.
Alla maggior parte dei lettori sembrò effettivamente di trovarsi di fronte a un vero e proprio stravolgimento epocale.
Nuovi orizzonti sembravano spalancarsi per il fumetto, nuovi mondi da esplorare e lo stesso fermento si era impadronito sia degli autori sia dei lettori. A distanza di anni alcuni entusiasmi appaiono oggi francamente esagerati, anche se molte cose da allora sono cambiate effettivamente.
Se questi cambiamenti abbiano influito positivamente o negativamente sullo sviluppo del fumetto è ancora oggi oggetto di dibattito.
Gli Umanoidi Associati e Metal Hurlant
Il primo numero di Metal Hurlant viene pubblicato all’inizio del 1975, in un formato di 21 x 27 cm, per 68 pagine di cui 18 a colori. Il prezzo della rivista è di 8 franchi.
Durante il primo anno escono quattro numeri, data la periodicità trimestrale.
Nella copertina del primo numero c’è una illustrazione di Moebius, sormontata dalla testata “Metal Hurlant” che varia il logo a ogni numero. Le diciture “Gli umanoidi associati” e “Riservato agli adulti” sono inserite nella testata.
Il direttore Jean Pierre Dionnet scrive nell’editoriale del primo numero:
“Il 19 dicembre del 1974, alle quattro del mattino ora locale, al confine tra Livry-Gargan e la foresta di Clichy sono finalmente insieme Druillet, l’illuminatore paranoico; Moebius alias Gir, alias Giraud, alias l’artista dalle mille facce; Jean-Pierre Dionnet detto gratta-gratta, vostro umile servitore; e Bernard Farkas, che è venuto a mettere un po’ di ordine nei nostri grandiosi progetti e un po’ di anima nei nostri conti; all’unanimità dichiarano che d’ora in avanti risponderanno soltanto al nome collettivo di Umanoidi Associati”.
L’editoriale prosegue spiegando che la rivista è stata creata per pubblicare “racconti di Fantascienza a fumetti in cui dare libero sfogo alle fantasie più putride e compiaciute…”.
E fantascienza fu, senza dubbio, ma una fantascienza abbastanza diversa da quella che forse si aspettavano i lettori.
Moebius e Druillet
Il primo numero parte con due storie realizzate a quattro mani da Philippe Druillet e Jean Giraud nella sua identità di Moebius. “Approche sur Centauri” (“Avvicinandosi a Centauri”) è una gemma sorprendente. Cinque pagine aliene che stravolgono i vecchi concetti di fantascienza e proiettano l’intero genere nel futuro.
Perché “Approche sur Centauri” è così grandioso?
Perché contamina la nostra tecnologia avanzata, razionale e pulita (come si vede nella prima pagina) con mostruosità irrazionali che giacciono nello spazio profondo, che poi non è altro che lo spazio interno a noi stessi. Il biologico straborda e si mischia al tecnologico, per partorire nuovi mostri che sono l’incarnazione di quelli presenti nella nostra mente. Anche “Rut”, con Moebius all’acceleratore, è una storia di mostri e navi spaziali e tute spaziali pervasa però da un pizzico di follia.
Arzach
Arzach, di Moebius, fu la vera rivoluzione di tutta l’epopea di Metal Hurlant. Ancora oggi guardare queste tavole mette soggezione. Sono curatissime dal punto di vista formale, a un livello tale che forse mai si era visto in precedenza in un fumetto. In più sono a colori. Inoltre sono storie mute, senza balloon e senza didascalie. Ci si chiede oggi il senso di questo enorme divario tra la potenza visionaria degli splendidi disegni messi al servizio di una storia che è poco di più di uno scherzo, nemmeno troppo riuscito.
La magnificenza delle immagini, che comunque sono qualcosa più di semplici illustrazioni, avrebbe necessitato di una storia di maggior spessore che riuscisse ad andare in profondità. Può darsi che Moebius non ne fosse capace, ma allora perché non chiedere aiuto a qualcuno? Oggi la sensazione che rimane è quella di un talento unico malamente sprecato.
C Do Pey
Unico autore non francese a comparire nel primo numero di Metal Hurlant è il gigante dell’underground americano Richard Corben, con un racconto a colori di 8 pagine risalente al 1971. La presenza di Corben è piena di significato: è una specie di investitura, il riconoscimento di un debito. Gli autori di Metal ammettono di avere un predecessore, qualcuno che ha esplorato la loro stessa strada qualche anno prima.
Le tavole di Corben sono in pieno stile umanoide, ambientate in un futuro imprecisato su di un pianeta imprecisato popolato da creature bizzarre e primitive. Il disegno, come sempre evocativo, rifulge qui nella magnificenza del colore. La storia, senza grandi pretese, sfiora i temi del ritorno alla natura e dell’esistenza di un ciclo universale che coinvolge tutte le creature viventi.
L’armata dei conquistatori
Il primo numero si conclude con un fumetto più tradizionale rispetto agli altri, ma che forse proprio per questo ha superato meno peggio la prova del tempo. Il disegnatore sembra unire in qualche modo l’arte scultorea dell’americano John Buscema alla finezza della linea dell’inglese Barry Windsor Smith.
Il suo nome è Jean-Claude Gal, un disegnatore falciato nella migliore età. Nato nel 1942 e morto prematuramente nel 1994, Jean-Claude inventa una via tutta francese alla sword and sorcery che ancora oggi è capace di suggestionare. L’avventura, scritta da Jean-Pierre Dionnet, inizia in una specie di decadente medioevo per scivolare pian piano in una indeterminata età del bronzo. La saga di Arn è un mondo dove templi maledetti si ergono in deserti sconfinati, streghe millenarie ammazzano la noia con sacrifici umani e fantasmi urlanti si disputano membra umane.
Gail
Con il secondo numero fa il suo ritorno il principale personaggio di Druillet: Lone Sloane in un racconto a colori di otto pagine. A differenza della precedente storia di Sloane, la splendida Delirius del 1973 scritta da Jaques Lob (che Giornale POP ha esaminato QUI), qui Druillet si occupa anche dei testi come molti disegnatori umanoidi avevano iniziato a fare in un delirio di presunzione che non avrebbe portato a nulla di buono. La storia infatti non è una storia. È più un assemblaggio di sensazioni, un collage di umori neri e di desolazione.
Vi si narra di un mondo popolato da legioni di mercenari sempre pronti a uccidere, dove tutti combattono contro tutti in una corsa forsennata all’annichilimento totale. I disegni, pur splendidamente realizzati, sono più una serie di illustrazioni dai toni minacciosi e dai colori acidi, tutti a pagina intera, che una narrazione per immagini. Dopo queste prime otto pagine la storia fu ultimata tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978.
Le crainte du sloane aux yeux bleus
Sul terzo numero esordisce un autore finalmente in grado di scrivere e disegnare insieme: Jacques Tardi. Il suo contributo è una storia a colori di otto pagine. È una storia istruttiva che mescola l’era del colonialismo e delle scoperte archeologiche con la fantascienza, in un modo che solo il fumetto può fare.
I sentimenti dell’anarchico Tardi verso il passato coloniale della Francia della fine dell’Ottocento sono evidenti in queste pagine sugli ingenui nativi dal cervello atrofizzato e i muscoli ipersviluppati sfruttati dagli avidi europei. Il disegno è ancora un po’ acerbo e diseguale, ma la narrazione è fluida e immediatamente comprensibile. Lascia a desiderare la colorazione, approssimativa anche se efficace.
Cobalt 60
Con il quarto numero gli umanoidi pagano un secondo tributo a un altro genio dell’underground americano, l’anticonformista Vaughn Bodé, presente con un racconto di dieci pagine in bianco e nero: “Cobalt 60”. Uno dei fumetti più oscuri, se non il più oscuro, di Vaughn Bodé. Un pugno postapocalittico in faccia, con un finale che lascia con l’amaro in bocca.
Ha detto l’autore: “Ho realizzato Cobalt 60 e mi sono trovato a disagio e irrequieto… Posso davvero identificarmi con il futuro polveroso della Terra … dove io farò parte della quieta polvere del pomeriggio sibilante…”. La storia non racconta molto sui personaggi, concentrandosi sull’azione. Fu abbandonata perché l’autore la riteneva troppo deprimente, ma prima gli fece vincere nel 1969 il premio Hugo, in genere destinato ai romanzi di fantascienza.
Il Garage ermetico
Il secondo anno porta delle novità: se il primo numero del 1976 è ancora trimestrale, dal numero 6 la pubblicazione diventa bimestrale e dal 9 mensile.
Nel numero di marzo vengono pubblicate le prime due tavole del “Il Garage ermetico” di Moebius, un racconto-non racconto simbolo di una stagione che vuole a tutti i costi portare la fantasia al potere.
In quattro vignette l’ingegnere Barnier combina un pasticcio distruggendo un cablatore dalle caratteristiche rivoluzionarie. “Tutto deve essere aggiustato prima del ritorno di Jerry Cornelius”, esclama il preoccupato Barnier.
Inizia così una delle saghe più sconcertanti della storia del fumetto. Una storia eternamente in bilico tra razionalità e follia, che trasmuta quando sembra prendere una forma e inizia di nuovo ogni volta che sembra essere arrivata alla conclusione. L’ho letta decine di volte pensando che nascondesse un senso nascosto, inafferrabile a una prima lettura. Non nasconde nulla, sono solo bellissimi disegni.
Sterminatore 17
Sul numero di marzo prende il via una delle storie di culto del fumetto francese di fantascienza, ideata da un Jean-Pierre Dionnet, direttore di Metal Hurlant, e disegnata da un ancora poco conosciuto ma già magistrale Enki Bilal: “Sterminatore 17”. La storia ruota attorno al tema ampiamente sfruttato della rivolta delle macchine, arricchendolo però di elementi nuovi come quello degli androidi e del loro creatore che di li a poco verranno ampiamente ripresi dal cinema di fantascienza.
Bilal aveva già affrontato la narrativa spaziale nei suoi racconti, tuttavia qui raggiunge una profondità nuova sotto la direzione di Jean-Pierre Dionnet, che aggiunge alle visioni del disegnatore un aspetto letterario con accenti poetici. Anche l’inverso funziona, tanto da chiedersi chi dei due, il disegnatore o lo sceneggiatore, abbia influenzato maggiormente l’altro.
Caza
Il secondo anno di Metal Hurlant si conclude con un gioiellino in bianco e nero di sei pagine firmato da Caza, pseudonimo di Philip Cazaumayou. Figlio di artisti, lavora per dieci anni come grafico pubblicitario, finché, nei primi anni settanta, si dà all’illustrazione lavorando su tematiche di fantascienza. Quando esordisce nella rivista degli umanoidi associati è già un autore dotato di uno stile immaginifico e affascinante. In questo racconto, intitolato “Sanguine”, troviamo un disegno dotato di una forte tridimensionalità ottenuta mediante l’utilizzo di uno stile puntinista.
“Sanguine” è uno di quei racconti di Metal Hurlant che permettono a giovani illustratori visionari particolarmente dotati come Caza di avere una vetrina per mettersi in mostra.
Caza, tramite l’utilizzo di forme sinuose e arrotondate, esprime l’idea di armonia con la natura sorretta da una coscienza ecologista.
L’autore ritrae superbamente le donne che dominano un mondo dove i maschi sono deboli e sottomessi. Ci troviamo immersi in un’atmosfera sognante ad alta gradazione erotica, nella quale risuonano elementi mistici dove la fantascienza diventa un pretesto per fare surrealismo.
I limiti di una esperienza quasi solo grafica
Termina così il secondo anno di Metal Hurlant, pubblicato in gran parte in Italia nella rivista Alterlinus (Giornale POP ne parla QUI).
L’argenteria è ormai tutta in tavola, ma qui e là si intravedono le prime crepe di questo edificio risplendente. Se nel complesso la rivista porta l’espressione grafica a livelli superiori, accessibili soltanto a pochi disegnatori, la poca importanza data ai testi nel lungo periodo conduce a uno svuotamento di significati del fumetto francese.
Una rivoluzione, certamente, ma lasciata a metà.
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Bell’articolo complimenti! Abitando a 10 km dal confine andavo a Mentone a comprarlo in originale , purtroppo,come tante altre chicche, perso nei meandri di cantine e traslochi 😟😟😟