LO SMEMORATO DI COLLEGNO È UN ANARCHICO O UN FILOSOFO?

LO SMEMORATO DI COLLEGNO È UN ANARCHICO O UN FILOSOFO?

È il 10 marzo 1926 quando un vagabondo dell’apparente età di 45 anni si intrufola nel cimitero ebraico di Torino alla ricerca di qualcosa da rubare. I suoi occhi cadono su un vaso di rame abbastanza prezioso da potergli fare guadagnare i soldi per il pranzo. Quando cerca di scappare, però, il custode lo prende per il bavero sfilandogli il maltolto.
Ai carabinieri intervenuti per arrestarlo, il barbone dice di non ricordare le proprie generalità. Non sapendo cosa fare di lui, il questore lo interna nel manicomio di Collegno, a 8 chilometri da Torino. Magari gli psichiatri riusciranno a fargli tornare la memoria e poi si vedrà.

Quasi un anno dopo, il 6 febbraio 1927, il settimanale La Domenica del Corriere pubblica nella rubrica “Chi li ha visti?” (“antenata” della quasi omonima trasmissione televisiva di oggi) la foto dello smemorato ricoverato a Collegno. Una iniziativa presa dai medici del manicomio, colpiti dalla buona condotta di questo strano paziente e dal suo alto livello di istruzione. Quando sfoglia la rivista, la signora Giulia Canella ha un sussulto: quell’uomo è Giulio, il marito che non vede da 11 anni!

Il filosofo Giulio Canella, nato a Padova nel 1881, dirigeva la Scuola magistrale di Verona. Nel 1909 aveva fondato una rivista di filosofia cattolica insieme a padre Agostino Gemelli, il sacerdote che in seguito fonderà l’Università Cattolica e darà il nome a un ospedale di Roma.

Quattro anni dopo, Giulio aveva sposato la giovanissima Giulia Canella, figlia di un ricchissimo proprietario di vasti possedimenti terrieri in Brasile, che gli aveva dato due bambini. La ragazza aveva il suo stesso cognome perché era sua cugina.
Nel 1916, Giulio Canella aveva lanciato anche un quotidiano, il “Corriere del Mattino”, poco prima di essere chiamato al fronte con il grado di capitano. Nel pieno della Prima guerra mondiale, in un combattimento in Macedonia contro l’esercito bulgaro, il capitano Canella era stato visto per l’ultima volta mentre i nemici lo prendevano prigioniero. In seguito, di lui non si è più saputo nulla: era diventato uno dei tanti dispersi. Da quel giorno la moglie aveva vissuto nella speranza di poterlo riabbracciare e ora quel momento sembrava arrivato.

D’accordo con i medici, la signora Giulia incontra lo smemorato. Immediatamente, con le lacrime agli occhi, la donna conferma che si tratta proprio del marito, che in seguito verrà riconosciuto anche da altri 25 parenti e 145 conoscenti.
Lo smemorato, invece, al primo incontro non fa nemmeno caso a Giulia. Al secondo afferma di ricordarsi vagamente di lei e solo al terzo l’abbraccia, dicendo di averla finalmente riconosciuta. La donna lo aiuta a ricostruire il suo passato e il primo marzo 1927, quando l’uomo è ormai stato identificato ufficialmente come Giulio Canella, può portarlo a casa.

La notizia finisce con grande evidenza su “La Stampa”, il quotidiano piemontese, ma pochi giorni dopo, il 7 marzo, una lettera anonima arriva alla questura di Torino. Sgranando gli occhi, il questore legge che lo smemorato non sarebbe Giulio Canella, ma un certo Mario Bruneri, nato a Torino nel 1886.

Bruneri aveva lavorato come tipografo, per poi diventare un militante anarchico senza fissa dimora. Dal 1922, come accerta il questore spulciando gli archivi della polizia, è ricercato a causa di due condanne per truffa e lesioni, ma già in precedenza era stato in prigione per reati simili. Sempre dal fascicolo, apprende che le ultime notizie su di lui provengono da Pavia e Milano, dove era stato visto insieme a una donna bresciana con precedenti per reati patrimoniali e per condotta contraria alla morale.
Il questore ordina ai suoi uomini di andare a Verona a prendere lo smemorato, che il 9 marzo viene messo a confronto con Rosa Negro, moglie di Mario Bruneri. Lei lo riconosce subito, così come il figlio Giuseppe, di 14 anni, che l’aveva visto per l’ultima volta quando ne aveva solo 9. Poi lo riconoscono le due sorelle e il fratello, e pure Milly, la sua amante. Di fronte a tutti loro, lo smemorato nega con decisione di averli mai visti.

I Canella rimangono convinti che lo smemorato sia il loro congiunto scomparso in guerra e accusano i Bruneri di mentire per interesse, di voler ricavare dei quattrini da questa vicenda. Si cerca di arrivare a capo della questione confrontando le impronte digitali dello smemorato con quelle prese a Mario Bruneri durante il suo primo arresto. Corrispondono al cento per cento e lo smemorato viene rispedito al manicomio, in attesa di ulteriori accertamenti.
Giulia Canella si ribella con tutte le forze a questa decisione: grazie ai suoi ingenti mezzi finanziari, assume come difensori Francesco Carnelutti, il più importante avvocato dell’epoca, e Roberto Farinacci, uno dei principali esponenti del Partito fascista allora al governo.

Il tribunale decide, il 23 dicembre, di scarcerare lo smemorato considerando la prova dell’identificazione di Mario Bruneri non conforme alle regole, dato il modo scorretto con il quale erano state conservate le impronte. Adesso è Rosa, la moglie di Mario Bruneri, a opporsi alla decisione, querelando quello che ritiene suo marito affinché adempia i suoi obblighi economici nei confronti della famiglia.

Nel 1928 si apre il processo a Firenze, dato che a Torino sembra mancare la sufficiente serenità. Due vecchi collaboratori dell’uomo disperso in guerra, padre Gemelli, co-fondatore della rivista filosofica, e il conte Giuseppe della Torre, co-fondatore del quotidiano, affermano che lo smemorato non può essere assolutamente Giulio Canella.
La moglie Giulia accusa i due, che si sono presentati al processo senza che nessuno li abbia chiamati a testimoniare, di aver fatto queste affermazioni solo per i loro interessi personali.
Tuttavia, proprio a causa di queste due autorevoli testimonianze, il giudice riconosce che lo smemorato è effettivamente Mario Bruneri. I Canella chiedono l’appello, che però viene negato (all’epoca non è obbligatoriamente previsto dalla legge).

Lo smemorato, che fino a quel momento aveva continuato a vivere con la signora Giulia come se fosse il marito, viene imprigionato per alcuni mesi, senza però scontare del tutto i due anni residui delle pene comminate a Mario Bruneri. Appena è libero torna da Giulia, con la quale mette al mondo una figlia, Elisa, e in seguito altri due bambini, Camillo e Maria. Se lo smemorato non è legalmente considerato padre dei due figli avuti da Giulia prima della guerra, non può riconoscere neppure questi ultimi tre, essendo nati fuori dal matrimonio.

Per evitare scandali, Francesco Canella, papà di Giulia, fa trasferire la famigliola a Rio de Janeiro. Grazie alla più elastica legislazione brasiliana, lo smemorato diviene legalmente Julio Canella.
Imparato il portoghese, la lingua del Brasile, l’uomo inizia a collaborare con i giornali locali, tiene conferenze di filosofia e invia alcune riflessioni teologiche a papa Pio XI, il quale gli risponde chiamandolo “illustrissimo dottor Giulio Canella”.

Intanto a Roma, nel 1930, la Cassazione autorizza la riapertura del caso come chiesto dai difensori dei Canella. Ma la corte d’appello di Firenze, l’anno successivo, respinge la decisione della Cassazione confermando il verdetto. La palla ritorna alla Cassazione che, dibattendo con tutte le sue sezioni riunite, finisce per bloccarsi perché sette giudici si dicono favorevoli al processo d’appello e gli altri sette contrari. Mariano D’Amelio, presidente della Cassazione, si rivolge allora ad Alfredo Rocco, ministro della Giustizia, per chiedergli che cosa fare in questa situazione imbarazzante.
Il ministro, su tutte le furie, decide che la faccenda dello smemorato di Collegno non può andare avanti oltre: «Basta con questa buffonata!», tuona, ordinando al presidente della Cassazione di prendere una decisione. E così, il giorno di Natale del 1931, D’Amelio respinge definitivamente la richiesta dei Canella. Lo smemorato, chiamato Bruneri in Italia e Canella in Brasile (come pure dal Vaticano, che ne ha riconosciuto i figli), muore a Rio de Janeiro il 12 dicembre 1941.

Nel 1946, i familiari di Canella chiedono un altro processo in base alla nuova legge che annulla le sentenze emesse dalla magistratura in epoca fascista. Ma la richiesta viene respinta a causa della scomparsa del condannato. Non va in porto neppure quella del 1964, che viene ugualmente negata. La moglie Giulia, insieme ai nipoti, ha continuato fino al 1977, anno della sua morte, ad affermare di non aver mai avuto dubbi sull’identità del marito, e lo stesso hanno fatto i figli e i nipoti.

Questo caso clamoroso ha diviso l’Italia e ispirato molte opere, tra le quali il lavoro teatrale di Luigi Pirandello “Come tu mi vuoi”, del 1930; il film Lo smemorato di Collegno, interpretato da Totò nel 1963; il film Sommersby, diretto da Jon Amiel e interpretato da Richard Gere e Jodie Foster nel 1993; e una miniserie di Rai Uno del 1999: “Lo smemorato di Collegno”, con Johannes Brandrup e Gabriella Pession.

La fiction di Rai Uno sullo Smemorato

Nel 2014, nella trasmissione “Chi l’ha visto?” di Rai Tre, viene presentato il risultato del confronto del Dna dei discendenti di Giulio Canella con quello di un figlio dello “smemorato”: non discenderebbero dallo stesso uomo.

 

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