LE ASSASSINE DI NADIA ROCCIA: SATANISTE O AMANTI?

«Muori! Muori! Muori! Accidenti, Anna Maria, questa bastarda di Nadia non vuole morire!». A riferire ai magistrati queste parole, pronunciate da Mariena, è Anna Maria, la sua complice. «Allora io le ho detto: “Come, respira ancora?”; e lei: “Mah, non so… vieni a vedere tu”. Le aveva messo un piede sul corpo, poi è venuta da me camminandole sopra e ha detto: “Credo che adesso sia sistemata”. Quando è finito tutto, siamo uscite a comprare le patatine».
Terminato il racconto dell’omicidio, Anna Maria fa un bel sorriso ad Antonio Diella, il giudice per le indagini preliminari. Il quale ammetterà in seguito di non aver mai vissuto un’esperienza insopportabile, sul piano emotivo, come quell’interrogatorio.
Siamo nel 1998, Nadia Roccia è una ragazza di 18 anni di Castelluccio dei Sauri, un paesino pugliese di appena duemila abitanti. Le sue migliori amiche sono le coetanee Anna Maria Botticelli, figlia di un carabiniere in pensione, e Mariena (Maria Filomena) Sica, tutte e tre studentesse modello all’ultimo anno di liceo.
La bella Anna Maria e Mariena sono quelle più legate tra loro: la prima, dal carattere forte, domina l’altra, che ha perso il padre quando era piccola ed è molto insicura. Anna Maria sostiene che da cinque anni il genitore di Mariena le parli in sogno consigliandole cosa è meglio fare. In questo contesto di controllo psicologico da parte della carismatica Anna Maria, Nadia non riesce a inserirsi bene a causa del suo spirito indipendente.
Un giorno Nadia racconta, forse per farsi apprezzare di più dalle amiche, che ha uno zio in America molto disponibile e altruista. Dopo il diploma, potrebbe aiutare tutte e tre a sistemarsi là. Una proposta fantastica per delle adolescenti di provincia, che infatti iniziano subito a sognare una nuova vita più eccitante. Non fanno altro che parlarne, pianificando progetti su progetti.
La storia va avanti per settimane, finché Nadia spegne tutte le fantasie ammettendo che non è vero niente, nessuno zio le sta aspettando in America.
Guardando le facce delle amiche, rincara la dose prendendole in giro per le illusioni che si erano fatte. Nadia non lo sa, ma si è appena messa in una brutta situazione. Non solo è troppo indipendente, poco obbediente alla “regina” Anna Maria, ma addirittura si burla di lei e della sua amica.
Le due decidono di fargliela pagare, e molto cara. Un giorno versano del topicida in una Coca Cola e la offrono a Nadia, ma lei rifiuta di bere perché non le piacciono le bibite.
Allora le due iniziano a raccontarle delle strane storie. Dicono che hanno bisogno di molti soldi perché qualcuno le sta minacciando. Devono pagare, se non vogliono finire male. Magari guadagnerebbero qualcosa andando a prostituirsi, perché l’alternativa sarebbe il suicidio. Nadia potrebbe aiutarle, in qualche modo? Quest’ultima, sbalordita da simili assurdità, risponde che dovrebbe parlarne con i propri genitori, ma a questo punto Mariena ammette che si sono inventate tutto per farle uno scherzo.
Le due ragazze, decise a togliere di mezzo una volta per tutte la loro ex amica, studiano un piano nei dettagli. Prima di tutto, Anna Maria racconta in giro che Nadia nutre un’ossessione sessuale nei suoi confronti: continua a toccarla, ad accarezzarla, a strusciarsi su di lei, insomma, non ne può più dei suoi comportamenti maliziosi.
Chiede poi alla stessa Nadia, all’oscuro di queste voci, di firmare un foglio, dicendole che vorrebbe fare esaminare la sua scrittura a un amico grafologo.
Ormai tutto è pronto e, nel pomeriggio del 14 marzo 1998, Anna Maria invita Nadia a studiare insieme a Mariena nel garage di casa, che ha risistemato come studio.
Nadia arriva all’appuntamento alle 17 e, alle 18.45, le altre due ragazze si decidono a saltarle addosso. Come d’accordo, Mariena, che è più robusta, le stringe una sciarpa intorno alla gola, mentre Anna Maria cerca di tenerla ferma. La vittima, dapprima sorpresa, quando capisce le loro intenzioni inizia a dibattersi furiosamente. Mariena teme di non riuscire a soffocarla, ma l’altra la incita a stringere più forte.
La terribile agonia dura a lungo, finché Nadia smette di agitarsi e cade a terra. Ancora affannata, Anna Maria le mette uno specchietto davanti al naso, per accertarsi che non si appanni per il suo respiro. Una volta sicure che Nadia è proprio morta, le infilano al collo il cappio di una corda, per simulare un’impiccagione.
Poi appoggiano sul tavolo una lettera che hanno precedentemente scritto a macchina, nello spazio sopra la firma di Nadia. Nella lettera le fanno raccontare che si è suicidata perché amava Anna Maria senza speranza: «Cuoricino, con le tue parole, con i tuoi sorrisi e con i tuoi teneri sguardi, ti rendi per me un’amica semplicemente fantastica».
La scelta di uccidersi viene descritta in maniera poco credibile: «Ti ringrazio per gli stupendi momenti che mi hai fatto vivere, Anna Maria. A questo punto, o racconto a tutti della mia omosessualità o mi suicido, ma credo proprio che mi suiciderò. Addio per sempre, mia cucciolotta».
Le assassine escono, chiudono a chiave la porta del garage e dopo un po’ vanno dalla famiglia Roccia. Raccontano che Nadia, dopo essersi sentita poco bene, ha chiesto loro di andarle a comprare un sacchetto di patatine. Al ritorno, però, hanno trovato la porta del garage chiusa, e l’amica non rispondeva ai loro appelli: temono che le sia successo qualcosa di grave. Accompagnati dalle due ragazze, i familiari di Nadia forzano la porta del garage e, quando entrano, sobbalzano davanti alla macabra messinscena.
Ai magistrati la lettera dell’apparente suicida non convince affatto. In primo luogo non è scritta a mano, quindi manca la sicurezza che sia veramente sua. Inoltre, il messaggio si conclude con la raccomandazione che i suoi risparmi vengano ereditati dalle amiche, in modo che possano realizzare il loro sogno di partire per l’America.
Soprattutto, non si capisce a cosa si sia impiccata la ragazza, dato che il suo corpo era steso a terra e la corda del cappio intorno al collo pure. Sopra di lei non c’era niente cui si sarebbe potuta appendere. Infine, l’autopsia non lascia dubbi: Nadia Roccia non si è impiccata, ma è stata strangolata.
I sospetti ovviamente ricadono sulle due ragazze che erano insieme a lei. Vengono perquisite le loro camerette, dove viene trovato del materiale satanista. I carabinieri piazzano alcune microspie, attraverso le quali, in seguito, sentono le due (rilasciate dopo il primo infruttuoso interrogatorio) che si accordano per sviare le indagini.
Al secondo interrogatorio, più stringente, le ragazze confessano tutto. Accettano anche di ricostruire l’omicidio davanti ai magistrati e lo fanno senza tradire la minima emozione. Anzi, sembrano quasi orgogliose. Non è comunque chiaro per quale motivo abbiano ucciso la coetanea, dato che la faccenda del finto zio d’America non sembra così grave.
All’inizio si pensa alla pista satanista, perché nelle intercettazioni si sente una di loro parlare del demonio in chiave sessuale: «Lucifero è bello e sta dentro le mie mutandine».
Davanti agli inquirenti, Anna Maria Botticelli sostiene che era stato il defunto padre di Mariena Sica a chiederle, in sogno, di uccidere Nadia. Con quel sacrificio umano, le aveva assicurato lo spirito dall’aldilà, il loro futuro sarebbe stato più roseo.
«All’inizio mi aveva ordinato di uccidere sua figlia, per ricongiungerla a lui. Poi ha cominciato a parlare di Nadia, dicendomi che mi vuole male. Lo spirito ripeteva fino all’ossessione che bisognava ucciderla. L’ho fatto fare a Mariena perché così mi aveva detto lui. Ma quando ho visto che non ce la faceva da sola sono intervenuta per aiutarla, ottenendo come effetto solo di allentarle la sciarpa. Ecco, sono la solita imbranata, ho pensato. E così, per sbrigarci, l’abbiamo finita a calci e pugni».
I magistrati ordinano una perizia psichiatrica, secondo la quale le due ragazze sono perfettamente in grado di intendere e di volere. Mentre aspettano di essere giudicate, fanno anche in tempo a diplomarsi. Per una delle professoresse, ancora incredula, la bella Anna Maria rimane «la figlia che ogni donna vorrebbe avere».
Al processo, nel febbraio del 1999, entrambe le imputate vengono condannate all’ergastolo. «Nadia sarebbe contenta di sapere che le sue assassine hanno ricevuto questa condanna», commenta Patrizia, la sorella maggiore della vittima. «Lei sosteneva che per le persone più malvagie l’ergastolo è giusto perché dura per sempre e impedisce loro di rivedere gli alberi, il sole e i tramonti».
In carcere, a causa della durezza della sentenza, Anna Maria non riesce più a dormire. Anche perché le altre detenute la maltrattano, accusandola di essere maldestra nelle faccende domestiche in cella e chiamandola bugiarda per le storie fantasiose che continua a inventarsi. Mariena, invece, sembra adattarsi alla nuova vita. «È tutta colpa di Anna Maria», spiega, «mi ha distrutto, ma ormai lei appartiene al passato e io non voglio più voltarmi indietro. In carcere vengo accettata, le altre detenute mi dicono che dopo avermi conosciuto non credono che io abbia potuto fare questo, io stessa faccio fatica a crederlo».
Al processo d’appello, il pubblico ministero Antonino Mirabile sostiene che tra le due assassine esisteva un legame omosessuale, in qualche modo ostacolato dalla terza ragazza. «Per una sorta di orgoglio paesano», dice, «non si è avuta la possibilità di affrontare l’argomento, forse per non creare maggiore dispiacere alle famiglie Sica e Botticelli».
In ogni caso, le due giovani non spiegheranno mai di che tipo fosse veramente il loro rapporto. Pur non escludendo il movente omosessuale, la difesa chiede una nuova perizia psichiatrica.
La quale arriva a conclusioni completamente diverse dalla precedente: Anna Maria avrebbe gravi problemi mentali, che la dissociano dalla realtà. Secondo il criminologo Francesco Bruno, sarebbe affetta da «patologia psichiatrica, depressione e schizofrenia da personalità multipla. Se non verrà curata con farmaci appropriati, la sua situazione si aggraverà».
Mariena risulterebbe invece meno instabile.
Riconoscendo l’infermità mentale di entrambe, nell’aprile del 2003 il giudice le condanna a 25 anni, ridotti a 21 grazie al patteggiamento. «Siamo schifati per questo modo di amministrare la giustizia», protesta la sorella di Nadia.
Anna Maria Botticelli, comunque, fa solo pochi mesi di carcere, perché viene liberata in quanto affetta da sclerosi multipla. La sua famiglia la porta lontano, in un paese del Veneto.
Mariena Sica, invece, finisce di scontare la pena nel 2013 dopo una decina di anni in carcere.
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