LA SILVER AGE FINÌ IN USA, MA NON IN MESSICO

Il passaggio dalla Silver age degli anni sessanta alla Bronze age dei settanta fu il passaggio da temi più leggeri centrati sugli individui, per quanto non proprio scanzonati, ad argomenti cupi e impegnati socialmente. Le storie passarono da una evidente estroversione a una sottile introversione, soprattutto, per la Marvel, quando Stan Lee smise di scrivere all’inizio dei settanta.
Passaggio generazionale, si dirà, dalle storie di Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko, formatesi rispettivamente negli anni trenta-quaranta-cinquanta, ai nuovi sceneggiatori, tutti giovani e quindi influenzati dalla Contestazione studentesca iniziata nel 1964, che continuerà in varie forme fino al 1974, alla vigilia della fine della guerra del Vietnam con le dimissioni del presidente Richard Nixon.

Flash Thompson parte per la guerra del Vietnam
Insomma, con la Bronze age il fumetto diventò lo specchio della società, così come chiedevano gli studenti universitari del tempo.
Tra gli appassionati si discute ancora oggi dove situare temporalmente il discrimine tra la Silver e la Bronze age. Molti individuano il momento fondamentale nel trasferimento di Jack Kirby dalla Marvel alla Dc, avvenuto a cavallo dei due decenni. Altri danno più importanza alle avventure di Freccia Verde e Lanterna Verde firmate da Denny O’Neill e Neal Adams, uscite poco dopo, che trattavano temi di attualità come il diffondersi delle droghe e l’acuirsi delle tensioni razziali.

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Infine non pochi puntano il dito sull’episodio “La notte in cui morì Gwen Stacy”, vero e proprio spartiacque generazionale.
In realtà la transizione tra i due periodi è avvenuta in maniera progressiva e graduale. In un lasso di tempo che potremmo grosso modo quantificare per la Marvel in cinque anni, dal 1968 al 1973, durante il quale si manifestarono i primi segni della fine della Silver age e cominciarono a comparire preludi di una nuova era più complessa.
Questo periodo di transizione sul fronte Marvel, una delle due major dei comic book, inizia con l’uscita della serie di Silver Surfer e termina con la pubblicazione de “La notte in cui mori Gwen Stacy”, passando attraverso il controverso passaggio di Jack Kirby alla DC.
La nascita di Silver Surfer
Perché la data di nascita dell‘albo dedicato a Silver Surfer dovrebbe essere considerato per la Marvel l’inizio della fine della Silver age?
Nato come personaggio di contorno all’interno della saga di Galcatus sui Fantastici Quattro, nel 1966, il surfista d‘argento non ci mise molto a conquistare il favore dei lettori.

Silver Surfer di Jack Kirby
Finché, nell’agosto del 1968 apparve in un albo tutto suo realizzato dalla coppia Stan Lee e John Buscema. Jack Kirby, il creatore, considerava Silver Surfer un angelo ribelle, una figura dell’Antico Testamento, Stan lo vedeva come una specie di Gesù.
Il Silver Surfer rielaborato da Stan Lee in questa nuova serie è un personaggio in anticipo sui tempi, sembra già appartenere alla Bronze age. L’umore è costantemente depresso, i temi che affronta sono quelli dell’attualità, come le guerre e il razzismo. Il testo è magniloquente, con velleità poetiche.

Silver Surfer di John Buscema
Silver Surfer è un alieno senza identità segreta. Mentre i supereroi marvel classici, come l’Uomo Ragno, Devil e i Fantastici Quattro, sono nati sulla Terra e hanno ottenuto i loro poteri grazie alle radiazioni, Silver Surfer proviene da Zenn-La e ha acquisito il potere cosmico da Galactus in persona. Tale differenza è dovuta al fatto che inizialmente, come detto, era stato pensato come personaggio di contorno.
Con la serie dell’araldo di Galactus, Stan Lee porta alle estreme conseguenze il tema della diversità, in precedenza accennato con il personaggio della Cosa nei Fantastici Quattro e con i mutanti X-Men.
Silver surfer è calvo, ricoperto d’argento, non ha bisogno di nutrirsi e parla come nelle opere di Shakespeare. Perché Stan Lee scelse di caratterizzarlo in questo modo? Forse perché i ragazzini si identificano con lo status di alieni fraintesi e cacciati, inseguiti, temuti e odiati? (Oppure questa scelta derivava dall’influenza del film di Godzilla nelle storie precedenti ai supereroi?).
In ogni caso, negli anni sessanta nacque una pletora di eroi che facevano della diversità la loro bandiera. Poi nei settanta si aggiunsero i personaggi horror e altri supereroi ancora: il Dracula di Marv Wolfman e Gene Colan è un vampiro, Licantropus di Gerry Conway e Mike Ploog un uomo lupo, Warlock di Roy Thomas e Gil Kane una creazione scientifica. Un esercito di freak sempre più estremi nei quali diventava difficile immedesimarsi e che presto portò molti lettori ad allontanarsi.
Silver Surfer è un essere perfetto. Stan Lee lo trasformò in una vera e propria figura messianica. Che dire di Gesù? Non ha lottato contro i mostri né ha ucciso i giganti. Predicava. Ha sofferto e ha subito gli attacchi delle autorità.
Silver Surfer pronunciava sermoni ed era sempre sofferente, per niente divertente. Le sue prediche erano monologhi in cui continuava ad autocommiserarsi. Per il resto era buono, onesto e incorruttibile. Non aveva nessuno dei difetti umani, era un personaggio monodimensionale. La monodimensionalita divenne uno dei difetti dei personaggi della Bronze age. Warlock, Conan e Kull il conquistatore sono tutti personaggi dai comportamenti prevedibili, mancano della complessità e della fragilità degli eroi della Silver age.
Infine Silver Surfer è privo di una identità segreta. L’alter ego è sempre stato una delle caratteristiche fondamentali dei supereroi a partire da Superman. L’identità segreta aggiungeva un tocco di umanità a eroi dai poteri smisurati. Vederli alle prese con normali problemi di donne e di soldi ce li rendeva più vicini e comprensibili. Non è cosi per Silver Surfer né per i successivi personaggi della Bronze age: Conan è un barbaro, Dracula un vampiro, Warlock un esperimento di laboratorio. Tutti affrontano il mondo con la loro vera faccia.
Il “tradimento” di Jack Kirby
Il passaggio di Jack Kirby dalla Marvel alla Dc è di gran lunga l’evento che più scuote e segna il mondo del fumetto all’inizio degli anni settanta. Un avvenimento così traumatico non poteva nascere dal nulla. Questa sofferta decisione ha un prima, un durante e un dopo.
Già da alcuni anni Jack Kirby era stanco della Marvel, dell’editore Martin Goodman e del direttore Stan Lee per il mancato riconoscimento delle sue creazioni. Questo disamore non si riflette sui disegni del re che alla fine degli anni sessanta sono più magnificenti che mai, anche perché i suoi compensi si erano alzati e quindi poteva produrre con più calma.
Hanno perso la piattezza che li aveva caratterizzati durante la prima metà degli anni sessanta, quando doveva produrre un centinaio di tavole al mese, e hanno acquisito solidità e tridimensionalità. Sono comparse anche le prime ombre a donare un tocco di insolita complessità all’insieme.
Purtroppo, di converso, lo storytelling appare meno brillante e più involuto. Jack Kirby ormai si rifiutava di creare nuovi personaggi per Marvel, tanto che nei Fantastici Quattro continua a riciclare gli stessi vecchi nemici.
L’evidente calo di ispirazione in queste storie deriva al suo scarso impegno dovuto proprio alla delusione nei confronti della Marvel. Dopo il trasferimento di Jack Kirby in California, nel gennaio del 1969 le storie diventano ancora più banali, decenti per qualsiasi altro artista, ma decisamente troppo convenzionali per un genio come lui.
La mancanza di collaborazione con il “socio” rimasto a New York in questa fase salta all’occhio, a volte i dialoghi di Stan Lee non sembrano avere alcun senso nelle vignette di Jack. Questo perché Stan Lee si riconosce sempre meno nelle storie che Jack Kirby, ormai, elabora completamente da solo senza consultarlo.
D’altra parte Stan Lee non vuole perderlo. Nell’agosto 1970, nel primo numero della nuova testata antologica Amazing Adventures con The Inhumans and the Black Widow, Stan Lee concede per la prima volta a Jack Kirby il riconoscimento di sceneggiatore e disegnatore delle storie di una decina di pagine degli Inumani, mentre lui scrive quelle altrettanto lunghe di Vedova Nera su disegni di John Buscema.
In più lo prega di realizzare l’ultimo episodio di Silver Surfer, che con il n. 18 del settembre 1970 avrebbe chiuso il suo percorso editoriale. Si tratta di una storia piena di tensione e rancore, che ben poteva rappresentare i sentimenti di Kirby verso la casa editrice che aveva contribuito a rendere grande senza che gliene venisse riconosciuto il giusto merito.
“Adesso la mia anima è infiammata da una rabbia bruciante, in un mondo di pazzia ho provato a usare la ragione, ma tutto quello che ho ottenuto è stato odio e conflitto continuo…”, urla Silver Surfer nell’ultima vignetta. Stavolta probabilmente Stan Lee non ha modificato di molto i dialoghi che Jack Kirby scriveva ai bordi della tavola.
Il mese dopo, nell’ottobre del 1970, usciva in tutte le edicole il primo lavoro di Kirby per la Dc, il n. 133 di Jimmy Olsen. La permanenza nella casa editrice diretta da Carmine Infantino non fu una passeggiata per Jack Kirby. Le tre testate dove intendeva sviluppare l’epica saga dei Nuovi Dèi del cosiddetto Quarto Mondo, per quanto infinitamente più creative, misero in mostra i difetti delle ultime storie dei Fantastici Quattro: la narrazione non aveva un inizio, uno sviluppo e una fine. Si trascinava da una battaglia all’altra e da un personaggio all’altro senza trovare punti fermi, era un unico flusso.

I Nuovi Dèi
La Silver age della Marvel si fondava su tre grandi personalità: Jack Kirby, Steve Ditko e Stan Lee. Ditko se ne era andato nel 1966, Kirby se ne andava nel 1970, Lee avrebbe smesso di scrivere nel 1972 per prendere il posto di Martin Goodman come editore incaricato. Una nuova era stava iniziando.
La notte in cui morì la Silver age
La Bronze age si sviluppò per dare in pasto qualcosa di nuovo a quei ragazzini che negli anni sessanta erano cresciuti con i supereroi. Immaginatevi uno di loro che avesse scoperto l’Uomo ragno nel 1966, con i primi numeri della gestione di John Romita: a 11 anni, nel 1973 ne avrebbe avuti 18. Forse avrebbe avuto voglia di qualcosa di più forte, di un cambiamento di registro, di un pugno nello stomaco.
Quello che gli confezionarono Thomas, Conway e Romita con il n. 121 di Amazing Spider-Man andò anche al di la delle aspettative.
Nel realizzare “La notte in cui morì Gwen Stacy” gli autori furono senza pietà. Dietro la scusa del “diritto di dire le cose come realmente sono nella realtà” e di “far entrare i fumetti nell’età adulta” confezionarono una storia che contraddice il concetto stesso di supereroe.
Una storia distruttiva, dove non solo muore Gwen, ma viene cancellata un’intera e irripetibile stagione. Questa storia non è una “svolta nel mondo dei supereroi in cui si passa dal tempo dell’innocenza a quello della realtà”, che è la litania che siamo abituati ad ascoltare da parte di tutti i commentatori. Non è nemmeno “una coraggiosa innovazione”: è semplicemente una storia sbagliata in partenza. Una storia in cui si è voluto fare gli originali stravolgendo tutto con l’unico scopo di guadagnare copie. In sostanza, una brutta storia.
Dovettero pensarla così anche in Messico. In quel paese i fumetti Marvel venivano pubblicati dalla Editoriale La Prensa, una casa editrice nata all’inizio degli anni cinquanta specializzata nei fumetti degli Stati Uniti. La casa editrice pubblicava, oltre che in Messico, anche in Argentina, Cile, Uruguay e Perù e distribuiva i suoi fumetti anche negli States, per la comunità degli immigrati di lingua spagnola.
A causa del successo ottenuto dal El Sorprendente Hombre Araña, la traduzione in lingua spagnola delle avventure dell’Uomo Ragno, l’editore pensò di portare la periodicità della testata da mensile a settimanale. Solo che il materiale originale usciva in Usa una sola volta al mese.
I messicani presero il toro per le corna e chiesero alla Marvel di poter realizzare autonomamente avventure proprie. Ottenuto il via libera, il direttore della casa editrice Mario Santaella e l’editore Alvaro Escalante inviarono a New York le prove realizzate da diversi disegnatori, tra i quali alla Marvel scelsero Jose Luis Duran, un artista dallo stile classico che rimandava ad autori del fumetto sindacato americano (quello delle strip quotidiane) come Al Williamson e John Prentice.
Fu così che nel numero 123 di El sorprendente Hombre Arana (15 marzo 1972), fu pubblicato il primo fumetto dell’Uomo Ragno realizzato in Messico.
In totale furono realizzati 45 episodi, scritti per lo più da Raúl Martinez.
Il disegnatore Duran, in diverse interviste, ha confessato la predilezione per il personaggio di Gwen Stacy, che disegnava in maniera particolarmente sensuale accentuandone le curve e facendole assumere pose provocanti.
Anche lo sceneggiatore Martinez condivideva l’infatuazione per il personaggio di Gwen, che così diventò una figura sempre più importante nelle storie messicane di Spidey. Molto spesso la si trova in copertina a mettere in bella mostra il suo corpo come una modella.
Non è difficile immaginare lo sconcerto dei due autori quando si trovarono di fronte al numero 121 dell’edizione americana, dove Gwen, lasciata cadere nel vuoto da Goblin, nonostante il tentativo dell’Uomo Ragno di salvarla, perdeva la vita. Duran e Martinez pensarono che i lettori messicani si sarebbero rifiutati di continuare a leggere i numeri della serie, se il personaggio di Gwen fosse scomparso. Cosi presero la decisione che in Messico Gwen Stacy non sarebbe morta: i numeri 121 e 122 non furono tradotti e la serie continuò come se niente fosse, con Gwen protagonista come e più di prima.
Tanto che arriverà persino a sposare Peter!
I numerosi orfani della bionda Gwen saranno forse contenti di sapere dell’esistenza di queste storie parallele, dove la loro eroina ha continuato a sopravvivere alla faccia di Thomas, Conway e Romita.
Forse, se Gwen Stacy non fosse morta, la Bronze age non sarebbe stata come l’abbiamo conosciuta e oggi avremmo dei fumetti meno pesanti. Chissà…
Preferisco decisamente la Silver Age, tutta la vita!
Questa non la sapevo proprio.
Comunque sono d’accordo con Sauro. Io i fumetti di oggi proprio non riesco a leggerli. Manca quel magico “Sense of Wonder” e mi Ritrovo a RIcomprare le varie RIedizioni dei vecchi fumetti della Silver Age nella spasmodica ricerca di quel meraviglioso senso del meraviglioso.
Comunque questo articolo è di Gianluca Trogi.
Si infatti. E’ che, leggendo un po qua e un po la, io mi rifacevo ad un altra considerazione fatta in un altro articolo. Comunque complimenti all’autore.
La bronze age è quella che preferisco per le ambientazioni cupe, i misteri, e la psicologia profonda dei personaggi, meno superficiali e sciocchi di quanto ho dovuto leggere successivamente. Il solo fattore negativo è la morte di Gwen Stacy. Ricordo ancora l’emozione di quando Kingpin entrava nel campus e Peter gli prese il braccio per ostacolarlo e Kingpin si accorgeva che quella stretta non era normale per una persona normale. Piccoli aspetti che offrivano alle saghe il pathos necessario. Ai ragazzi piacciono le storie adulte e non sceme. La saga del clone fu meravigliosa e anche il tentativo di recuperarla che secondo me se portata a termine come l’idea originale sarebbe stata davvero stupefacente: le storie del Peter Parker lette erano quelle del clone e Peter Parker era convinto di essere il clone. Davvero eccezionale come idea! Per poi invece rettificare tutto perchè fan immaturi si erano dimostrati contrari all’idea. Così compreso l’andamento bambinesco della serie decisi di non acquistare più fumetti in generale. Il problema principale è che i personaggi dei comics non evolvono come qualsiasi soggetto umano…. e alla fine restano le caricature come miti perenni incapaci anche di finire. Il pregio di spider-man è che il soggetto appariva molto umano. Oggi il lato supereroe prevale troppo.