SCRIVENDO MARTIN MYSTÈRE

Martin Mystère, il celebre personaggio creato da Alfredo Castelli, può essere definito un fumetto di “fantarcheologia”.
Parleremo di questo eroe della casa editrice Bonelli soffermandoci sulle storie scritte da me medesimo, per il semplice fatto che le conosco meglio delle altre.
Rivedremo quindi Martin Mystère nell’epoca in cui si privilegiava l’avventura per il pubblico più giovane, senza per questo dover essere necessariamente superficiali.
La fantarcheologia nasce dalla fusione di due filoni distinti.
Il primo, quello archeologico, deriva da una lettura scorretta di Platone. Il celebre filosofo greco accusava i miti greci di essere diseducativi (il dio Zeus possiede sessualmente la sorella Era) e gli autori contemporanei di non capire nulla del significato di quello che scrivevano. Per questo si mise lui stesso a creare “miti” a scopo didattico.
Il mio preferito è “L’anello di Gige”, narrato ne “La Repubblica”. Il pastore Gige, scendendo in una crepa aperta da un terremoto, trova una tomba nel quale giace il cadavere di un uomo molto alto. Gige gli sfila un anello e se lo infila al dito. In breve scopre che muovendo il castone dell’anello può diventare invisibile: si prende così lo sfizio di andare ai bagni pubblici per vedere le ragazze nude. Poi il racconto continua facendosi drammatico.
Nessuno ha mai preso la storia di Gige per vera, né questo era nelle intenzioni di Platone. Invece non pochi hanno considerato autentica un’altra storia fantastica, quella di Atlantide, il potente impero sommerso di cui Platone parla nel “Timeo” e nel “Crizia”.
L’altro filone della fantarcheologia è quello dei dischi volanti alieni, che sarebbero apparsi in cielo a partire dal 1947. Questi avvistamenti sono dovuti ad allucinazioni, fenomeni atmosferici come i fulmini globulari (qualunque cosa voglia dire) o all’effettivo passaggio di velivoli (terrestri), magari sperimentali.
In genere, un mitomane laico vede i dischi volanti, mentre uno cattolico scopre statuette della Madonna sanguinanti: fenomeno, quest’ultimo, in via di sparizione grazie alle attuali tecniche di lettura del Dna.
Negli anni sessanta, alcuni autori come lo svizzero Erich von Däniken (un “von” svizzero?) e l’italiano Peter Kolosimo (Pier Domenico Colosimo: ha modificato il proprio nome per rendersi interessante) unificarono questi due filoni creando la fantarchelogia.
Per questi scrittori gli alieni sono scesi sulla Terra nel remoto passato, lasciando diverse “tracce” del loro passaggio.
Da ragazzino mi sono letto i saggi di Kolosimo, nei quali il fossile di qualche piccolo organismo marino veniva scambiato per la vita perduta di un’astronave e le pitture dei popoli antichi venivano reinterpretate come ritratti di alieni. Io li prendevo per divertenti racconti fantastici, ma qualche lettore sprovveduto ci credeva davvero.
In Italia, il primo personaggio fantarcheologico viene pubblicato tra il 1975 e il 1977 dal Corriere dei Ragazzi, il settimanale nel quale è redattore Alfredo Castelli. Si tratta di Archivio Zero, con i testi di Tiziano Sclavi e i disegni di Paolo Morisi. Qualche anno fa ho incautamente comprato il libro con le ristampe: l’ho buttato via dopo averlo calpestato furiosamente. Come altri autori del Corriere dei Ragazzi, Sclavi realizza eccezionali fumetti umoristici (i leggendari Altai & Jonson) insieme a fumetti realistici pessimi, anche perché si rifiuta di usare i meccanismi narrativi delle storie brevi. Ne ho parlato in “I fumetti italiani erano i più venduti del mondo”.
Questi temi interessano pure Alfredo Castelli, dato che nel 1978 pubblica il personaggio fantarcheologico Allan Quatermain nel brutto settimanale “Supergulp”.
Non era certo il solo. Per esempio, nel 1979, Marv Wolfman e Ross Andru, due tra i principali autori Marvel visti anche sull’Uomo Ragno, cercano vanamente di vendere ai quotidiani americani la striscia fantarcheologica “The Unexplained”.
L’idea della coppia la rivedremo anni dopo nella serie di telefilm “X-Files”.
Sempre alla fine degli anni settanta, Castelli scrive diversi episodi di Mister No, il personaggio di Sergio Bonelli/Guido Nolitta. Qui Castelli dà il meglio di sé, anche perché la lunghezza delle avventure bonelliane gli permette di andare a braccio come piace a lui, senza scrivere prima il soggetto. Queste storie sono forse le migliori che Castelli ha scritto per la Bonelli: andrebbero ristampate in una miniserie. A un certo punto, introduce negli albi di Mister No (anche troppo pesantemente) gli elementi fantarcheologici che saranno di lì a poco alla base di Martin Mystère.
Uscito nel 1982, Martin Mystère è un insuccesso immediato: per la prima volta nella storia, il primo albo di una serie Bonelli vende poche copie.
Il personaggio principale, Martin Mystère, è l’uomo che Alfredo Castelli vorrebbe essere: un tuttologo alla Umberto Eco, sia pure con una maggiore inclinazione per i viaggi esotici. Lo stesso appartamento di Castelli, almeno a quei tempi, assomigliava a quello di Martin, con tanti manufatti antichi (ovviamente falsi souvenir) sparsi in giro.
Per il resto, siamo nel convenzionale: il volto di Martin è quello dell’eroe tutto di un pezzo, molto simile a Brick Bradford. E tanto per rimanere sullo scontato, il detective dell’impossibile ha una Ferrari in garage. Inedito l’uso del personal computer, ancora pochissimo usato in Italia. (Quando ho cominciato ad adoperarlo io, nel 1984, ero tra i pochi sceneggiatori ad averlo).
La fidanzata Diana è puramente ornamentale. Come generosamente riconosce lo stesso Castelli, fui io forse il primo a cercare di dare un certo spessore psicologico a Diana, nell’episodio “Gli eroi di Troia”, uscito in volume a cura dell’Anafi.
L’assistente Java è copiato di sana pianta dallo Java assistente di Metamorpho (l’interessante e sottovalutato personaggio della Dc Comics). I due si chiamano allo stesso modo, sono fisicamente identici e sono entrambi uomini di Neanderthal. Castelli, avendolo copiato senza accorgersene, era fermamente convinto che fosse stata la Dc a plagiare lui!

Lo Java di Metamorpho (Dc Comics)
Quando si parlò di realizzare un film della Rai su Martin, Castelli pensò che Gigi Proietti, per la sua abilità gestuale, sarebbe stato l’attore ideale nella parte del “muto” Java.
I nemici principali di Martin sono gli Uomini in nero, una organizzazione che (malgrado le minuziose spiegazioni date non ho mai veramente capito perché) vuole nascondere le tracce del passato extraterrestre. Anzi, lo so perché: gli archeo-ufologi hanno inventato gli Uomini in nero per poter dire che non possono presentare prove decisive a causa di questa associazione segreta paragovernativa che le fa sparire.
Nel secondo numero, che nelle intenzioni originarie sarebbe dovuto essere il primo, compare Sergej Orloff, il rivale numero uno di Martin. Più che all’omonimo nemico di Blake e Mortimer, a me e ai lettori dell’epoca ricordava un indefinito criminale Marvel. Le origini di lui e di Martin, allievi del vecchio saggio orientale, ricordano quelle ditkiane del Dottor Strange e del suo nemico Mordo.
Proprio la crisi delle testate Marvel della Corno, che chiuderanno in quegli anni a causa della pessima gestione, permisero a Martin di attirarne alcuni lettori e sopravvivere.
La storia parla delle presunte origini egizie del popolo maya.
Trovo probabile che i popoli antichi del Mediterraneo abbiano avuto dei contatti con l’America, ma a livello casuale di pescatori e poveracci in genere. Quelli con l’Asia devono essere stati più significativi, a giudicare dalla stessa architettura maya, simile alla cambogiana.
L’illuminato imperatore Nerone aveva mandato una missione navale nel Baltico (ne parlo nell’articolo dove ho esposto la mia giocosamente solida teoria sul dio Odino che deriverebbe dall’imperatore Antonino) e un’altra missione l’aveva inviata alla scoperta delle sorgenti del fiume Nilo nel cuore dell’Africa nera.
Dato che Seneca, il primo ministro di Nerone, aveva scritto in una sua opera che un giorno verrà scoperta la terra oltre l’Atlantico, dandone per scontata l’esistenza, io ho immaginato una storia fantastica nella quale Nerone organizza anche questa spedizione. Per il viaggio non c’è problema, dato che nell’oceano Indiano i romani hanno navi inaffondabili grandi dieci volte le caravelle di Colombo: per portarle nel Mediterraneo basta farle passare nel mezzo canale di Suez che avevano scavato all’epoca e farle risalire nel delta del Nilo. Siccome alla fine gli esploratori tornano in pochi e mezzi morti, a causa delle malattie veneree sconosciute in Europa che colpiranno anche i compagni di Colombo, Nerone decide di imprigionare i superstiti fino alla morte affinché non allarghino il contagio, e di distruggere ogni documento riguardo questa pericolosa terra lontana. Se un produttore vuole girarci un film io gli scrivo la sceneggiatura. Comunque, tra le rovine di Teotihuacan (vicino a Città del Messico), gli archeologi hanno trovato una bambolina sicuramente romana.
A “Il teschio del destino”, n. 11 di Martin Mystère, va il premio per la categoria “l’espediente più folle per iniziare una storia”. Si tratta della prima prova bonelliana dell’ancora bignottesco Claudio Villa, l’attuale disegnatore e copertinista di Tex.
Spesso Martin scopre enormi saloni pieni zeppi di computer ancora funzionanti diecimila anni dopo la loro costruzione da parte degli abitanti di Atantide, come nell’episodio sulla Torre di Babele disegnato da Angelo Maria Ricci (attuale disegnatore di Diabolik), uscito nei numeri 20 e 21 di Martin, ma alla fine, come sempre, salta tutto in aria. Eppure, anche dopo queste terribili esplosioni dovrebbero rimanere dei meccanismi sparsi.
Nessuno lo sa: “Il libro degli arcani”, storia pubblicata nei n. 21 e 22 di Martin, è all’origine della collana “Zona X”.
Questa storia di Martin, sempre disegnata da Claudio Villa, contiene diversi episodi brevi di argomento misterioso.
All’epoca, collaborando con Castelli, consigliai di proporre a Sergio Bonelli una collana di albi dalle canoniche 96 pagine, con 3 storie autoconclusive e senza personaggio fisso dedicate al mistero, di 32 pagine ciascuna. Il target sarebbe dovuto essere quello consueto dei ragazzini, e anche la testata adeguatamente naif: “Storie Fantastiche”, in omaggio a vecchie pulp come “Amazing Stories”.
Castelli fece dei cambiamenti impercettibili alla mia idea iniziale: 2 storie di 96 pagine in albi di 192 pagine, target più maturo rispetto a quello tipico (a quei tempi) della Bonelli e per il nome della testata scelse “Zona X”. Scrissi anch’io qualche episodio e, come se non bastasse, di uno ho pure scritto un articolo per rivendicare i miei diritti calpesti e derisi: “20th Century Boys ha copiato un mio Zona X”.
Quando nel 1983 Alfredo Castelli dirigeva l’Editoriale Corno, e in particolare la bella e sfortunata rivista “Eureka”, non aveva più tempo per Martin Mystère, che, peraltro, sembrava dovesse chiudere da un momento all’altro. Mi chiese quindi di scrivere alcune storie, forse le ultime. Gli diedi due soggetti che erano, in realtà, delle semisceneggiature, essendo lunghe alcune decine di pagine. Dentro c’erano anche i dialoghi principali.
Nel frattempo, Castelli dovette lasciare il prestigioso incarico alla Corno, dato che la casa editrice andava di male in peggio, e per pagare le bollette tornò a scrivere Martin usando i miei soggetti. Come si nota dalla pagina d’apertura, sono stato declassato da sceneggiatore a “Da un’idea di…”. Tra parentesi, non sono stato pagato. Va be’, mi hanno retribuito dopo, quando ho scritto alcune sceneggiature vere e proprie.
La prima storia, “Il sabba delle streghe” (n. 38), l’ho scritta sulla scia della “Nascita della tragedia”, che ho riletto diverse volte come tutte le opere di Friedrich Nietzsche.
Ai disegni un Claudio Villa ormai completamente maturo: forse è vero che si è divertito a disegnarla, come mi ha detto l’altro ieri.
Mi spiegano i vecchi lettori che il magic moment del calcio nelle palle al piccoletto è rimasto ben impresso nelle loro menti.
Nell’arretrato paesino spagnolo il prete e i villici fanno prigioniera la ragazza messa incinta dal diavolo.
Subito dopo, come per una rappresaglia infernale, gli abitanti vengono perseguitati dalla scalogna. Urge, quindi, l’intervento specialistico di Martin.
Passiamo al seguito, “Il flauto di Pan” (n. 39). Si noti, è sparito pure il misero “da una idea di…”.
Il lettore che nelle tavole sopra scopre una citazione di Nietzsche, non vince niente. No, non è una delle frasi solite, tipo “se guardi l’abisso ti restituisce lo sguardo” o (non se ne può più) “ciò che non mi uccide mi rafforza”, diventato recentemente “mi stronzifica”. Vi aiuto sfacciatamente dicendo che si trova nell’unica vignetta “sbagliata” dal già bravissimo Villa, perché avrebbe dovuto disegnarla in primo piano o almeno in controcampo.
Nel n. 40, arriviamo alla fine della vicenda.
A proposito di streghe, ecco la mia immancabile teoria. Questa seria. Le baccanti erano le assatanate della mitologia greca che seguivano l’orgiastico culto di Dioniso. In mano stringevano un lungo bastone di tirso, presumo per sfregare sulla topa la parte con le foglie. Un’immagine in bassorilievo sul Colosseo (non la trovo più) rappresenta una baccante con il ramo di tirso tra le gambe: chi è digiuno di mitologia, come i pellegrini cristiani del medioevo, la scambierebbero di sicuro per una donna che vola a cavallo di una scopa. L’iconografia della strega (e della befana) nasce quindi, secondo me, dall’interpretazione errata dell’immagine antica di una baccante dedita all’autoerotismo selvaggio. Come, del resto, il diavolo deriva dalle immagini del dio Pan: la base orgiastico-pagana è sempre quella.
Arriviamo alla mia seconda storia sceneggiata da Castelli, sempre seguendo un testo molto particolareggiato. Esce nel n. 50 tondo tondo di Martin: “La falce del druido”, con i disegni di Giampiero Casertano anche lui all’acme.
“Da un soggetto”… stiamo migliorando con le attribuzioni.
“Asterix e i goti”, “Asterix e Cleopatra”… ma “Asterix e Martin Mystère” ve lo eravate perso, vero?
Passiamo alla seconda parte, pubblicata nel n. 51.
Per conoscere il finale compratevi l’albo. Due considerazioni. La prima è che Castelli doveva credere in queste due storie, se le ha fatte disegnare ad autori del calibro di Villa e Casertano. La seconda è che, se le avessi sceneggiate veramente io, con il cavolo che li avrei avuti a disposizione.
Nei n. 85 e 86 continuo e concludo una storia iniziata da Castelli alla quale credevo poco (anche lui, dato che me l’ha ceduta a metà strada) con risultati mediocri, quindi vi faccio vedere solo una copertina.
I disegni sono di Leo Cimpellin, forse non adattissimo per una storia realistica.
Nel n. 92 c’è la prima sceneggiatura interamente mia: “Caccia alla strega”. Ancora le streghe! La storia esce nel 1989, ma io l’avevo scritta quattro anni prima, quando i riferimenti agli X-Men non erano immediati per il pubblico italiano perché in Italia da anni non si pubblicavano più gli albi Marvel. Mi è stata ispirata da un saggio sui capri espiatori di Renè Girard, “La violenza e il sacro”, per un esame di sociologia con Francesco Alberoni.
I disegni di Pino Rinaldi sono un po’ troppo dinamici per una sceneggiatura bonelliana (l’avessi saputo, l’avrei almeno resa più dinamica), ma già interessanti. Spero che Rinaldi torni presto a disegnare per la Bonelli.
La conclusione nel n. 93.
Per il finale, procuratevi l’albo.
Ritorno a parlare dei mutanti nel n. 97. Quando ho scritto questo episodio la Germania dell’Est era ancora occupata dall’Unione Sovietica. Il supervisore ha riscritto un paio di didascalie per dire che la Germania si è appena riunificata, ma poi nella storia ha lasciato lo stato di polizia da regime dittatoriale a Berlino Est (raffiche di mitra nel reparto segreto della biblioteca, eccetera). Una cosa pazzesca, direbbe il Grillo prepolitico. Sarebbe stato meglio spiegare, invece, che l’inizio della vicenda era avvenuto anni prima: solo la seconda parte, che vedremo dopo, poteva essere attuale.
In questa storia, oltre a Elephant Man, c’è Pat, una mutante pelata con il potere rigenerante di Wolverine: credeteci sulla parola.
Passiamo alla seconda parte.
Questa parte è delirante: il supervisore ha creduto che, dopo l’uccisione del secondino con la sigla “Uin”, il segreto delle sigle visibili con le lenti a contatto speciali fosse di dominio pubblico, ma perché mai Martin avrebbe dovuto stupidamente rivelare che aveva capito tutto? Inoltre, ha fatto cancellare le sigle che Martin, nella lunghissima sequenza successiva ambientata nel palazzo dell’Onu, vedeva sui vestiti di parecchie persone (salvo quella del capo) rendendo tutto incomprensibile e strampalato. Pertanto non vi faccio vedere altro di questa storia rovinata dall’inizio alla fine. Il supervisore doveva essere tremendamente distratto, quando ha letto la sceneggiatura.
Finisco la carrellata con la mia sceneggiatura migliore: n. 132, “L’Olandese Volante”, marzo 1993.
L’avevo realizzata abbastanza lunga per farla continuare su due albi come al solito, invece è uscita dopo la decisione bonelliana di pubblicare solo storie di 92 pagine, quindi della durata di un albo. Così Castelli ha dovuto tagliarla alla grande, con le ovvie conseguenze nefaste.
Sarebbe stato meglio farla uscire integra come numero speciale.
Questo è più o meno l’inizio: Castelli ha messo il proprio nome accanto al mio, in veste di tagliatore di tavole e raccordatore delle rimaste.
Alfredo Castelli ha lasciato tutto l’indispensabile, non c’è confronto con lo sciagurato lavoro di supervisione (no, di devastazione fine a se stessa) dell’episodio precedente. Anche se, inevitabilmente, sono spariti alcuni momenti che davano forza alla sceneggiatura. Il passaggio che più mi è dispiaciuto vedere sopprimere (almeno in gran parte) è il “miraggio” dell’Olandese durante l’attraversamento del fungo atomico. In origine era un caleidoscopico carosello che avevo desunto dalle allucinate testimonianze dei superstiti di Hiroshima e Nagasaki, a partire da quelle trasposte nel manga “Hadashi no Gen” dal sopravissuto Keiji Nakazawa. Queste visioni avrebbero dovuto spiegare, sia pure in chiave fanta-mistica, il senso dell’episodio.
Non c’era molto gusto a scrivere Martin Mystère, meglio lasciare perdere e provare a creare un nuovo personaggio per un altro editore
(come racconto qui).
Una mia storia di Martin Mystère disegnata da Roberto Revello non era stata pubblicata perché in quel periodo era uscito un altro episodio sullo stesso tema, la già citata “Gli eroi di Troia”. Solo recentemente stampata dall’Anafi in un volume con svariate introduzioni.
Una delle introduzioni del volume è scritta da me medesimo, così recensita da Gianluca Livi (che non conosco, ma trattasi sicuramente di un raffinato intellettuale) nel sito Comic-Soon: “Un altro pregevolissimo scritto è quello di Sauro Pennacchioli che sceneggiò l’episodio e che oggi scopriamo essere un fine umorista. Il suo apporto è carico di goliardia e simpatici sfottò, principalmente indirizzati all’amico Castelli, letteralmente demolito sia caratterialmente, sia nella figura di umorista (basti dire che Pennacchioli – che usa un modus narrativo perfettamente in bilico tra humour inglese e risata sguaiata da osteria – adotta uno stile che supera grandemente la satira politicamente corretta del noto sceneggiatore milanese. Ne consegue che noi auspichiamo con energica convinzione la pubblicazione di scritti ilari a firma di Pennacchioli, non sappiamo in quale sede, per assicurarci future copiose risate)”.
Mettendo da parte il mio apporto nelle sceneggiature, ormai lontano nel tempo e del tutto marginale, bisogna dire che Martin Mystère oggi vive un momento spiacevole.
La ristampa di Martin del quotidiano La Repubblica non è andata molto bene e l’edizione “giovanile” a colori non ha fatto sfracelli. Del resto tutte le serie bonelliane a colori vanno contro le aspettative dei lettori abituati al bianco e nero, per non parlare del vero e proprio odio da tutti nutrito verso quelle in formato più grande del solito (ne ho parlato qui).
Soprattutto, la serie regolare di Martin Mystère ha una diffusione sempre più modesta. Dopo l’attuale fermo delle sceneggiature a causa di un surplus, ben difficilmente ci sarà lo sperato aumento delle vendite che ne permetterà la continuazione. Dell’appesantimento delle storie di Martin in senso didattico e didascalico, che probabilmente ha annoiato una parte dei lettori, ne parlo qui.
L’amico Corrado Roi mi ha accennato a un progetto di Alfredo Castelli che dovrà disegnare lui stesso. Spero che Castelli si sia deciso a lanciare un nuovo personaggio, anche se (lo avrò ripetuto cento volte) dovrebbe puntare sul genere umoristico, dove signoreggia.
con quel
Erich von Däniken (un “von” svizzero?)
mi hai ammazzato dal ridere
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