FENOMENOLOGIA DEL JOKER ATTRAVERSO LE SUE STORIE MIGLIORI

Cosa resterebbe di un supereroe senza il suo antagonista principe, il supercattivo?
Eroe e antieroe costituiscono una inscindibile coppia di opposti che simboleggia l’eterna lotta del bene contro il male.
Nei fumetti un cattivo potente e carismatico spesso può fare la fortuna del personaggio principale. Come è successo con il Joker per Batman, inizialmente presentato in Italia, negli albi di Nembo Kid, con il nome di Jolly.
Il Joker, uno dei cattivi più riusciti della storia del fumetto, sembra incarnare il mito del trickster (il “briccone divino”). Un personaggio del folklore di molti popoli, abile nell’imbroglio e caratterizzato da una condotta amorale, al di fuori delle regole convenzionali. L’imbroglione, spesso un ladro o un folle, è colui che mette in moto cambiamenti imprevedibili che contribuiscono alla trasformazione del mondo.
La sua figura si è più volte incarnata nei protagonisti di racconti a tutte le latitudini, il dio Loki nel Nord Europa, il titano Prometeo nell’antica Grecia, la maschera di Pulcinella a Napoli…
Il Joker, inoltre, ha la capacità di fungere da specchio dei tempi, di rappresentare gli elementi più sotterranei e bui che permeano la società. Come questa figura insolita abbia rispecchiato l’evoluzione del comportamento sociale negli ultimi ottant’anni risulterà dall’esame che faremo delle sue storie migliori. Una per decennio.
Batman Vs. The Joker (1940)
Una delle storie più belle è proprio quella dove il Joker fa la sua prima apparizione sul n. 1 di Batman. Il supereroe, apparso l’anno prima sull’albo Detective Comics, affronta qui quello che sarà il suo maggiore nemico, in una versione già perfettamente definita.
L’idea originaria per la creazione del Joker è venuta a Jerry Robinson, uno dei ghost artist che disegna le storie firmate da Bob Kane.
“Mi venne l’idea di un criminale molto malvagio e allo stesso tempo sarcastico. L’associai subito al jolly delle carte, con quella sua meravigliosa faccia ghignante”, ricorderà Robinson.
Quando mostra i disegni che ha fatto a Bill Finger, l’autore dei testi, questi dice che gli ricorda l’attore Conrad Veidt nel film “L’uomo che ride”.
Bill Finger mette in mostra tutto il proprio talento di sceneggiatore in questa incredibile prima apparizione del Joker, dando vita a un maniaco omicida che si compiace nel trovare modi creativi per uccidere e confondere la polizia solo per divertimento. Una storia poliziesca figlia della letteratura pulp di quel periodo.
Il Joker fa parte dell’universo gotico e oscuro che caratterizza Gotham City, una metropoli popolata da grotteschi criminali lombrosiani, sullo stile di quelli di Dick Tracy, che con le loro bizzarre imprese impegnano Batman in una lotta infinita.
Un mondo che trae le sue origini dalle città della prima rivoluzione industriale, con luoghi di smarrimento morale e di ripudio dell’ordine tradizionale, che mettevano in pericolo gli equilibri familiari. Rendendo evidenti patologie e oscure inquietudini.
The man behind the Red Hood (1951)
A undici anni dalla prima apparizione, su Detective Comics n. 168 Bill Finger si decide a raccontare le origini del Joker. I disegni sono di Lewis Sayre Schwartz, un altro ghost artist di Bob Kane.
Siamo nel 1951 e la storia non sfugge alla moda del momento: l’horror. Gli aspetti polizieschi vengono lasciati in secondo piano per privilegiare quelli legati al processo di trasformazione del criminale. Si narra, in realtà, di una doppia trasformazione. Quasi che un singolo passaggio non sia sufficiente per dare vita a un criminale della complessità del Joker.
La prima trasformazione (voluta) avviene quando Jack Napier decide di intraprendere la carriera criminale nei panni di Red Hood (Cappuccio Rosso). La seconda, non voluta, quando Red Hood fuggendo da Batman si tuffa in una vasca di sostanze chimiche.
L’immersione produce una serie di trasformazioni nel criminale: la pelle diventa bianca come il gesso, i capelli verdi e le labbra rosso vivo, mutandolo per sempre nel Joker.
La causa scatenante della trasformazione è dunque avvenuta mentre veniva commesso un crimine, una sorta di punizione che porta alla metamorfosi dell’aspetto fisico.
Dapprima Napier è inorridito da questa trasformazione, ma ben presto l’accetta senza riserve, come se vi riconoscesse un segno del destino. Intraprende così la sua nuova carriera criminale con gioia e un senso di liberazione.
The Joker Jury (1964)
Con l’avvento della Comics Code Authority, l’organo autocensorio degli editori di fumetti, a metà degli anni cinquanta la figura del Joker è costretta ad alcuni aggiustamenti.
Bill Finger deve diluire la carica malvagia del suo assassino psicopatico e accentuarne i lati scherzosi ed eccentrici. A dispetto di tutto, la figura del Joker continua a mantenere, nelle sue apparizioni fino agli anni sessanta, una componente di insana e disturbante follia che continua a distinguerlo dagli altri avversari.
Un Batman quasi surreale che verrà “autoparodiato” nella serie tv del 1966.
Anche se in realtà il Batman camp dei fumetti finisce nel 1964, l’anno di questa storia scritta da Bill Finger e disegnata dal grande Sheldon “Shelley” Moldoff: subito dopo il personaggio viene sottratto ai suoi autori tradizionali per farlo diventare via via più realistico.
In questo episodio, comunque, ci troviamo ancora immersi nelle atmosfere strane e creative del Batman classico.
Batman viene processato da uno strampalato tribunale dove sia il giudice sia i membri della giuria hanno le sembianze del Joker.
“Batman, io ti accuso di interferire con il diritto degli individui di commettere crimini”, è l’introduzione di questo beffardo processo.
The Joker’s Five Way Revenge! (1973)
Infine la realtà entra prepotentemente nel mondo dei fumetti della Dc Comics. Una realtà complessa che nei primi anni settanta è fatta di disillusione degli ideali della Contestazione giovanile, della guerra del Vietnam che sembra non finire mai, della sempre maggiore diffusione della droga e della criminalità a essa collegata.
Il Comics Code, adeguandosi ai tempi, allenta la censura e il lato violento del Joker può ritornare alle origini. Denny O’Neil e Neal Adams presentano il folle maniaco dei primi anni quaranta.
Sin dalla prima pagina di Batman n. 251, il lettore si trova di fronte a un personaggio molto meno “divertente” da quello a cui si era ormai abituato. La risata ossessiva che riempie lo spazio nella porzione sinistra della prima pagina dice tutto: ci troviamo di fronte a un vero folle. Questo Joker non assomiglia a quello interpretato da Cesar Romero nello show televisivo, è davvero pericoloso.
Il Joker è appena uscito di prigione e sta eliminando a uno a uno i componenti della sua vecchia banda, sicuro del fatto che uno di loro lo abbia tradito e fatto arrestare. I disegni di Neal Adams di questo numero sono superbi nell’interpretare i toni oscuri della storia.
Viene così sancita la definitiva trasformazione nella psicologia del Joker, che perdura ancora oggi.
L’episodio mette anche in mostra per la prima volta in modo esplicito la natura fondamentalmente ambigua del rapporto tra il Joker e Batman, che da qui in poi comincia a diventare simbiotico. Batman caccia il Joker, ma anche il Joker caccia Batman. Ognuno dei due esercita violenza sull’altro e allo stesso modo la subisce. Man mano che la storia procede Batman diventa sempre più simile al Joker e viceversa. Diventa palpabile una vera e propria attrazione tra i due personaggi.
The Killing Joke (1988)
Quella che Alan Moore e Brian Bolland hanno dedicato alle origini del Joker è una delle storie più note di Batman. Inizia e finisce con la stessa vignetta, come a dire che tutto ciò che sta in mezzo non modifica nulla. Due vignette che hanno come protagonista la pioggia. Gocce di pioggia sferzano l’asfalto creando cerchi nell’acqua che rimandano i riflessi dei fari di un’auto nel buio della notte. Guardandolo attentamente, il motivo dei cerchi concentrici multipli sembra perdere la sua funzione rappresentativa e trasformarsi in motivo astratto.
Un’auto si avvicina. È la batmobile. È l’inizio di una storia che scava nell’ambiguità dei sentimenti e negli oscuri recessi della personalità dei due personaggi. Vi si racconta il tentativo del Joker di dimostrare che la follia è una possibilità insita all’interno di ognuno di noi. Sono solo le circostanze della vita a determinare chi manifesterà esternamente questa follia e chi invece la manterrà nascosta dentro di sé. Questa storia pone solo la domanda senza dare una risposta.
Il finale ambiguo rimane aperto a diverse interpretazioni. Lo sceneggiatore Grant Morrison sostiene che Batman uccide il Joker rompendogli l’osso del collo, motivo per cui la risata del Joker si interrompe (ma se così fosse i piedi si muoverebbero freneticamente nelle due vignette precedenti all’interruzione).
Le ultime indicazioni di Moore nella sceneggiatura sembrano disinteressarsi del senso della storia, quasi l’autore fosse rimasto rapito dalla pioggia che continua a cadere e si fosse perso a contemplare il motivo dei cerchi concentrici multipli: “Now we have close in so tight we can just see the silver white ripples pattern spreading out across the inky blackness, more an abstract design than anything else”.
Going Sane (1994)
Il soggetto di questa storia è stata originariamente presentata alla Dc da J.M. DeMatteis a metà degli anni ottanta, ma venne respinta perché sembrava simile a un’altra storia in produzione, Batman: The Killing Joke.
Il filo sottile che collega e unisce le due figure antitetiche è il tema di questa intensa storia disegnata da Joe Staton con uno stile più raffinato rispetto alla sua consueta produzione. L’ennesimo confronto tra il Joker e Batman si conclude con l’apparente morte di quest’ultimo.
Un evento traumatico sembra avere reciso il filo che legava cosi strettamente i due arcinemici privando entrambi del senso ultimo del loro agire e costringendoli a seguire ognuno il proprio percorso verso una possibile sanità mentale. Joker si sottopone a un intervento di chirurgia plastica che cancella il suo ghigno satanico. Decide di usare lo pseudonimo di Joseph Kerr per costruirsi una nuova identità e finisce per innamorarsi della bella vicina di casa.
Anche Batman incontra una donna: la dottoressa Lynn Eagles, che gli permette di mettersi a nudo, di togliersi la maschera, di riscoprire quella parte di sé apparentemente sepolta dopo la morte dei genitori.
Ma questa donna gli ricorda anche il senso della propria missione: il dedicarsi agli altri. Batman allora si riappropria del ruolo di angelo custode, di protettore degli indifesi e rientra in scena. La ricomparsa di Batman costringe anche il Joker a tornare a vestire i panni del supercriminale sul palcoscenico della vita. Riprende così l’eterna lotta tra il bene e il male.
Joker (2008)
“Alcuni uomini vogliono solo vedere il mondo bruciare”, questa frase è il culmine del famoso monologo del film di Christopher Nolan Il Cavaliere Oscuro. Qui Alfred, il maggiordomo di Batman, illumina il movente principale del Joker, che trascorre il suo tempo scatenando distruzione e caos. Il Joker del dopo 11 settembre è diventato l’emblema del caos, una scheggia impazzita che si oppone all’armonia e all’ordine.
Dopo gli attentati al World Trade Center di New York il mondo appare senza guida e il Joker può, meglio di chiunque altro, interpretare questo smarrimento. Il successo di pubblico con il quale è stata accolta l’ennesima trasformazione cinematografica del pagliaccio con i capelli verdi, diventato più folle e violento che mai, ci fa capire che ci troviamo veramente nell’era del caos.
Lo sceneggiatore Brian Azzarello (autore della fortunata serie 100 Bullets) ha intercettato questo sentimento concependo una delle storie più cattive e sporche di sempre.
Alle matite, perfettamente in grado di assecondare l’umore nerissimo di Azzarello, troviamo un Lee Bermejo in gran forma. Joker è stato rilasciato dal manicomio di Arkham e tutta la Gotham del crimine trema: il nostro villain preferito non è molto contento di come sono andate le cose in sua assenza. Questa volta ne ha proprio per tutti.
Si vendica in una lunga e tormentata discesa nell’abisso dei criminali di Gotham. Joker salda il conto con tutti: da Killer Croc al Pinguino, dall’Enigmista a Due Facce. In una lotta senza tregua che si svolge negli angoli più oscuri e degradati di Gotham, che mai come qui sembra essersi trasformata in un paesaggio dell’anima. Quella contorta e inafferrabile del Joker.
Lee Bermejo riesce a modellare un’idea del Joker innovativa, diversa, nella quale si può toccare con mano la rabbia e lo smarrimento dei nostri giorni. La sua versione dell’arcinemico di Batman è molto simile a quella interpretata da Heath Ledger. Sia come trucco facciale (assente nel “vero” Joker dei fumetti) sia come psicologia, addirittura le movenze sono simili. Questa graphic novel e il film sono usciti nel 2008, e pare che si sia voluto riprendere consapevolmente la versione cinematografica del villain.
Death of the Family (2012)
“Il Joker ha la tendenza di attrarre chiunque abbia problemi mentali, non solo gli ossessivi e i fanatici nichilisti alla ricerca di un eroe, ma anche i semplici depressi”. Con questa considerazione lo sceneggiatore Scott Snyder ci introduce al nuovo status del Joker: un polo d’attrazione per coloro che sono stufi della nostra società. Un popolo di scontenti, di persone emarginate devote alla carismatica guida dell’uomo dai capelli verdi.
Un popolo non poi tanto diverso da quello che affolla i social media alla ricerca di teorie cospirazioniste, di improbabili fake news, di nemici immaginari su cui sfogare le frustrazioni.
Il Joker è apparentemente scomparso e ha lasciato orfani i propri seguaci, che continuano a invocarlo ossessivamente.
Il pagliaccio manca nei fumetti da diverso tempo, da quando Dollmaker, sulle pagine di Detective Comics, gli ha scarnificato la faccia. Il Joker ritorna per riprendersi la faccia, letteralmente, e al tempo stesso per ribadire il proprio ruolo di peggior incubo di Batman.
In questa storia il Joker si scaglia contro “La famiglia” di Batman: il maggiordomo Alfred, il commissario Gordon, Robin, Barbara, Nightwing e Red Hood. In quello che sembra un tentativo di dimostrare che lui ama Batman più di chiunque altro.
Il Joker cambia faccia, ma la sua ossessione per Batman rimane la stessa. Una ossessione che qui si arricchisce di espliciti contorni sentimentali. Durante il capitolo iniziale il Joker sussurra a Batman: “Come mi sei mancato”. Nella seconda puntata, quando Batman trova il Joker che lo aspetta su un ponte di Gotham, le prime parole del suo nemico sono “Ciao, tesoro”.
In Death of the Family la figura del Joker sembra quasi ambire alla trascendenza. Si presenta come una forza mitica, come qualcosa di superiore al solito supercriminale psicotico. Il Joker cerca di trasformarsi in qualcosa di più di un semplice uomo. A Batman, di converso, succede l’esatto contrario: da eroe sembra diventare sempre più umano, più fragile e fallibile.
Il confronto tra queste due forze fortemente polarizzate, ma in continua mutazione, con gli anni sembra diventare sempre più profondo…