IL COMMISSARIO SPADA È L’UNICO FUMETTO ITALIANO

IL COMMISSARIO SPADA È L’UNICO FUMETTO ITALIANO

I fumetti “italiani”, almeno quelli famosi, sono sempre ambientati all’estero: Tex in America, Dylan Dog in Inghilterra e Diabolik a… Clerville!

Come può un fumetto ambientato all’estero parlare dell’Italia?
I fumetti americani parlano dell’America, quelli giapponesi del Giappone, quelli francesi della Francia. I fumetti italiani, non parlando del nostro Paese, non parlano di nessun luogo.


I nostri fumetti più importanti non parlano dell’Italia con una sola grande eccezione: il Commissario Spada.

Sbirro ideato coraggiosamente durante la contestazione studentesca, il Commissario Spada è senza dubbio uno dei migliori fumetti italiani.
Gli autori sono Gian Luigi Gonano (che si firma Giobbe) e Gianni De Luca. Gonano è uno sceneggiatore dalla qualità altalenante, ma con il Commissario Spada fa faville. De Luca è uno dei massimi disegnatori italiani, insieme a Jacovitti, Magnus e Andrea Pazienza

Nel decadente mondo di oggi, dove i disegnatori di fumetti non fanno altro che fotografare modelli e ricalcarli, Gianni De Luca, come Will Eisner, ci insegna lo storytelling del fumetto.


Il Commissario Spada parla della Milano degli anni settanta, come possiamo vedere nell’incredibile episodio che vi presentiamo: “Il mondo di Sgrinfia”.

Leggetelo e piangete. Piangete per quello che avrebbe potuto essere il fumetto italiano e non è stato.
Quanta potenziale ricchezza ha perduto la nostra cultura!


La storia inizia tra la nebbia che ricopre la brutta Torre Velasca nel centro di Milano, non tra le belle montagne erose dal vento del deserto dell’Arizona.

Per un fotografaro sarebbe stato impossibile disegnare sequenze come queste.

La prima puntata ve l’abbiamo fatta vedere tutta, la parte centrale della storia in sole due pagine.
Una biondina aggancia Sgrinfia, uno capace di aprire le cassaforti senza scassinarle. Sgrinfia tentenna, lui evidentemente apparteneva al mondo della ligéra, la vecchia mala milanese che rubava senza uccidere e che non smerciava droga. La tizia è invece complice di uno dei delinquenti dal grilletto facile, arrivati soprattutto con l’immigrazione dall’Italia meridionale a partire dagli anni cinquanta.


Facendo il ficcanaso, un ragazzino poco seguito dal padre (secondo lo stereotipo del sociologismo giovanilista al quale la serie del Commissario Spada indulge spesso) finisce per essere coinvolto nella rapina.


Ed ecco per intero la decima e ultima puntata.


A un certo punto le tavole sono tirate via perché Gianni De Luca, che aveva un carattere difficile, ha avuto uno screzio con la casa editrice: uno stupidotto gli aveva detto che i puntini li poteva mettere in due secondi con il retino, mentre lui li faceva a mano con molta fatica.

A questo punto, chi meglio del pittore e critico Tomaso Prospero Turchi ci potrebbe parlare di Gianni De Luca?

(Dopo l’intervista, torno in solitaria commentando alcuni dei fumetti più originali di De Luca).

Tomaso Prospero Turchi

 

Gianni De Luca nasce in Calabria nel 1927, quando si trasferisce a Roma?
Nel 1933, a 6 anni. Il bimbetto è precoce e già disegna a modo suo. Quando inizia le scuole elementari riempie i quaderni di immagini di ogni tipo. In edicola c’è già “Topolino” di Nerbini, di lì a poco arriverà “L’Avventuroso”. Gianni ha così modo di guardare e leggere le meravigliose avventure di Gordon (Flash), disegnate da quell’Alex Raymond che già aveva fatto il suo ingresso in Italia come “negro”, attraverso le tavole delle peripezie esotiche di Cino e Franco. Due adolescenti con i quali era facile immedesimarsi. A loro non interessano ancora le ragazze, ma ce ne sono, eccome! Chi non ricorda la regina Loana?

Che palle ‘sta regina Loana… Umberto Eco l’ha pure inserita nel titolo di un romanzo poco ispirato. Piuttosto, parlaci del fatale incontro tra De Luca e “Il Vittorioso”…
Avviene quando Gianni ha 10 anni. Pare sia stato un fan della prima ora del settimanale cattolico “Il Vittorioso”. Però negli anni appena successivi si abbevera anche delle storie di Tarzan disegnato da Hal Foster, come pure di Dick Fulmine realizzato da Carlo Cossio. Quindi, dal 1938, delle imprese aviatorie di Romano pubblicate dal Vittorioso, prima legionario poi esploratore giramondo. Creatura nata dalla penna del grande Kurt Caesar, che scoppiata la guerra nel 1940 manda Romano in Africa orientale. Ormai ragazzo, Luca si appassiona alle gesta eroiche dei nostri combattenti, visto che proprio questo è l’argomento del suo primo fumetto eseguito a livello dilettantesco. Nel 1942 dovrebbe essere avvenuta la sua prima visita alla redazione romana de “Il Vittorioso”. Con sé portava disegni e schizzi vari, uno dei quali sarebbe stato pubblicato solo anni dopo.

Qual è il suo primo fumetto?
Da una intervista rilasciata alla figlia Laura si apprende che risale al 1943 e, come ho già detto, è di genere bellico. Dalle poche tavole pubblicate risulta chiaramente l’influsso di Caesar nell’impostazione, forma e struttura delle armi, e anche dalla strip di X9, disegnata da Alex Raymond su testi dello scrittore Dashiell Hammett. Poiché anche Caesar era raymondiano… il cerchio si chiude! Il primo lavoro pubblicato da De Luca non è una storia a fumetti, ma una serie di illustrazioni a corredo del romanzo “Senza famiglia” di Hector Mallot della fine del 1945. Per quanto riguarda il fumetto, esordisce nel marzo 1946 sull’albo Tam-Tam n. 2 edito dalla Semci, con la storia “Il guercio sconfitto”. Poi nel giugno dello stesso anno esce nella serie Albi Roma della Ave, la casa editrice del Vittorioso, il n. 1, con la storia “Anac il distruttore”. Sul settimanale “Il Vittorioso” vero e proprio, Gianni De Luca debutta alla fine del 1947 con “Il mago Da Vinci”, anche se già nel corso di quello stesso anno appaiono suoi disegnini a corredo di rubriche varie e, dall’inizio del 1948, illustrazioni di questo o quel racconto, firmati generalmente con la sigla GD. Messi a confronto con i disegni delle storie a fumetti coeve, già si evidenzia la capacità di percorrere più binari tecnico-espressivi e di sfoggiare una inconsueta duttilità del segno.

Quando De Luca comincia a disegnare fumetti di un certo livello?
Direi dal 1951, con l’avveniristico “Gli ultimi della Terra”. Storia disegnata con una inconsueta stilizzazione formale che mette in evidenza la capacità di De Luca di cambiare registro a seconda del soggetto delle varie storie (sempre su testi altrui) che deve disegnare: una sorta di cifra stilistica plurima, che l’autore ha la capacità di gestire a ragion veduta. Seguirà nel 1952 “Il cantico dell’arco”, dove si cala di nuovo in uno scenario storico usando un disegno più classico. Lo stesso disegno di stampo realistico appare nel fumetto successivo, “Le braccia di pietra”, su testi di Belloni. In questa storia ambientata nella contemporanea Roma degli anni cinquanta, Gianni De Luca continua la sua sperimentazione grafica con uno stile limpido e fortemente espressivo nell’uso del segno e documentaristico nella scenografia.

In che anno inizia a collaborare con l’altro settimanale cattolico, “Il Giornalino”?
Nel 1953. La prima storia è “La leggenda della montagna”, con grandi tavole a colori piatti nelle quali il disegno si avvale di una tecnica molto elaborata basata sui chiaroscuri, con risultati di realismo quasi fotografico. Ma continua a lavorare soprattutto per il Vittorioso. Gianni De Luca è un artista che non manca mai di stupire: nel 1958 illustra il racconto di Lino Monchieri, “Ragazzi di Ungheria”. Lo stile si avvale dell’uso del pennino, per tratteggiare contorni schizzati, e del pennello con effetti espressionistici. Di volta in volta le immagini sono virate in azzurro oppure in rosa o arancione chiaro. Un De Luca colto e attentissimo conoscitore del percorso dell’arte figurativa italiana.

Trovo particolarmente significativi i fumetti di De Luca ambientati nell’attualità…
Su “Il Vittorioso” ci ritorna nel 1957, con “Giallo alla 14° strada” su testi di Mario Basari. In questo caso De Luca, calato nella contemporaneità di allora e nel genere poliziesco, si avvale di un disegno che richiama alla mente certe stilizzazioni formali di disegnatori americani coevi, specialmente nella caratterizzazione espressiva dei volti di molti personaggi. Cito ancora Alex Raymond dal momento in cui, finita la guerra e tornato alla vita borghese, nel 1946 inizia, con la striscia quotidiana del detective Rip Kirby, ad accostarsi sempre più alla descrizione naturalistica del reale. Personaggi principali, comprimari, siano essi uomini, donne vecchi o bambini, vengono resi con una fisionomia ed espressività unica e personale. Maschere, maschere umane, attori disegnati con tecnica sopraffina e grande resa espressiva. Raymond è morto in un incidente stradale proprio in quel 1956, anno in cui Gianni De Luca crea, all’interno della storia del “Giallo alla 14° strada”, tutta una serie di attori estremamente caratterizzati in senso individuale.

Alex Raymond ha avuto un grosso impatto sul fumetto italiano, a mio parere non sempre con esiti felici. In definitiva, qual è stato il rapporto di questo autore con De Luca?
Non faccio che scoprire l’acqua calda, se punto il dito fra le assonanze di stile riscontrabili fra certi aspetti del disegno raymondiano di metà anni quaranta e quello di certe storie di De Luca di dieci anni dopo. In effetti Raymond lascia la sua impronta anche su molti altri disegnatori italiani. Ma ci sono in America autori dei comic book e delle strisce giornaliere che si barcamenano fra la stilizzazione di Milton Caniff e il realismo di Raymond, fra la concezione classica data alla pagina divisa in strisce regolari e quella non tradizionale di Will Eisner, l’autore di “The Spirit”. E dai primi traggono ispirazione disegnatori come Polese e D’Antonio. Un accostamento, me ne rendo conto, che andrebbe meditato e approfondito. Comunque non è detto che De Luca sia stato influenzato solo dai disegnatori americani di fumetti, sia lui che altri hanno probabilmente attinto dal materiale filmico di allora: particolari fisionomie e atteggiamenti, gestuali e del corpo, di attori del grande schermo.

Nella seconda metà degli anni sessanta “Il Vittorioso” cambia la testata in “Vitt” e poi chiude per sempre: ormai De Luca lavora solo per “Il Giornalino”. Qual è il momento cruciale della sua svolta grafica?
Il 1969 è un anno importante nella carriera di De Luca. Non solo per il suo ritorno definitivo al fumetto con Bob Jason, un western del quale disegna più di cento tavole con stile accurato, ma soprattutto è l’anno che precede l’arrivo del Commissario Spada, le cui avventure vengono scritte dal giornalista e scrittore Gian Luigi Gonano. Qui si apre uno scenario influenzato da quanto accade nella società italiana, che negli anni settanta è percorsa da correnti opposte di ribellione e di “ritorno all’ordine”. Sulle storie del Commissario Spada sono stati versati fiumi di inchiostro. Se non ho contato male, sono 13 episodi, l’ultimo dei quali pubblicato nel 1982.

De Luca si dedica anche allo sperimentalismo…
Sì, tra il 1975 e 1976, sul “Giornalino”, ha l’occasione di disegnare in successione tre opere di William Shakespeare adattate da Raul Traverso: è qui, in questo momento che dura due anni, che De Luca dà stura alle sue ambizioni creative per fissare sulla carta le opere teatrali di “Amleto”, “La Tempesta” e “Romeo e Giulietta”. Lo può fare perché alla base non c’è la realtà da piegare e ridurre a tavola bidimensionale disegnata, ma una finzione recitativa che si snoda nei limiti ben definiti di un piccolo teatro. Negli anni ottanta De Luca si riporta a livelli più convenzionali disegnando storie di certo variegate in fatto di genere, ma legate ad ambiti più comuni: “Il giornalino di Gian Burrasca”, “Totò”, “Marilyn Monroe”, “Paulus”, “Avventura sull’Orinoco”, “La freccia nera”, “Alla scoperta del pianeta Terra” e, per ultimo, l’incompleto (causa la morte dell’autore) “I giorni dell’Impero”.


Come è nato il Commissario Spada?
Se negli anni sessanta Gino Tommaselli e Gian Luigi Gonano non avessero lavorato alla rivista di fantascienza “Gamma”, non sarebbe mai nato. Oppure sarebbe nato ugualmente poiché erano in qualche modo imparentati, si frequentavano ed erano amici. Verso la fine del 1969, Gonano viene chiamato a “Il Giornalino”, del quale Gino Tommaselli è caporedattore, e gli viene fatta la proposta di diventare sceneggiatore di una serie a fumetti disegnata dal già celebre disegnatore Gianni De Luca, rientrato nelle storie per ragazzi dopo quasi dieci anni passati a fare l’artista. Nel 1970 appare a puntate su “Il Giornalino” la prima avventura intitolata “Il ladro di uranio”, disegnata dall’apparentemente ringhioso e cupo De Luca, che poi nella realtà era allegro e sereno, felice di lavorare per i Paolini. E capace di rifiutare allettanti offerte di lavoro, come quella proveniente da “Il Corriere dei Ragazzi” nel 1972 e quella dell’editrice Cepim per la serie di albi “Un uomo un’avventura”. Anche di snobbare Bonelli nell’ambito di una delle famose serie di giornate di “Lucca Fumetto”, manifestazione cult degli anni settanta!

Tu cosa ne pensi del Commissario Spada?
Dipende dai giorni. A volte certi episodi mi piacciono e altre non me ne piace nessuno, a eccezione de “Il segreto dell’isola”, l’avventura giovanilistica del figlio di Spada, Mario, e della sua amichetta. Diciamo che nel complesso le storie di Gonano e De Luca sono, secondo me, troppo impegnate e immerse nell’antropologia del sociale, nell’attualità nel famoso decennio degli anni settanta. Al servizio di una pubblicazione ufficialmente e ostentatamente cattolica che, proprio per questo, non poteva permettere che i cattivi morissero senza prima redimersi o, se cacciati in galera, non mostrassero segni se non di ravvedimento, almeno di pentimento.

E i disegni di De Luca in queste storie?
Come è possibile criticare un genio? Però devo dire che l’ultimo episodio della saga, “Fantasmi” del 1982, mostra De Luca impegnato in una ricerca fin troppo puntigliosa dell’essenza del gioco delle luci e delle ombre attraverso un uso del chiaroscuro pensato come se una serie di riflettori illuminassero la scena. Io preferisco il De Luca elegante e sintetico di altre storie.

Un giudizio finale su di lui?
Era un perfezionista alla ricerca di soluzioni grafiche quasi impossibili.

 


Come ha appena detto Tomaso, su testi di Raul Traverso (che si firma Roudolph), nella seconda metà degli anni settanta Gianni De Luca cede allo sperimentalismo realizzando gli adattamenti di tre opere di William Shakespeare.

Sopra abbiamo visto alcune pagine di “Giulietta e Romeo”, sotto c’è “La Tempesta”. Questi due lavori di William Shakespeare, come molti altri, sono ambientati, in tutto o in parte, in Italia.
Qualcuno sostiene che Shakespeare fosse un siciliano di nome Scrollalanza. Lasciata l’isola per motivi religiosi, avrebbe raggiunto il ramo inglese dei Florio per chiedere protezione. Comunque sia, le opere di Shakespeare sono strapiene di italianismi che non si trovano da nessun’altra parte nella letteratura inglese: ho scoperto persino un “cojons” per “coglioni”, nel senso di imbecilli.

Se leggete l’agile e divertente libretto della Tempesta di Shakespeare troverete un sacco di particolari che ricordano molto da vicino il Dottor Strange della Marvel, comprese le caratteristiche dei pesonaggi. Secondo me, Stan Lee o Steve Ditko hanno tratto ispirazione proprio dalla Tempesta per questo personaggio, che sembra la fotocopia del mistico protagonista milanese Prospero. Più probabilmente Stan Lee, dato che l’influsso di Shakespeare è ben presente anche nei dialoghi di Thor.

Su Amleto potete leggere qualche mio delirio qui.

Queste storie a fumetti con le figure ripetute su tutta la tavola o su due tavole, che aboliscono la classica sequenza delle vignette, sono straordinarie…

… ma non possono essere continuate all’infinito, a un certo punto stufano.


Dopo avere realizzato gli adattamenti shakespeariani e chiuso il ciclo dello stupefacente Commissario Spada, “Il Giornalino” commissionerà a De Luca solo storie dallo scarso spessore, sprecando il suo enorme talento.
Del resto, non era più tempo di presentare morti ammazzati nelle stesse pagine dei Puffi: i rivoluzionari anni settanta erano finiti.

Gianni De Luca viene a mancare nel 1991.

 

 

Contatto E-mail: info@giornale.pop

2 commenti

  1. Quando pubblichi queste scansioni, Sauro, mi viene voglia di passare una settimana di ferie nella tua biblioteca!

  2. Da vecchio lettore del Giornalino conoscevo il personaggio ma non gli autori. Mi ha fatto piacere leggere questo articolo perché sono un sostenitore di questo argomento. Ho fatto anche delle proposte ma credo che semplicemente non vada di moda nelle redazioni questo genere a metà tra il nuovo e il vintage, oltretutto l’italiano è stato sempre in minoranza. Io credo invece che ci sarebbe spazio. Questo commissario Spada è fantastico ancor più ora che lo rivedo, ma immagino che farebbe storcere il naso a un manierismo diffuso oggi, che ha intellettualizzato troppo questa arte narrativa. Eppure leggo belle cose nuove, per esempio da Cosmo, mentre vedo che IF propone vecchie cose, di nuovo. Forse sono solo un nostalgico.

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