I REGISTI PIÙ SOPRAVVALUTATI IN 10 SEQUENZE

I REGISTI PIÙ SOPRAVVALUTATI IN 10 SEQUENZE

Poiché da qui a settembre dovremo sorbirci, in un modo o nell’altro, innumerevoli volte il trailer del nuovo “capolavoro” del regista più sopravvalutato della storia (lasciamo al lettore il compito d’indovinarne il nome), si è pensato di stilare una lista di 10 cineasti contemporanei che potrebbero (quasi) eguagliarlo. D’altronde, il nuovo millennio è stato caratterizzato dalle rivalutazioni, che sono poi diventate sopravvalutazioni persino di ciò che in passato era stato sottovalutato.

Alfonso Cuarón

L’ultimo dei sopravvalutati, in quanto vincitore addirittura del Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema. Strano che a proposito di Roma nessuno abbia rilevato che il bianco e nero, e certe scelte visive di Cuaron, riportino alla memoria gli analoghi ma ben più espressivi film girati nei primi anni ottanta da Coppola, Lynch, Wenders e Scorsese. Comunque il regista messicano ha toccato il fondo soprattutto con il fantascientifico Gravity, del 2013, nel quale il presunto virtuosismo tecnico serve solo a celare il nulla cosmico.

Nicolas Winding-Refn

Unico europeo del mazzo. Non perché non ce ne sarebbero altri (italiani compresi, ovviamente), semplicemente perché i registi americani, o che gravitano professionalmente intorno agli Stati Uniti, finiscono per avere sempre più visibilità e per essere presi maggiormente in considerazione. Comunque, Winding-Refn è il migliore della lista e in ogni film (a eccezione di Only God Forgive, davvero detestabile, e di Valhalla Rising) si possono trovare motivi di interesse. Il più riuscito è forse quello che lo stesso regista apprezza meno, vale a dire Fear X. Ma anche nei tre Pusher, in Drive e nell’ultimo, The Neon Demon, non mancano i momenti apprezzabili. Da qui a essere definito un genio, come si è letto in varie occasioni, ce ne corre.

M. Night Shyamalan

Ha suscitato un certo scalpore, qualche anno fa, la risposta data da David Cronenberg a un giornalista che gli aveva chiesto cosa pensasse del cinema di Shyamalan: “Lo odio. Prossima domanda?”. Una presa di posizione tanto netta denota probabilmente lo scoramento di una generazione di registi che consideravano l’horror e il thriller generi capaci di raccontare l’uomo e la società in maniera inusuale, provocatoria, poco conciliante, persino spiacevole. Un horror d’avanguardia, se vogliamo. Shyamalan è al contrario un cineasta del tutto allineato, anche quando vuole essere disturbante (come nei recenti Split e Glass). The Village, per esempio, che è comunque un film ben fatto (e anche qui sta il problema), con il suo appiattirsi in una suspense di maniera e nella spasmodica attesa del “colpo di scena”, nonché nella contrapposizione comunità retrograda/mondo esterno (vecchi contro giovani, oltretutto), è un esempio di cinema dell’orrore moderno solo in apparenza, piuttosto conformista sia sotto il profilo concettuale che espressivo.

Christopher Nolan

Emblematico il fatto che quasi tutti questi grandi autori abbiano avuto a che fare con generi, personaggi e saghe che decenni fa erano ritenuti di consumo e per i quali sarebbero stati subito etichettati come commerciali. Christopher Nolan dal canto suo si è cimentato con uno dei supereroi più amati, Batman, a cominciare da Batman Begins, del 2005. Al di fuori dei tre film targati Dc Comics ha sempre mostrato d’essere molto ambizioso e, però, poco appassionante, ad esempio con Interstellar (2014), pretenzioso ma inerte. Anche la grandiosità indubbiamente empatica della sua ultima fatica, Dunkirk (2017), non riesce ad andare oltre a una tensione drammatica spettacolare fine a se stessa.

Sam Mendes

Come Singer, Sam Mendes si è fatto conoscere con un film già in odore di sopravvalutazione, American Beauty, del 1999, guarda caso interpretato da uno dei protagonisti di I soliti sospetti, Kevin Spacey. Quando è uscito Jarhead (2005), qualche critico ha azzardato un paragone con Stanley Kubrick. Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro, se non che la carriera recente di Mendes si regge su due titoli della saga di 007: Skyfall, del 2012, e Spectre, del 2015. Che nel complesso non sono neanche male.

Bryan Singer

Sopravvalutato fino a un certo punto, dal momento che il suo ultimo film, Bohemian Rhapsody, ha vinto quattro Oscar (compreso quello per il miglior film) ma non quello per la miglior regia e che il suo nome non è stato quasi usato per la campagna promozionale. D’altra parte, si è imposto all’attenzione con il suo secondo film, I soliti sospetti (1995, elogiato ben oltre i suoi meriti oggettivi) e da allora, tra un X-Men (2000) e l’altro, non ha fatto molto per tenere desto l’interesse autoriale nei suoi confronti.

Wes Anderson

Le sue famose inquadrature “geometriche” hanno incantato una moltitudine di spettatori, tanto che un meglio precisato studioso ha scritto (o sta scrivendo, non è ben chiaro) un profondo trattato sull’argomento. Il suo miglior film è ritenuto senza dubbio I Tenenbaum, del 2001, che però è ritenuto anche il peggiore. Wes Anderson può dunque vantare un primato: è l’unico regista della storia a cui sia riuscita l’impresa di realizzare il film più bello e più brutto al contempo. Questo fa sì che la sua presenza nell’articolo sia ancora in dubbio, poiché non si è ancora ben capito se sia da ritenersi sopravvalutato, o il contrario.

Denis Villeneuve

Blade Runner 2049 è stata solo l’ultima “perla” fantascientifica di Villeneuve, che aveva già dato segnali inquietanti con Arrival, del 2016. E pensare che almeno Prisoners, la sua migliore regia, e la prima mezz’ora di Enemy (entrambi del 2013), avevano fatto pensare che il cineasta canadese fosse il più adatto a dirigere il seguito del celebre film di Ridley Scott. Non contento, Villeneuve sta ora girando il secondo adattamento del romanzo di Frank Herbert, Dune, già portato sul grande schermo da David Lynch nel 1984.

Guillermo Del Toro

La piacevole visione di Mimic (secondo lungometraggio di Guillermo Del Toro), nel lontano 1997, mai avrebbe fatto supporre che il regista, invece di limitarsi a diventare un buon artigiano di film dell’orrore, avrebbe vinto il Leone d’Oro a Venezia e per di più con un’opera fantasy. Infatti ancora adesso si fatica a credere che l’autore dei (molto) deludenti Il labirinto del fauno (2006) e soprattutto Crimson Peak (2015), possa aver ottenuto un premio tanto prestigioso che tempo addietro sarebbe stato appannaggio di registi di ben altra levatura. Bisogna ammettere però che Hellboy (2004) e il seguito, del 2009, dimostrano quantomeno un discreto talento visivo.

Alejandro González Iñárritu

Per Iñárritu si è deciso, in mancanza di idee migliori, di fare un copia e incolla del pezzo su Wes Anderson. Cosa abbastanza usuale tra chi scrive di cinema oggigiorno. Avendo naturalmente l’accortezza di sostituire il nome del regista, il titolo del film e altre quisquilie. Ecco il risultato. I suoi famosi piani sequenza hanno incantato una moltitudine di spettatori, tanto che un meglio precisato studioso ha scritto (o sta scrivendo, non è ben chiaro) un profondo trattato sull’argomento. Il suo miglior film è ritenuto senza dubbio Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza), del 2014, che però è ritenuto anche il peggiore. Iñárritu può dunque vantare un primato: è l’unico regista della storia a cui sia riuscita l’impresa di realizzare il film più bello e più brutto al contempo. Questo fa sì che la sua presenza nell’articolo sia ancora in dubbio, poiché non si è ancora ben capito se sia da
ritenersi sopravvalutato, o il contrario.

 

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