I NUOVI DÈI E IL LINGUAGGIO BIBLICO DI KIRBY

Qualcuno dice che i Nuovi Dèi siano l’apogeo, il punto più alto toccato da Jack Kirby. Di certo è uno dei momenti in cui la sua cultura biblica, che Kirby ha ricevuto in gioventù come ogni ebreo, è più evidente.
Siamo all’inizio degli anni settanta, Kirby viene da un decennio di inarrestabile creatività che ha donato all’universo fumettistico Marvel. Durante questo periodo non ha potuto esprimersi del tutto liberamente, sottoposto come era alla supervisione di Stan Lee.
Ora la Dc Comics gli dà l’opportunità di debuttare come autore completo. Kirby deve, in un certo senso, ripartire da zero. Non ci sono problemi. È in uno stato di grazia mai visto prima. Forse di idee ne ha persino troppe. Riparte da zero, come a inizio carriera, riparte dagli dèi. Dai Nuovi Dèi.
Sono coloro che restano dopo che i vecchi dèi sono scomparsi, annientati da una guerra fratricida.
In questa saga potente, profonda e lacerante c’è un episodio che spicca sugli altri. Si tratta di “The Pact”: “Il patto”.
È una storia di guerra nell’era del Vietnam, sull’ambiguità morale e sui costi umani terrificanti della guerra. Vi si racconta del modo in cui la guerra trasforma gli uomini. Vi si spiega che se si comincia una guerra per difendere qualcosa alla fine si finisce per tradire ciò che si voleva difendere.
Soprattutto, è la storia di Izaya e di come è diventato il padre adottivo del figlio del malvagio Darkseid, Orion.
Il bambino, ostaggio della guerra, diventa il mezzo per stabilire un fragile cessate il fuoco tra i due contendenti, un trattato, un patto.
Sulla rottura di quel patto, la saga dei Nuovi Dèi prende vita. In una sorta di rinnovato mito della creazione, “Il Patto” ci riporta al linguaggio alto che caratterizza i testi più importanti di Kirby.
Questa storia ci racconta il “principio di tutte le cose”, allude alla Genesi biblica con l’idea dell’ordine che sorge dal caos. Anche se si rivelerà sostanzialmente una storia di guerra, “Il Patto” punta più sul personale che sull’universale.
La storia inizia sul pianeta di Nuova Genesi, con un’idilliaca pagina dal sapore assolutamente biblico, dove Izaya l’erede al trono e sua moglie, Avia, riposano felicemente in una sorta di giardino dell’Eden. Schiena contro schiena siedono sull’erba come due amanti impigriti, con l’abbigliamento e il contegno di due personaggi del mito.
La didascalia iniziale di Jack Kirby, tuttavia, ci avverte della “tragedia imminente” e stabilisce che questo non è l’Eden, ma piuttosto “uno stato imperfetto”. Izaya, che con la sua criniera leonina sembra una robusta versione giovanile di un patriarca dell’Antico Testamento, si autodefinisce un guerriero. La malinconica Avia gli risponde esortandolo a cantare, piuttosto che a combattere. Nella seconda pagina Izaya spiega ad Avia che non è ancora arrivato il tempo per le canzoni.
L’idillio degli amanti viene bruscamente interrotto dall’assalto di Steppenwolf, del pianeta gemello Apokolips, e dai suoi predoni. Nelle quattro pagine che seguono, ha luogo la tragedia che pone le basi alla saga dei Nuovi Dèi.
Durante la battaglia tra Izaya e Steppenwolf, Avia viene involontariamente uccisa. Anche Izaya viene apparentemente ucciso da Darkseid. Ma Izaya non è morto e una volta ripresosi reclama la sua vendetta: inizia così la guerra.
Voltando pagina, una doppia splash page ci catapulta in una guerra “tecno-cosmica” tra fumo, fuoco, schegge di metallo e armi ad alta tecnologia.
In una manciata di pagine, in meno di una ventina di vignette, “Il patto” stabilisce il suo ambiente e i suoi conflitti simbolici: Nuova Genesi contro Apokolips, guerra contro desiderio di pace, astuzia contro valore, vendetta contro misericordia e pazienza. Natura paradisiaca contro tecnologia infernale.
I temi sono indubbiamente biblici e l’ambito assolutamente epico. Nelle pagine successive Kirby, sebbene preoccupato più delle conseguenze emotive e spirituali della guerra che dello spettacolo, fornisce immagini di violenza di massa impersonale, punteggiate dai tristi primi piani dei morti.
La storia presenta una panoplia di macchine per uccidere, riprodotte con il gusto di Kirby per il futurismo mitico: bombe di energia, draghi meccanici eruttanti fuoco, trasferimenti di materia. Il sublime tecnologico di Kirby è ai suoi vertici.
L’inventiva di Kirby diventa padrona del campo: bastoni distruttivi, cavalleria canina, ascia elettrica, guanti esplosivi: un vero torrente di invenzioni grafiche.
Lo stesso Steppenwolf, a dorso di cane, guida l’attacco a Nuova Genesi. Sfonda i ranghi nemici per affrontare il leader mascherato che, si scoprirà , essere Izaya, “il morto risorto”. Izaya lo uccide con il suo bastone da guerra.
Mentre cala il silenzio appare Metron, lo scienziato supremo equidistante tra le parti in lotta (una specie di signor Spok). Segue un curioso scambio di battute tra Izaya e lui.
Izaya – Sei venuto per esaminare gli effetti del tuo lavoro?
Metron – Questa guerra è opera tua, Izaya! Che ci posso fare se entrambe le parti cercano di usarmi?
Izaya – Quando serve al tuo scopo, tu collabori… e i guerrieri muoiono per questo!
Questo scambio sull’etica nell’utilizzo della tecnologia per fare la guerra è sicuramente figlio del periodo post-bomba atomica, con Metron che rappresenta i fabbricanti di bombe e gli scienziati missilistici.
Qui la nostra gioia per le spumeggianti invenzioni high tech di Kirby è mitigata dal riconoscimento degli orrori tecnologici della guerra e dal pensiero che spesso il progresso scientifico è sostenuto e stimolato dalla ricerca militare.
La pagina seguente ci fa entrare in un incubo apocalittico con l’escalation accelerata dell’immane conflitto: mostruose mutazioni prodotte in laboratorio, armi sismiche, laser solari… tutto confluisce in questa gigantesca ordalia.
Poi all’improvviso tutto cambia, la guerra perde la sua dimensione impersonale e diventa una faccenda privata.
Izaya è solo con se stesso.
Jack Kirby ce lo mostra ripreso da un angolo basso, mentre guarda in alto. La sua faccia è come scolpita nel marmo, la bocca rivolta verso il basso, severa, gli occhi letteralmente vuoti. Sembra spiritualmente svuotato.
Come può Izaya pensare di poter salvare Nuova Genesi distruggendo tutto? Questa corsa agli armamenti cosmici sta uccidendo ciò che di buono era dentro di lui. Nella vignetta successiva il volto di Izaya è coperto dalle sue mani.
“Questo è il modo di fare di Darkseid”, dice Izaya. “Sono stato infettato da Darkseid!”.
Si rende conto che deve ritrovare se stesso: non il guerriero, ma, come afferma nella vignetta successiva, “il vero servitore di coloro che guida!”.
In fondo alla pagina, Izaya attraversa, da solo, il paesaggio devastato di Nuova Genesi.
Le due pagine seguenti rappresentano uno dei racconti delle “origini” più insoliti dei fumetti e una delle scene più strane della carriera di Jack Kirby. Izaya vaga per la terra sfregiata, disseminata di resti di macchine da guerra e infestata da agenti batterici.
Vedere questa devastazione consolida la sua determinazione: cambierà, dovrà cambiare modo d’agire. Si rende conto di essersi lasciato trascinare nei “folli sogni di Darkseid! Da cui nessuno può sopravvivere!”.
E così Izaya si toglie l’armatura e dichiara, mentre gli elementi iniziano ad infuriare intorno a lui, che rifiuta la “via della guerra”. Una rinuncia disperata e rabbiosa. Gridando nel vento crescente, Izaya si proclama libero dalla strada di Darkseid.
Eppure non sa cosa stia cercando o dove risiede il suo io autentico: “Dov’è Izaya??!!!”. L’eccesso di punteggiatura corrisponde all’eruttiva intensità delle immagini: Kirby riempie la pagina di linee che indicano la forza di uragano.
Mentre “violenti lampi si attorcigliano e pugnalano la terra buia”, Izaya viene ridotto a una figura che si limita ad urlare il proprio nome al vento. In un primo piano intenso e senza bordi, non resta quasi nulla per definire il suo viso tranne i violenti tratti di inchiostro di Mike Royer sul disegno a matita di Jack Kirby. Si può quasi immaginare la punta della matita di Kirby che mitraglia la pagina.
Mentre voltiamo pagina l’eco dell’urlo di Izaya si spegne e tutto sembra calmarsi, siamo al cospetto di… Dio. Non un dio dalla forma umana, ma una presenza “senza età, imperscrutabile”, un semplice muro.
Un nudo muro di pietra biancastra rugosa in mezzo al nulla che ricorda il famoso monolito nero del film di Stanley Kubrick, che comunque Kirby non aveva ancora visto.
Izaya è ripreso da dietro, mentre si avvicina al muro. Un attimo di silenzio e poi la sua voce grida: “Se sono Yzaia l’erede, qual è la mia eredità?!”.
Questo è il momento più profondo della crisi spirituale e dell’esaltazione dell’eroe provato e sofferente, come Giacobbe dopo la lotta con l’angelo.
A questo punto arriva la risposta di Dio in un modo simile alla risposta che aveva dato a Mosè attraverso il roveto ardente. Dio è raffigurato da Kirby come una mano che scrive una frase nel fuoco: La fonte.
Si tratta del punto cruciale dei Nuovi Dèi, espresso con veemenza e intensità che sembrano portare alla luce l’intera visione del mondo dell’artista. In particolare, è una scena religiosa, “Il patto” è un racconto religioso.
Il patto presta il fianco alla sottile ambiguità che guida i comportamenti dei Nuovi Dèi, che diventano umani nel loro rifiuto di adattarsi completamente alle categorie assolute del bene e del male.
Entrambe le parti in guerra desiderano la pace, l’effetto finale è di confusione, ma è questa confusione a rendere la storia irripetibile. È anche quello che rende la storia figlia del suo tempo.
“Il patto” esce a metà del 1972, nel bel mezzo della gestione del presidente Richard Nixon della guerra con il Vietnam del Nord, in cui si cerca un’uscita dal conflitto che dura da troppi anni. Nixon ci riuscirà “alleandosi” in chiave antirussa con la Cina di Mao Zedong, la quale scaricherà la difesa del Vietnam ai soli sovietici.
Divise le due potenze comuniste, a quel punto la guerra perde d’interesse per gli americani: finirà poi in modo confuso con la ritirata dal Vietnam del Sud dopo le dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate.
Una situazione reale dalla quale la storia di Jack Kirby in qualche modo riecheggia la profonda ambivalenza.
Nelle ultime quattro pagine de “Il patto” viene raccontato come un cessate il fuoco tra Nuova Genesi e Apokolips venga sancito tramite uno strano “affare segreto”. Il patto che prevede uno scambio di eredi comprerà la pace.
Si tratta di un sacrificio dove entrambi i contendenti perdono i loro figli.
Izaya insegnerà a Orion, figlio di Darkseid, il valore dell’amicizia. Anche se Orion conserverà sempre qualcosa della ferocia del padre biologico, un’eredità che forma il nucleo della sua lotta interiore. Ma per Kirby è proprio da questa conflittualità che nasce l’uomo.

Drakseid riceve il figlio di Izaya: Scott Free, il futuro Mister Miracle

Più problematico l’accoglimento di Orion su Nuova Genesi…
“Un nudo muro di pietra biancastra rugosa in mezzo al nulla che ricorda il famoso monolito nero del film di Stanley Kubrick, che comunque Kirby non aveva ancora visto” – Questa mi era sfuggita! Chissà se non è da Kirby che Kubrick/A.C.Clarke hanno tratti ispirazione. Non mi stupirebbe.
King Kirby era un genio nel senso romantico del termine: arrivava alla cose senza passare dal via perché le regole del Monopoli non hanno senso per zucche arredate in quel modo. Non sapeva probabilmente che generazioni di teenagers erano state sacrificate nel tempo da una sporca mezza dozzina di Prez ( rif. incrociati il song Nineteen di Paul Hardcastle ed il film The Post di Steve Spielberg ndr ), ma poteva percepire che si era alla fine di una era. In fondo lo Armageddon da cui parte la saga del Quarto Mondo è un Momento Omega rifiutato dalla Casa delle Idee per la saga di Thor. KK cuce tutto nella sua visione del mondo ed arriva danzando leggero come un derviscio cubico a raccontarci di Orion e Scott Free ed a riflettere ( noi, KK non ha bisogno di riflettere perché la sua zucca è differente , come ho detto prima ) su quanto sangue ed ambiente creino la persona. Il distillato della storia è anche lì, forse è tutto lì, considerato che i miti giudaico cristiani sono storie bellissime che parlano del sangue e dell’ambiente nella formazione della persona, ma rischiano di restare sullo sfondo come un rumore di fondo mentre esploriamo il multiverso, allacciamo le super corde ( come erano tradotte nelle storie della Doom Patrol di Morrison anni fa ) o le super stringhe ( preferisco credere che siano corde e robuste ) e riflettiamo sulla possibilità che siamo tutti il punto di incontro di due coordinate cartesiane con una zucca che , per non impazzire, tridimensionalizza tutto. Siamo praticamente in un fumetto kyrbico con meno energia cinetica e senza le bellissime Kirby Spots o Dots e non parliamo come i suoi Blood o Ikaris O.M.A.C. ( anche il Jimmy Six degli Invisibles morrisoniani che entra in una stanza e dice: fermi tutti che devo leggervi la mente è puro Kirby dei seventies ) . Davvero un peccato che il King non sia ancora nella nostra realtà di sempre connessi, di esperimenti di teletrasporto, di RNA e spike, di Musk che andrà su Marte. Chissà cosa avrebbe potuto raccontarci…