I GRANDI DISEGNATORI FILIPPINI – LA POSTA

I GRANDI DISEGNATORI FILIPPINI – LA POSTA

Disegnatori filippini negli Stati Uniti

Gentile direttore,
negli anni settanta si dicevano meraviglie del fumetto filippino. Diversi artisti, come Nestor Redondo e il suo studio, furono ampiamente impiegati nella produzione di comics americani.
Qual è la situazione attuale? I disegnatori filippini contribuiscono ancora allo sviluppo del fumetto mondiale?

Isidoro

Gentile Isidoro,
negli anni settanta la Dc Comics firmò dei contratti con lo studio di Tony De Zuniga e altri per fare disegnare ai filippini gli allora numerosi comic book antologici dell’orrore (similmente aveva fatto con gli spagnoli la Warren, per le proprie riviste horror in bianco e nero).
Probabilmente erano stati scelti per l’horror perché i filippini, ancor più degli spagnoli, avevano uno stile calligrafico che si rifaceva visibilmente alle stampe ottocentesce, ritenuto adatto per le atmosfere gotiche. Ma poi questi autori non si limitarono all’horror e alla Dc: i filippini disegnarono anche per altri editori e generi.
Per esempio, alla Marvel si occuparono soprattutto di Conan. Anche su Tarzan, all’epoca pubblicato nei comic book dalla Dc, si alternarono diversi disegnatori filippini (cliccando sulle parole colorate si possono vedere degli esempi negli articoli di Giornale POP).
Invece non furono utilizzati, salvo eccezioni, per i supereroi, che in quegli anni stavano definitivamente imponendosi come unico genere di successo in Usa.

Tra tutti, il mio disegnatore preferito era Alex Niño, un genio che avrebbe meritato di essere premiato dalla critica anche come autore “alto”, non strettamente commerciale. Il suo apice l’ha avuto nei primi anni ottanta sulle pubblicazioni Warren, rompendo il semimonopolio spagnolo.

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Alex Niño

Il “rinascimentale” Nestor Redondo, che lei cita, era magnifico più come illustratore che come fumettista, dove risultava un po’ statico e forzatamente decorativo: si veda, per esempio, la sua “tarzanella” Rima.

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Nestor Redondo

Poi c’era il prolifico Alfredo Alcala, il più ottocentesco di tutti, famoso in occidente soprattutto come inchiostratore, pur essendo un abile disegnatore. Odiato però da John Buscema per le chine sulle proprie matite raymondiane di Conan, pesantissime anche se evocative.

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Alfredo Alcala

Insomma, di filippini negli albi americani ce n’erano parecchi, alcuni dei quali veramente bravi. Anche se il loro segno per il gusto occidentale appariva troppo “marcato” e “sporco”. Le espressioni degli eroi a volte “scomposte” e i volti femminili troppo “casti”.
Nel corso degli anni ottanta questi autori sparirono piano piano, soprattutto a causa della fine delle pubblicazioni horror.
Nei novanta trovai per caso, a Milano, un’edicola dove arrivavano numerosi albi a fumetti filippini e naturalmente ne feci incetta.
Erano simili ai comic book anche se parzialmente in bianco e nero, pieni di autori che non conoscevo, alcuni bravi seppur frettolosi (immagino perché dovessero puntare sulla quantità per ragioni economiche). Il genere trattato era per lo più la commedia vagamente sexy, ma senza nudità.

Fumetti che anche attualmente credo diffusi nelle Filippine, e mi dicono adattati da cinema e televisioni locali. Peccato che i loro autori siano stati dimenticati dagli americani, e quindi dal resto del mondo.

 

Tempi pestiferi

Caro direttore,
cosa sta leggendo di bello?
Frida

Illustrazione dell’Ottocento sugli effetti della peste seicentesca

Gentile Frida,
sto finendo di leggere “Il processo agli untori della peste del 1630”, di Piero Clini. Non viene specificato, ma anche se è uscito quest’anno credo sia la ristampa di un saggio del 1960 circa. Naturalmente tratta gli stessi temi della “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni.
Lo stile è molto vivace e coinvolgente, però la vicenda, che viene data per vera, non è affatto credibile.
Viene raccontato che all’inizio la gente non credeva fosse davvero scoppiata la peste, pensava a una malattia lieve, benché morisse già un sacco di persone.
La gente, poi, continuava a incontrarsi e a festeggiare malgrado le autorità avessero vietato i contatti ravvicinati per contenere il contagio.
Quando alla fine se ne convinsero tutti, quelli che prima non ci credevano ora pensavano che fosse tutta una macchinazione del potere politico. Alla fine un sanitario che si occupava degli appestati venne accusato da una popolana di essere il responsabile della situazione e obbligato a fare i nomi dei suoi supposti complici…
Mi sembra davvero una storia assurda: quando mai la gente potrebbe comportarsi in maniera così irresponsabile, dando retta ai ciarlatani? Va be’, forse poteva accadere nel 1630, quando la superstizione dilagava, ma certo non oggi, nel razionale 2021!

 

Vittime del convenzionalismo

Caro Direttore,
cosa contraddistingue i fumetti d’oggi rispetto al passato?
Luisa

Gentile Luisa,
a differenza dei migliori fumetti degli anni sessanta e settanta oggi sono tutti conformisti. Tutto è prosaico, didattico, didascalico e infantile nella continua ricerca degli autori di apparire depositari di buoni sentimenti e propositi sociali. Tutti in cattedra con il ditino alzato davanti al popolo bue senza sentirsi ridicoli.
Per esempio, invece dell’ennesima storia banale e straccia*azzi sul “diverso” perseguitato, sarebbe più originale una storia su persecutori che si nascondono dietro l’alibi della diversità.

 

Le riviste americane sui fumetti

Gentile direttore,
prima che esistesse internet quali mezzi usava per scambiare opinioni con appassionati di fumetti, cinema o musica? Penso per esempio a riviste, associazioni e a eventi dal vivo.
Michele

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Gentile Michele,
da ragazzo non scambiavo opinioni sul fumetto praticamente con nessuno, non ne sentivo l’esigenza perché mi prendeva già troppo tempo l’attività politica. Mi limitavo a leggere le numerose riviste specializzate americane.
Le prime che seguii furono Comixscene di Jim Steranko, dal formato enorme e graficamente bellissima; Comics Reader di Don Rosa, fittissima di informazioni nel formato comic book; e la longeva The Comics Journal, una rivista troppo politicizzata ma indispensabile.
Oggi non c’è rimasto quasi niente.

 

Le poco esportate serie tv italiane

Gentile direttore,
se negli anni ottanta non si fosse affermato il duopolio della Rai e di Fininvest/Mediaset quanto sarebbe stata diversa la tv italiana?
Con una maggiore concorrenza sarebbero stati prodotti più programmi e serie tv di qualità e successo?
M.D.R.

 

Gentile M.D.R.,
probabilmente sì, ma è anche vero che il duopolio in un paese di soli 60 milioni di abitanti avrebbe potuto permettere di non disperdere le risorse necessarie per realizzare prodotti di alto profilo. Così non è stato perché Mediaset si è specializzata nel varietà, spettacolo tipico della tradizione Rai, trascurando la fiction.
Anzi, al giorno d’oggi le medesime serie tv vengono rigirate con attori del posto in varie nazioni europee. Manca, quindi, una produzione di serie italiane realizzate con cura e profusione di mezzi per essere esportate all’estero, a eccezione de Il commissario Montalbano e poco altro.
Come invece fanno da sempre gli Stati Uniti, avvantaggiati da un bacino di pubblico decisamente superiore rispetto a quello dei singoli paesi europei.
I personaggi dei fumetti, peraltro, sarebbero stati ideali per questo tipo di serie.

 

Prezzi da edicola e da fumetteria

Ho una domanda!
Com’è possibile che edizioni fondamentalmente simili hanno prezzi così diversi?
Perché un albo formato graphic novel da duecento pagine in edicola mi costa sette carte, mentre in fumetteria, per lo stesso formato e magari una foliazione pure minore, nella migliore delle ipotesi mi scuciono venticinque carte?
Perché un albo formato Bonelli di 96 pagine (che da un paio di anni pure Panini ha adottato) viene meno di cinque euro, mentre uno spillatino di neanche cinquanta pagine costa lo stesso se non di più, in certi casi?
Retronauta

 

Gentile Retronauta,
più un albo viene venduto e più basso è il suo prezzo di copertina, perché l’editore guadagna un poco da ogni copia venduta. Se la tiratura è bassa, l’editore deve alzare il prezzo di copertina per rifarsi delle spese.
Di regola nelle edicole vengono mandate le serie che vendono di più a un prezzo minore.

 

Cosa leggere della Bonelli

Gentile direttore,
quali sono, secondo lei, tra le tante serie Bonelli varate negli ultimi anni, quelle che davvero val la pena recuperare, e perché?
Heiko

Gentile Heiko,
forse Dragonero, per chi ama il genere fantasy. Alcune storie che ho letto sono scritte piuttosto bene, benché ritenga il personaggio in se stesso poco carismatico.
Da leggere anche Mercurio Loi, se si amano i fumetti un po’ cerebrali e si è interessati alla storia italiana.
Purtroppo alla Bonelli di oggi mancano grandi narratori come Sergio Bonelli, soprattutto quello dei tempi di Zagor, e come Tiziano Sclavi e Alfredo Castelli dei tempi di Mister No.

 

La scomparsa del fumetto argentino

Gentile direttore,
perché non c’è stato un ricambio generazionale nel fumetto argentino, di cui Lanciostory e Skorpio sono da anni evidentemente orfane?
Leonardo

Gentile Lonardo,
perché le grandi riviste argentine hanno chiuso da tempo, tanto che lo stesso Dago di Robin Wood viene realizzato in Italia.
Probabilmente il fumetto in Argentina è spirato anche a causa della infinita crisi economica di quel paese, rovinato dai governi populisti, siano essi dittatoriali o democratici di sinistra e di destra.
Strano però che con tanti stati di lingua spagnola non si sia mai creato un grande mercato per il buon fumetto argentino, neanche per quello eclettico spagnolo e quello “popolaresco” messicano. Forse ci sono dei problemi doganali, di sicuro c’erano fino a qualche anno fa (il protezionismo è la tomba del commercio).

 

Niente per i ragazzi

Perché in Italia non si riesce più a creare e produrre fumetti seriali per ragazzi?
Otto

Gentile Otto,
il fumetto nasce come passatempo per i più giovani, ma ormai in Europa e in America gli editori e gli autori si sono convinti che il fumetto sia un’Arte di altissimo livello adatta solo per il pubblico colto.
La conseguenza è che i ragazzini non leggono più fumetti perché non li capiscono, neppure quelli realizzati apposta per loro.

 

Poche avventure e tante graphic novel

Gentile direttore,
il maestro Milo Manara ha dichiarato che il fumetto d’Avventura con la A maiuscola è sparito. Si andrà sempre di più verso le “graphic novel” autobiografiche?

Michelangelo

Gentile Michelangelo,
come ho detto più sopra, gli autori di oggi sono troppo intellettuali per affrontare il genere avventuroso, preferiscono le storie basate sui conflitti psicologici. Si veda, per esempio, i superoeroi che fine stanno facendo.
Del resto per scrivere storie avventurose occorre avere un certo talento.
Quanto alle graphic novel sono solo un nuovo genere centrato sulle autobiografie illustrate, che si affianca senza sovrapporsi al fumetto classico. Peraltro, salvo eccezioni, non sono granché. Il loro maggiore vantaggio è che si esauriscono in un “numero” solo.

 

Sauro Pennacchioli

 

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Contatto E-mail: info@giornale.pop

2 commenti

  1. Bonelli da leggere: se posso dire la mia, suggerirei anche i 18 numeri di “Demian”, che a me non dispiaceva!

  2. Tra i Bonelli degli ultimi 10-15 anni, suggerirei anche Cassidy (per chi ama le atmosfere dei polizieschi anni ’70) e Le storie (per chi non vuole legarsi a un personaggio o a un autore specifico, ma preferisce variare, mettendo però in conto una qualità altalenante, sia dal punto di vista grafico che di scrittura). Dalle Storie escluderei comunque le ultime uscite, ristampe di materiale già pubblicato diversi anni fa. Orfani, purtroppo, è stato un’occasione mancata, anche a causa della qualità discontinua tra le varie stagioni. Le restanti novità Bonelli le consiglierei solo agli appassionati degli specifici generi, e con le dovute cautele, perché alcuni titoli sono ahimè quasi illeggibili (uno in particolare, ma probabilmente sono io a non averlo capito).
    Della collana Audace, a mio parere il prodotto migliore è stato Deadwood Dick, western fuori dai canoni bonelliani. Anche il reboot delle origini di Mister No non era male, però quando si tocca un mito si rischiano sempre passi falsi, soprattutto nei confronti dei fan puristi. Infine, Cani sciolti aveva il difetto di essere un po’ troppo schierato e forse anche questo non ha giovato al suo successo.

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