GLI ULTIMI DONI DI NATALE DEGLI EROI DEI FUMETTI

GLI ULTIMI DONI DI NATALE DEGLI EROI DEI FUMETTI

Il vecchio sovrano si lasciò andare all’onda malinconica dei ricordi.

D’improvviso si rivide bambino al fianco della regina madre, mentre negli sfarzosi saloni della reggia si celebrava la cerimonia di Natale. La fila sembrava interminabile, infinite persone convenivano in quella sala da ogni parte del mondo. C’erano uomini avvolti nei loro mantelli al punto da confondersi con le ombre nel palazzo e donne bellissime che brillavano di una intensa luce propria. C’erano creature di ogni tipo: fate, gnomi, elfi e folletti.

Nella sala il brusio pian piano diventò fragore, a un tratto risuonò potente la voce del sovrano: “Avvicinatevi pure, miei ospiti graditi!… Di grazia, Uomo forgiato nell’acciaio, cosa hai portato in dono al tuo re?”.
“Io ti ho portato la mia forza e il mio coraggio, gli ultimi istanti di un pianeta morente e il pianto stridulo di un infante abbandonato tra le stelle. Ecco i miei doni, ricordi intrappolati nell’ambra, che daranno ulteriore lustro alla tua fulgida casata”.
Il re fece un cenno con il capo, mostrando di gradire e passò ad accogliere il secondo visitatore.

“E tu, tenebroso cavaliere, quale omaggio ti appresti a mostrarmi?”.
“Ti porto la risata garrula di un bambino, la collana di perle che raccolsi dal selciato, gli ultimi gorgoglii di morte di mio padre e mia madre in un vicolo buio e la mia rabbia che non si è mai sopita. Tienila legata al giogo nelle tue stalle e non lasciare che dilaghi nel tuo regno”.

Fu poi la volta di un’incantevole principessa: “Ti consegno la furia guerriera delle amazzoni, le pazze cariche a cavallo, le umiliazioni delle mie sorelle e i gemiti dolorosi delle loro carni violate che non bramano vendetta ma chiedono solo rispetto”.
Il re assentì, senza commentare. Il bambino si stropicciava gli occhi e si chiedeva il perché di quella liturgia. La mamma lo guardò con affetto e lo consolò con lo sguardo, ma non riuscì ad allontanargli dalla mente le mille domande che si sovrapponevano.

Intanto, la sfilata continuava: “Ti faccio omaggio della mia tela da ragno con la quale intreccio ghirigori nel cielo, del dolore di una vecchia a cui hanno ucciso il marito e dello schiocco secco e letale del collo di una ragazza bionda”.

“E io ti dono il mio scudo, i miei anni nel ghiaccio, il mio disilluso sogno a stelle e strisce e le trachee bruciate dal gas e i denti d’oro strappati dalle bocche. Mio re, fanne un calice per raccogliere le loro lacrime”.

Poi la sala rimbombò come per un’eco indistinta: “Accetta anche i miei regali che ho sottratto all’universo, i venti cosmici che hanno travolto la mia faccia e le onde siderali che hanno spinto la mia asse. A infiniti mondi ho regalato la morte, per te mi è rimasto solo il sogno irrealizzato di una famiglia”.

E il corteo continuava a dipanarsi. “E tu, cosa hai in serbo per il tuo sovrano?”.
”Ti porto il mio fucile che non mi ha mai tradito, la pioggia negli stivali e la borraccia vuota e la cosa a cui tengo di più, l’ultimo respiro di mia moglie che ho trattenuto con le dita. Tienilo celato nelle tue segrete perché la sua potenza distruggerebbe il Cielo”.

“Io ho doni miseri per la tua grandezza, una camicia rossa come il sangue e una giacca nera come il peccato, posso aggiungervi i fantasmi del mio passato e i mostri che non ho mai scacciato”.

Uno dopo l’altro, sfilarono tutti davanti al trono e i loro doni si affastellavano in ogni angolo della sala. Alla fine, anche l’ultimo ospite si allontanò. Il bambino guardava con incanto le meraviglie ed era assai compiaciuto nel vedere il profondo rispetto con cui gli ospiti si erano presentati al re. La giornata era stata lunga e la stanchezza aveva fatto breccia nel suo entusiasmo. Il bambino si addormentò.

Si risvegliò vecchio, seduto sul suo trono e si ricordò che era il giorno di Natale. La sala era la stessa, ma davanti a lui vedeva solo cerimonieri e cortigiane. Dove erano gli ospiti, che fine avevano fatto elfi e folletti? L’incanto era svanito. Erano giunte da chissà quale reame, le chiamavano le tre valkirie dell’apocalisse: Supponenza, Prosopopea e, la più spietata di tutte, la terribile Banalità. Uccidevano le storie e distruggevano gli eroi, senza tregua e senza pietà, fino al giorno in cui non ne rimase che il pallido ricordo. Il vecchio bambino strizzò gli occhi e una lacrima gli solcò la guancia. Non erano più i tempi di re Autore e di sua moglie Creatività.

 

(Gli articoli di Pietro Zerella sono QUI).

 

2 commenti

  1. Il vecchio bambino si alzò per uscire e allora vide uno strano figuro, magro, alto, con due enormi orecchie a sventola. La prima impressione del vecchio bambino fu che si trattasse di una scimmia elegantemente vestita, con mantello e bastone. Disse di chiamarsi Mercurio e invitò il Re a seguirlo per le strade della Roma papalina. Spinto da curiosità più che da fiducia il Re uscì a passeggio con quell’uomo e incontrò vecchie conoscenze che credeva perdute: Creatività, Fantasia, Passione, Originalità, Ironia, Mistero, Poesia, Dolore, Introspezione, Cultura, Immaginario e la sua vecchia compagna d’infanzia, Avventura.

    • Poi, fattasi sera, lo strano figuro guardò il vecchio bambino e, sorridendo, accompagnò il vecchio bambino attraverso la strada del ritorno. Arrivederci Creatività, buona sera Fantasia e anche a voi, Passione, do il mio saluto. Il vecchio bambino salutò tutte le sue vecchie e care conoscenze e le ringraziò per la bella giornata passata insieme. Poi guardò il signor Mercurio e lo ringraziò: “Grazie mio nuovo e buon amico, avevo quasi dimenticato…”
      Poi s’incammino verso la sua grande e triste dimora.
      “Forse ci rivedremo ancora mio Re, forse… o forse no…”

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