IL FUMETTO PUÒ ESSERE POESIA?

Le stesse parole nella prosa e nella poesia possono assumere significati diversi. Soprattutto nella poesia spesso le parole hanno più di un significato. Qualche volta questo significato va persino al di là del significato. A volte il senso di una parola risiede nel suono che la stessa evoca nel pronunciarla. Altre volte è più importante il gioco di rimandi tra le rime. Quasi sempre nella poesia la parola riesce a svincolarsi dalla schiavitù del senso diventando il tramite per un viaggio in territori dove tutto può accadere.
La poesia non è legata in modo univoco alla parola. Potremmo definire la poesia un modo di esprimere se stessi dando particolare importanza ai contenuti emozionali del racconto. Se accettiamo questa impostazione ci risulterà semplice capire come con qualsiasi mezzo espressivo si possa fare poesia. Si può fare poesia anche con arti visive come la pittura, la scultura, il cinema e i fumetti.
Vediamo degli esempi tratti da alcuni “poeti del fumetto” come Hugo Pratt, Guido Crepax, Igort e Zerocalcare.
HUGO PRATT IL ROMANTICO
Hugo Pratt costruisce la sua arte narrativa lungo il solco tracciato dai grandi romanzi di avventura di inizio novecento. Era quella una narrazione dell’epoca colonialista, che badava al pratico anche se sapeva attingere qua e là alla poesia. Principalmente alla poesia romantica inglese di Byron, Shelley e Keats. In questo sfrenato romanticismo melanconico e rassegnato Pratt intinge tutti i suoi eroi, da Simon Girty a Luca Zane e soprattutto Corto Maltese.
La poetica dello straniero
È stato detto che Corto Maltese esprime in modo unico la poetica dello straniero. Il non sentirsi mai a casa propria, il non essere mai veramente parte di qualcosa. A pagina 79 della Ballata nel Mare Salato, Corto discute di politica con l’indigeno Cranio. Il melanesiano esprime idee politiche precise e le sostiene con convinzione. Corto non prende posizione e risponde con cinismo e sarcasmo. Poi i due si salutano e Maltese rimane solo: appoggiato alla veranda guarda malinconico uno struggente tramonto.
La bella sconfitta
La poetica di Pratt è qualche volta una poetica della “bella sconfitta”. Morire per un ideale può riempire di senso una vita intera. Meglio ancora se si tratta di un ideale irrealistico, fuori dal tempo e votato al fallimento. Corto Maltese ammira più di chiunque al mondo i beautiful losers. In Corte Sconta troviamo l’affascinante figura del barone Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg, ultimo difensore della Mongolia indipendente e della Siberia ancora zarista contro gli odiati bolscevichi. Pratt lo immagina lanciato a spron battuto alla ricerca della propria follia.
Non verrò con lei
Diverse volte la poetica del maestro di Malamocco è una poetica degli addii. A Corto Maltese, che non si ferma mai da nessuna parte, succede spesso di congedarsi da persone che hanno condiviso con lui una parte del suo cammino. Uno degli addii più strazianti è quello con Pandora al termine della Ballata. Dopo due vignette campo e controcampo, dove i due si guardano intensamente, lei scandisce il fatidico: “Non verrò con lei, Corto Maltese”.
L’AMORE PER LE DONNE DI GUIDO CREPAX
Guido Crepax è sempre stato un artista a tutto tondo, capace di portare avanti una poetica complessa e multiforme spesso giocata sui contrasti. Nelle avventure di Valentina riesce magicamente a far coesistere in armonia contraddizioni a volte esasperate.
Mille e una Valentina
La poesia di Crepax si esprime al meglio quando si concentra sull’elemento femminile. L’eterno femminino è un elemento onnipresente nelle creazioni dell’autore, che riesce a metterne in luce le diverse sfaccettature. Valentina è una santa e allo stesso tempo una puttana. Fedele e infedele, schiava e liberata. Angelica e perversa, guardona e guardata, sadica e masochista. Dominante e dominata, eterosessuale e lesbica. Come quando si intrattiene in ambigua intimità con altre donne.
Il sogno e la realtà
Un altro aspetto importante della poetica crepaxiana è il continuo rincorrersi di sogno e realtà. I momenti onirici e quelli reali si susseguono e si confondono, si intersecano e si sovrappongono in continuazione. La realtà spesso è un sogno ad occhi aperti, perché tutto quello che succede nei sogni appare più pregnante e prezioso per la protagonista di tutto il resto. Nasce così da questo incontro-scontro una specie di “surrealtà” dove nulla è bandito e tutto può succedere.
IGORT IL VIANDANTE
Chiunque abbia seguito Igor Tuveri dai fuochi d’artificio valvolinici del letargo dei sentimenti fino agli odierni Quaderni giapponesi non può non cogliere all’interno di questo percorso il senso profondo del viaggio. Il viandante Igort in cammino incessante alla ricerca di se stesso. Come in tutti i viaggi, attraverso un percorso circolare, si arriva esattamente dove si era partiti.
Viaggio nella memoria
La poetica di Igort è fortemente legata alle proprie memorie. Il viaggio nella memoria compiuto dall’autore si dipana attraverso tre tappe. Inizia con i Quaderni russi, dove fa i conti coi suoi miti giovanili attraverso la decostruzione di un intero paese. Prosegue con il primo numero dei Quaderni giapponesi, dove si attua una vera e propria ricerca del tempo perduto. Si conclude con il secondo volume dei Quaderni giapponesi, dove l’autore si cimenta nel difficile compito di dare un senso ai ricordi nello stesso momento in cui questi si formano.
Viaggio nella natura
Una delle cose più interessanti dei viaggi di Igort è che, oltre che nel tempo, si svolgono nello spazio. L’autore viaggia costantemente inserito in affascinanti scenari naturali, che ogni volta sembrano fare da eco alle sensazioni e alle riflessioni raccontate. La sottile poesia di questi ambienti è talmente pervasiva che spesso smette di essere coro e si fa protagonista in un complesso gioco di rimandi molto zen.
Alla ricerca di se stessi
Quello che era soltanto accennato all’inizio diventa evidente nel secondo volume dei Quaderni giapponesi: il vero viaggio lo compiamo all’interno di noi stessi. Il Giappone dei nostri giorni si confonde con quello del passato. Gli alberi, i monti, i fiori di primavera del mondo reale si mescolano con quelli immortalati nelle stampe degli antichi maestri ed entrambi finiscono per confluire nelle tavole dell’artista cagliaritano.
ENIGMA ZEROCALCARE
Zerocalcare è “un grande”, un “bravo ragazzo dei centri sociali”, un “furbetto”, “uno lucido che sa come muoversi”, “letteratura”, “non letteratura”, “un nuovo Andrea Pazienza”, “uno che non sarà mai Andrea Pazienza”, “un nuovo Roberto Saviano”, “non un Gipi né un Igort”, “un genio”, “uno così così”, “uno che non si capisce perché abbia tanto successo”, “uno che meno male che ha successo perché è più bravo di noi”, “un enfant prodige del fumetto-rebel”, “un’operazione cultural-editoriale”, “il megafono di una generazione”, “un romano che non si vergogna”.
Il flusso di coscienza
Zerocalcare da Dimentica il mio nome in poi è anche, forse soprattutto, un poeta. Un poeta romano di periferia, una specie di Franco Califano due punto zero. Un poeta che si esprime attraverso il flusso di coscienza.
Le tecniche usate per esprimere questo flusso includono il flash back, la storia nella storia, l’uso di similitudini e metafore e una particolare punteggiatura.
Il metodo utilizzato per tradurre in parole il flusso di coscienza è il monologo interiore che disdegna spesso i passaggi logici, la sintassi formale e la punteggiatura convenzionale proprio per riflettere la sequenza caotica dei pensieri.
Il potere della poesia
Il superpotere di questo giovane autore consiste in una autocoscienza che lavora a ciclo continuo 24 ore su 24, sette giorni su sette. Si tratta di una autocoscienza che è una, ma anche trina: personale, generazionale e antropologica. Da ciascun livello di questa autocoscienza affiorano momenti poetici. Poesia personale: “è quando non hai fratelli che è difficile capire a chi chiedere aiuto per ste cose”. Poesia generazionale: “per il padre del Re leone hai portato il lutto per sei mesi”. Poesia antropologica: “che poi la paura è la più infettiva di tutte le malattie”.