FRANCESCA ALINOVI, 47 COLTELLATE… PER GIOCO?

FRANCESCA ALINOVI, 47 COLTELLATE... PER GIOCO?

È una sera afosa del 15 giugno 1983, quando i pompieri di Bologna arrivano davanti a un edificio al numero 7 di via del Riccio, una stradina del centro storico. Li ha chiamati Marcello Jori, un autore di fumetti del mensile Linus, amico e vicino di casa di una giovane professoressa universitaria che non dà notizie da tre giorni. Con la scala mobile i vigili del fuoco salgono fino a una finestra aperta del secondo piano, entrano e trovano subito il corpo di Francesca Alinovi, nota critica d’arte di 35 anni.

Bella e dall’aria un po’ trasgressiva, la donna insegnava estetica (la “scienza del bello”) al Dams, una sigla che sta per “Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo”: il corso universitario istituito a Bologna dodici anni prima. Le lezioni di Francesca Alinovi, trattando i nuovi movimenti artistici fino alle ultime tendenze del fumetto, attirava molti giovani creativi.
Il cadavere, disteso su una moquette macchiata di sangue, è trafitto da 47 coltellate non più profonde di un centimetro, 46 delle quali non mortali. Quella letale le ha reciso la giugulare, facendola morire soffocata dal suo stesso sangue. Chi l’ha uccisa, forse mosso da pietà, le ha coperto il volto con due cuscini. Un bel volto, anche se il comportamento anticonformista della donna non la renderà simpatica all’opinione pubblica, quando i giornali parleranno di lei. L’appartamento in cui è avvenuto il delitto viene trovato in ordine, così come la serratura della porta non ha segni di effrazione. La donna doveva conoscere l’assassino e l’aveva fatto entrare senza sospettare niente. Nello specchio del bagno c’è una scritta in inglese sgrammaticato, tracciata con una matita rossa: Your not alone, any way (tu non sei sola, comunque). La calligrafia non è quella della professoressa. Le analisi mediche stabiliscono che Francesca Alinovi è morta tre giorni prima, la sera del 12 giugno. Sicuramente dopo le 17, quando aveva parlato al telefono con un’amica di Parma, e probabilmente prima delle 20, quando il suo telefono squillò a vuoto.

Un’altra vittima del serial killer del Dams, si pensa subito, perché prima di quell’omicidio, nel giro di un anno, si erano verificati altri tre delitti rimasti insoluti. Tutte le vittime erano studenti del Dams, ma secondo gli investigatori quelle morti non sono collegate tra di loro. Le indagini si concentrano su Francesco Ciancabilla, 23 anni, studente e pittore di Pescara, figlio di un ingegnere e di una insegnante. Un tipo bello, tenebroso e un po’ pazzo.

Dal 1981 aveva una relazione con la Alinovi, che era sua professoressa. Lei, appena incontrato Francesco, era rimasta folgorata al punto di affidare al diario le sue sensazioni: «Un amore alla Pasolini. Un ragazzino, 10-15 anni di differenza di età. Ha il mio nome, è la mia versione maschile, quello che avrei voluto essere». Una storia particolare quella tra Francesco e Francesca, soprattutto perché i due non hanno rapporti sessuali. «Quando amo una donna le dono la mia anima», spiegava lui, «ma non il corpo».
Come critica d’arte l’Alinovi faceva di tutto per far conoscere il suo protetto, allestendogli le mostre e presentandolo ai possibili acquirenti dei suoi quadri. Spesso litigavano. Una volta, Francesco aveva cercato di colpire l’amica con le forbici. Ma alla fine facevano sempre pace. E Francesca, in fondo, amava quel tipo di personaggio fuori dagli schemi e dalle regole. Secondo gli psicologi lui aveva un “complesso edipico”: considerava la sua donna come una mamma. Ma che lei l’amasse perdutamente non ci sono dubbi, come testimonia ancora una volta il suo diario: «Ho pianto tutta la notte, per la disperazione di non vederlo per due settimane. Per la disperazione che avesse soltanto 21 anni», scriveva Francesca nel 1981, dopo il loro primo incontro. Sempre in quelle pagine scopriamo qualcosa di più sullo strano comportamento sentimentale di Francesco. Francesca scrive che lui le confessa di essere omosessuale, e a quel punto teme di perderlo davvero…

Alla polizia, Ciancabilla racconta di aver trascorso il pomeriggio del 12 giugno (il presunto giorno del delitto) con Francesca: «Abbiamo parlato del più e del meno e fatto uso di cocaina». Il che farebbe a pugni con quanto sostengono gli amici della professoressa, secondo i quali l’Alinovi stava cercando di convincere Francesco a disintossicarsi. Ciancabilla spiega l’apparente contraddizione: «Francesca era contraria all’uso dell’eroina perché sosteneva che distrugge l’individuo. Occasionalmente, però, fumava qualche spinello o sniffava coca».
Lui dice che non è rimasto con lei la sera, quando è stata uccisa. Alle 19.30 ha preso il treno per tornare a Pescara, e diverse persone possono testimoniarlo. A partire da una ragazza che gli ha portato una dose di eroina, che le aveva richiesto in precedenza. Ma questi particolari non lo scagionerebbero, perché gli esperti sono riusciti incredibilmente a scoprire il minuto esatto della morte della donna.
L’Alinovi aveva un Rolex con caricamento automatico dato dal battito del polso. Partendo dalle lancette ferme alle 3 e 12, i periti, con un complicato calcolo, stabiliscono che il cuore della vittima aveva smesso di battere alle 18.12 spaccate. Si pensa, a questo punto, che Ciancabilla abbia chiamato la “spacciatrice” giusto per crearsi un alibi, “postdatato” peraltro. Ormai Ciancabilla è il sospettato ufficiale.

Non si pensa a motivi sessuali, anche perché il cadavere era vestito. Anzi, indossava pure un giubbotto come se la donna stesse per uscire. Particolare strano, perché con quel caldo era superfluo. Viene anche notato che nella stanza del delitto campeggia sinistramente un quadro rappresentante una donna accoltellata, dipinto proprio da Ciancabilla. Questo particolare e il tipo di rapporto tra i due fa nascere una ipotesi. Forse Francesco e Francesca stavano provando una sorta di “gioco” sadomasochistico: lui l’avrebbe punzecchiata con il suo consenso finché, a un certo punto, è capitato un incidente. Come detto, salvo una ferita, peraltro poco profonda anch’essa, non le erano state inferte pugnalate mortali. Questo spiegherebbe il fatto più misterioso di tutta la faccenda e cioè come sia stato possibile in pieno centro cittadino che nessuno avesse sentito le urla di una donna che riceve 47 coltellate. Se ne poteva dedurre che lei si fosse contorta spasmodicamente per il dolore mentre riceveva i colpi, come dimostrano le tracce lasciate, ma potrebbe essersi limitala a gemere, imponendosi di non urlare. Masochista l’una, sadico l’altro, nulla si poteva escludere. Il fatto che lei fosse vestita di tutto punto si spiegherebbe con la volontà dell’uomo di non considerarla sotto il punto di vista sessuale. Quando dovevano dormire nella stessa casa, Francesco la costringeva a cambiarsi in un’altra stanza per non doverne vedere il corpo nudo.
Tutta l’ipotesi non è poi così strana, se si tiene presente che in quegli anni erano in voga le pratiche della body art, nelle quali una modella-artista si spogliava durante un’esibizione pubblica e si praticava numerose incisioni sulla pelle, ricoprendosi di sangue.

Gli avvocati difensori di Ciancabilla raccolgono gli indizi a favore del loro cliente. Notano che su un interruttore è rimasta un’impronta di sangue e siccome all’ora in cui Francesco è uscito per prendere il treno non c’era ragione di accendere la luce, dato che era estate, il delitto deve essere avvenuto più tardi di quanto stabilito dai periti. Inoltre, dopo tutte quelle coltellate l’assassino doveva essersi sporcato il vestito di schizzi di sangue, mentre Francesco, in stazione e sul treno, era stato visto in ordine. Secondo i medici patologi la donna aveva assunto cocaina 24 ore prima di morire, motivo in più per credere che il delitto sia avvenuto molto dopo che l’imputato se ne era andato. Riguardo al Rolex, sembra che nessuno di questi orologi raggiunga il cento per cento della carica: se fosse stato carico al 96 per cento, lo spostamento in avanti della morte sarebbe di ben due ore. Nemmeno la scritta sullo specchio, secondo i periti, l’ha fatta Francesco.

Al primo processo, nel 1985, Ciancabilla viene assolto per insufficienza di prove, una formula ambigua che all’epoca esisteva ancora nel nostro codice penale. Molte persone la interpretavano così: «È stato lui, ma non hanno trovato gli elementi per incastrarlo».
Tutti i conoscenti della professoressa sfilati in tribunale avevano mostrato antipatia per Francesco, che, istintivamente, ritenevano colpevole. Questo, per esempio, è ciò che ha dichiarato il pittore e fumettista Marcello Jori: «Francesca mi ha confidato che la relazione era molto difficile in quanto lei desiderava avere rapporti sessuali, mentre lui si rifiutava. Una volta Ciancabilla, durante un litigio per futili motivi, l’aveva picchiata procurandole un’ecchimosi all’occhio. Il giorno dopo era tornato a casa di lei, devastando il divano e il giradischi».
Tutti erano mossi da pietà per Francesca e odiavano Francesco che la maltrattava. I giudici d’appello, ai quali l’accusa fa ricorso, si dimostrano meno incerti e nel 1986 condannano Ciancabilla a 15 anni.
La Cassazione conferma la condanna, ma abbassa la pena a 12 anni. Francesco, nel frattempo, è scappato all’estero.

Nel 1996, Francesco Ciancabilla viene individuato in Spagna, dove è rimasto spesso senza lavoro, vivendo grazie all’aiuto economico dei genitori che ogni tanto andavano a trovarlo.
Alla fine aveva trovato un lavoro come barista in un locale gay. Nel giro di alcuni mesi viene estradato in Italia. Dopo quattro anni di detenzione, nel 2001, Ciancabilia ottiene la semilibertà ed esce dal carcere. Fa ricorso al tribunale per la revisione del processo, ma la sua richiesta viene respinta.

Dopo tanto tempo, Francesco Ciancabilla rievoca la sua relazione con Francesca Alinovi in maniera molto diversa da come l’aveva intesa lei. «Era innamorata di me: non me lo ha mai detto, ma si capiva. Io le volevo bene, ma il rapporto finiva lì. Anzi, le parlavo spesso delle mie storie sentimentali, una maniera indiretta per tenere il nostro rapporto ancorato all’amicizia. Nella sentenza di condanna, invece, si è elencata una quantità svariata di moventi che avrebbero armato la mia mano». A sentirlo parlare, sembra quasi che lui abbia simulato di volerle bene per interesse, per tenersi stretta quella critica famosa che lo aveva fatto conoscere nel mondo dell’arte. «Si è detto che tutto è avvenuto per la degenerazione di un gioco erotico spinto all’estremo», continua Ciancabilla, «ma questo è assurdo proprio perché tra me e lei non c’era assolutamente niente. Poi hanno affermato che lei aveva deciso di abbandonarmi come artista, mentre alcuni testimoni hanno riferito che Francesca aveva deciso di raddoppiare il prezzo dei miei quadri, e la sera prima della sua morte mi aveva dato mezzo milione per un’opera che aveva venduto. La verità è che ho pagato per la mia arroganza».

Di Francesca Alinovi rimangono i suoi numerosi studi e il diario personale, dove alcuni mesi prima del suo omicidio aveva scritto: «Se tu mi leggi ora, e io sono morta, ricorda che io non volevo morire. Ricorda che io avrei voluto essere immortale. Che, anche faticosamente, avrei retto il peso dei miei anni e la fatica di vivere stretta in un corpo malato».

 

 

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5 commenti

  1. solo un appunto, Sauro: citi Jori come disegnatore di Linus (ma mi pare che all’epoca già collaborasse con Frigidaire e Alter col suo stile iperrealista per cui è forse più noto che non per Minus, che oltretutto firmava solo “J.” se non ricordo male), in questo contesto è un po’ riduttivo perché come artista faceva parte della corrente dei “Nuovi Nuovi” di Renato Barilli, di cui fu collaboratrice la stessa Alinovi.
    Ma tanto hai messo un link al suo nome, poco male.

    • Piuttosto, prestaci qualche tuo articolo per Giornale POP.

      • ok, eccone qualcuno: il la le gli

        non mi pare che scarseggi materiale su Giornale Pop.

  2. Troppe sarebbero le cose da dire, innumerevoli le perplessità, una per tutte: si poteva ben sapere che lui era in Spagna e nessuno si è mosso per andare a prenderlo, visto che era latitante. Nell’intervista alla Leosini egli parla delle sue storie etero e di aver fatto sesso, all’inizio, con Francesca, per smettere però abbastanza presto.

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