FLASH GORDON E L’ART DÉCO

Flash Gordon esce per la prima volta nel 1934, grazie alla King Feature Syndacate, la maggiore agenzia di distribuzione di fumetti dei quotidiani americani. Pur essendo una copiatura spudorata di Buck Rogers, il primo personaggio di fantascienza dei fumetti creato nel 1929, Flash Gordon ha molto più successo.
I testi di Gordon sono di Don Moore, redattore dei romanzi fantascientifici di Edgar Rice Burroughs, l’autore di Tarzan. Nella fortunata serie di libri dedicata a John Carter di Marte, Burroughs trasporta dall’Africa al pianeta rosso i popoli fantastici e le tante regine dominatrici di Tarzan. In Gordon, Moore replica esattamente la formula di Burroughs fino alla nausea, senza mai un guizzo, un’idea nuova.
La situazione è salvata dai disegni di Alex Raymond, un autore che, pur utilizzando la fotografia, possiede uno stile idealizzato, classicheggiante, che si adatta perfettamente al fumetto e influenzerà gli autori di tutto il mondo (salvo quelli giapponesi). Anche se non è dotato di particolare fantasia, Raymond riesce a introdurre con successo gli elementi fantastici richiesti dalla storia.
Mentre Dick Calkins, il disegnatore medicore di Buck Rogers, si ispira alle illustrazioni realizzate negli anni venti da Frank R. Paul per le pulp, Raymond è totalmente immerso nello streamline moderno degli anni trenta. Lo streamline è una diramazione dell’art déco, anche se, secondo me, dal punto di vista teorico deriva anche dal futurismo (si pensi ai progetti fantastici dell’architetto Antonio Sant’Elia).
Mussolini, che al contrario di Hitler non disprezzava l’architettura moderna, anche se neppure l’amava, permise la costruzione di alcuni esempi di streamline. Per esempio, a Saronno, vicino al paese dove abito, c’è una scuola che sembra uscita da un dipinto di Edward Hopper. Comunque, il duce preferì che lo streamline fiorisse nell’Africa italiana: Asmara, la capitale della colonia eritrea, divenne la prima vera Wakanda (cioè una città avveniristica nel Continente Nero un po’ sul tipo di quella disegnata da Jack Kirby nei Fantastici Quattro).
Per creare la tecnologia aliena, Alex Raymond prende ispirazione dalle riviste “Popular Science” e “Popular Mechanics”.
Questa copertina del 1930 presenta un dirigibile a “propulsione marina”, con un disegno ornamentale sulla punta che lo fa sembrare uno dei futuri razzi di Flash Gordon
Invece i razzi venivano immaginati così, con delle inutili ali laterali, proprio come li vediamo in Flash Gordon
Altri veicoli che all’epoca si pensavano realizzabili in un periodo abbastanza breve
All’inizio della saga, Gordon sbarca su Mongo, un pianeta dominato dal tiranno Ming, una versione aliena di Fu Manchu. Gli abitanti di Mongo (ovviamente da Mongolia, come mongoli sono in nemici di Buck Rogers) hanno la pelle gialla e un look orientaleggiante; anche se le genti dell’estremo oriente, in realtà, hanno la pelle olivastra. Il dio locale è Tao, che rimanda al taoismo cinese.
I cinesi, considerati dai “bianchi” una minaccia potenziale, sono i nemici per eccellenza dell’immaginario popolare dell’epoca. Però dal 1937, quando il Giappone invade Ia Cina trasformandola in vittima, si cerca di togliere da Gordon i riferimenti a questo paese: la pelle degli abitanti di Mongo da gialla diventa rosa.
Ora il nemico è Hitler, e Mongo si nazifica. Compaiono i monocoli, le divise ricordano quelle tedesche. Non basta, dopo avere ucciso frettolosamente Ming (che con il nome ricorda una dinastia cinese e quindi non va più bene nella mutata situazione internazionale), Gordon torna sulla Terra per combattere dei similnazi nell’abbigliamento e similsovietici nei nomi: evidentemente disegantore e sceneggiatore la pensavano in maniera diversa (e comunque Unione Sivietica e Germania nazista erano stati amici per un po’ di tempo).
Una brutta storia fantaspionistica nello stile che andava di moda nelle pulp, tipo “G8 and his Battle Aces” (James Bond ne è solo una pallido eco).
Ma il fascino di Gordon sta tutto nel fantastico mondo di Mongo, e l’eroe viene rimandato sul lontano pianeta.
Le bellissime donne di Flash Gordon.
Un po’ di sadomaso per i piccoli lettori dell’inserto a colori dei quotidiani americani degli anni trenta: tempi in cui non ci si preoccupava molto della delicatissima psiche dei bambini
ll terribile, ma carismatico Ming, sta per creare qualche guaio al suo genero principe Barin di Arboria, la città sugli alberi
Rettili inquietanti
Il richiamo invincibile dell’avventura

Negli anni trenta Larry Crabbe interpreta Flash Gordon in tre serial cinematografici
Alex Raymond cercava il successo anche come illustratore, ma non gli andò molto bene: aveva idee per lo più banali e un segno superato. La prima illustrazione di questa serie, didascalicamente “chi va forte va alla morte”, è sinistramente profetica, dato che Raymond morirà a soli 46 anni guidando un’auto sportiva lanciata a tutta velocità nel 1956.
Dopo la guerra, Alex Raymond smette di disegnare fumetti fantascientifici, che probabilmente odiava, per realizzare Rip Kirby, un newyorkese che si muove in un mondo glamour simile a quello delle illustrazioni dei periodici femminili. Una specie di compromesso tra quello che Raymond avrebbe voluto fare e il mestiere di fumettista che, per fortuna nostra, il destino gli ha riservato.
E’ stupefacente quanto il fumetto abbia contribuito, come documentato da questo bellissimo articolo, alla rappresentazione della società quasi di soppiatto e come solo a posteriori affiori il suo essere stato (nel caso specifico) specchio di un’epoca, con le idee, le vicende politiche, la filosofia e l’arte che l’hanno contraddistinta. Paradossalmente oggi, malgrado non manchino spunti, strumenti e opportunità storiche, in tal senso questa nobile arte mi pare alquanto svilita, e lo dico con rammarico, forse per la diffusione di sperimentazioni artistiche più chiassose e plateali non sempre felici. Personalmente spero che il fumetto, a cui attribuisco la stessa dignità del libro, non cessi mai di esistere e di accarezzarci le dita e i pensieri nel profumo di carta stampata.
Si certo, ma una società è poliedrica e come tale ha mille aspetti e sfaccettature: ad esempio la cosietà italiana coeva al Gordon Raymondiano, dall’nizio anni trenta al 1945, effettuava un percorso tormentoso che l’avrebbe portata dalla dittatura alla libertà.I fumetti italiani ne sono un attutito rimando e solo in filigrana e con l’uso di una forte lente di ingrandimento, usata da un preparato studioso degli eventi in disamina, mostra quale era la società osservata. Non solo. l’interpretazione dei fatti non è mai univoca e questo non dipende dalla struttura di quel mondo, ma dagli occhi e dalla mente di chi osserva.Gentile Tiziana, mi piacerebbe molto attraverso quali ragionamenti sei riuscita ad evidenziare il rapporto esistente fra i fumetti di Gordon e la caratteristica di tipo etico e artistico degli USA degli anni trenta ed inizio quaranta.
Così, senza che io pretenda da parte sua un vero e proprio trattato di analisi fumettologica.Grazie.
Ho saltato un verbo, si capisce lo syesso quello che intendevo dire?
Finisco solo con poche altre parole: anche la alle volte diffusa sperimentazione artistica, chiassosa o silente che sia, fa parte della società nella quale si esprime, anche nel caso sia una platealeesibizione fatta per attirare l’attenzione.
Va beh, il profumo della carta stampata…. ma anche in questo caso non tutto quello che luce è oro, o se preferite, non tutto quello che profuma è Chanel.
Ma purtroppo qui si parla e si scrive per se stessi, la stessa struttura del Pop Giornale non incoraggia il dialogo: mordi e fuggi, e chi si è visto si è visto!
Come un qualsiasi giornale cartaceo, che invita alla lettura ma non certo il reciproco scambio di idee e di pareri.
Lo trovo molto triste.
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