ALFREDO CASTELLI E IL CORRIERE DEI RAGAZZI

ALFREDO CASTELLI E IL CORRIERE DEI RAGAZZI

Alfredo Castelli è la persona più simpatica di questo mondo e uno dei maggiori sceneggiatori italiani, per cui possiamo anche criticarlo. Diversamente da altri sceneggiatori di moda oggi, che ti farebbero trovare la testa mozzata di un cavallo tra le coperte.

Ordunque, se un personaggio interpretato da Alberto Sordi “l’aveva rovinato la guerra”, anzi, “la guera” in romanesco, Castelli è stato rovinato dal Corriere dei Ragazzi.

Tutto inizia nel lontano 1908 con il primo numero del Corriere dei Piccoli, supplemento settimanale del prestigioso Corriere della Sera, un giornalino rivolto ai primi della classe figli di papà. Acquisiti i diritti dei maggiori fumetti americani dell’epoca, il Corrierino li aveva privati delle nuvolette e “arricchiti” di leziose didascalie con le rime baciate. I fumetti così ridotti erano alternati ad articoli stucchevoli. La nefasta tradizione delle riviste con fumetti mescolati ad articoli di varia natura, perlopiù didattici, era tipica dell’Europa: i più scafati editori americani e giapponesi si sono ben guardati dal mettere insieme il sacro (i fumetti) con il profano (gli articoli “educativi”). Praticamente tutte queste riviste bislacche hanno chiuso e anche in Francia, oggi, i fumetti vengono venduti soprattutto in albo. Ve li immaginate dei dischi che, tra un brano musicale e l’altro, vi ficcano un pippone educativo? O un film, tra il primo e il secondo tempo?

Con il tempo, per meglio contrastare la concorrenza, il Corriere dei Piccoli si è lentamente, troppo lentamente, modernizzato. Finché, negli anni cinquanta, ha introdotto i fumetti avventurosi con le nuvolette: per rovinare pure questi, sono stati fatti disegnare a degli insigni illustratori, cioè a ricalcatori di fotografie privi di fantasia e refrattari alle scene di movimento. Intanto continuavano gli articoli didattici, come se i bambini, diversamente degli adulti, non avessero diritto allo svago puro e semplice.

Una svolta più decisa avviene negli anni sessanta, grazie al nuovo direttore generale delle riviste del Corriere della Sera: Mario Oriani. Oriani, che ho conosciuto personalmente, aveva fatto parte della Decima Flottiglia Mas di Junio Valerio Borghese, l’unico corpo armato della Repubblica Sociale Italiana (lo stato fantoccio dei tedeschi) che abbia combattuto davvero. All’inizio degli anni sessanta, Oriani lancia Amica, il primo settimanale femminile moderno italiano, e nella seconda metà del decennio ristruttura profondamente il Corriere dei Piccoli, che ormai si vede superare alla grande dai fumetti in stile americano di Topolino.

Il direttore responsabile del Corrierino era Carlo Triberti, considerato con sufficienza da Oriani mentre me ne parlava in tempi più recenti. La rivoluzione di Oriani consiste nel pubblicare il grande fumetto franco-belga del periodo d’oro, quando Oltralpe sceneggiatori ed editor contavano ancora parecchio e i disegnatori non facevano quelli che gli pare: i Puffi, Luc Orient, Michel Vaillant, Bernard Prince e così via. Oltre al grandissimo Jacovitti, del quale ho parlato in “Non si affettano così anche i salami?”, il più grande autore italiano di sempre. Grazie a queste innovazioni, il Corriere dei Piccoli ritorna a vendere 250.000 copie. Nel 1972, Oriani cambia il nome del settimanale in Corriere dei Ragazzi, realizzando un prodotto per gli studenti delle scuole medie, mentre il Corriere dei Piccoli, pensato per i bambini delle elementari, tornerà in edicola poco più avanti come settimanale separato.

Redattori e collaboratori del Corriere dei Ragazzi nel 1972

 

Purtroppo, con il cambio dei direttori, il Corriere dei Ragazzi fa marcia indietro. I grandi fumetti francofoni vengono via via abbandonati, mentre aumentano i fumetti fotografici italiani. E ora, oltre agli “articoli educativi”, assistiamo all’inconcepibile vergogna dei… “fumetti educativi”!

I dirigenti della Rizzoli, la casa editrice che nel frattempo ha comprato il Corriere della Sera e i suoi settimanali, cercano in tutti modi di spiegare ai direttori che si alternano alla guida del Corriere dei Ragazzi che i loro lettori non si fanno più comprare il giornalino dalla mamma come i bambini del Corriere dei Piccoli, ma lo scelgono personalmente in edicola, ergo, non compreranno mai delle robe educative. Già la famiglia e la scuola bastano a “educare”. Niente da fare, la redazione non ci sente da questo orecchio.

Nei meandri del web ho appena pescato le scansioni dei numeri del Corriere dei Ragazzi usciti nel dicembre del 1975: prendo, a caso, alcune pagine del primo di questi per dare l’idea.

In copertina non ci sono fumetti o una ragazza scollacciata (tipo Skorpio prima maniera), ma la foto di due… schermidori!

La serie dei “Grandi nel giallo” mi faceva morire. Una volta hanno pure messo Giacomo Leopardi nei panni del detective. Minchia, quel gobbetto di Leopardi! Come sprecare il talento di Mino Milani e Sergio Toppi.


C’erano pure i processi a fumetti: qui si dice che Attila è stato condannato dai lettori. Grazie al cavolo! Mentre quella gatta morta di Elena di Troia, mollemente disegnata da Milo Manara, è stata assolta: su questo verdetto non ero e non sono d’accordo! Ma, un momento, stiamo leggendo fumetti o siamo ancora a scuola?


La posta dei giovani trendy inizia con un ritratto inedito del poeta ermetico Eugenio Montale e “due denunce sulla scuola d’oggi”.


Una “storia vera” a fumetti, con il consueto stile fotografico.

Recensione di un critico cinematografico famoso, che inizia il pezzo parlando dell’eccidio nazista alle Fosse ardeatine per fare vedere che siamo impegnati.

Segue articolo pallosissimo sulla scuola italiana.


Diverse pagine dedicati agli attori di teatro… io, che in vita mia avevo visto solo il teatrino delle marionette all’età di quattro anni (“Arlecchin, mi te copo!”), ero vicino al suicidio. Per fortuna potevo rifarmi con i fumetti Marvel pubblicati dalla Corno.


Mino Milani, firmandosi con uno pseudonimo, riduce a fumetti un romanzo ottocentesco rompendo le balle per un’infinità di puntate e mandando in vacca la maestria di Guido Buzzelli, vero autore di fumetti senza ricalco di fotografie.

Nella divertente serie televisiva “Big Bang Theory”, quel pazzoide di Sheldon si inventa la rubrica intitolata “conosciamo le bandiere” solo per farci capire che è del tutto fuori dalla realtà. Be’, il Corriere dei Ragazzi questa rubrica la presentava seriamente.
L’articolo della rubrica “Noi e il folklore” inizia con “scritte murali e slogan operai”: non commentiamo per amor di Satana.


Come promesso dalla copertina, si parla finalmente di uno sport molto popolare.

Ecco Micheluzzi, un autore sopravvalutato di cui ci si dimentica le storie mentre ancora le si stanno leggendo. Il suo personaggio è un fotoreporter impegnato a descrivere le brutture del mondo. Un Corto Maltese realistico e sfigato dei tempi moderni.


Non capisco perché nel colophon c’è il nome del redattore Ferruccio De Bortoli, futuro direttore del Corriere della Sera, ma non quelli di Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi.

In breve, i lettori cresciuti con i fumetti francofoni del Corriere dei Piccoli della seconda metà degli anni sessanta fuggono pian piano davanti a questa roba, tanto che il Corriere dei Ragazzi scende a 90mila copie (quando i due principali settimanali a fumetti concorrenti ne vendono 400mila e 500mila). Dato che la redazione snob del Corriere dei Ragazzi non vuole staccarsi dal didatticismo, l’editore prende un direttore esterno che riporta la testata sulle 250mila copie. Ormai il settimanale si chiama CorrierBoy e presenta fumetti di autori meno bravi, anche se più svegli (vedi il mio articolo: “I fumetti italiani erano i più venduti del mondo”).

I redattori si ribellano. Tiziano Sclavi cerca di andare a Linus, ma non lo vogliono. Castelli si rifiuta di fare vedere le tette nei suoi fumetti e sfoga la rabbia facendo il sindacalista della redazione. Alla fine troveranno entrambi lavoro da Sergio Bonelli, per il quale creano Martin Mystère e Dylan Dog. Un editore che rappresenta la negazione completa del modo di lavorare che hanno imparato nel Corriere dei Ragazzi, dato che realizza albi senza redazionali e didatticismo: solo fumetti.

Castelli e Sclavi avevano avuto l’occasione di anticipare Lanciostory e Skorpio (quelli fighi degli anni settanta), ma l’hanno sprecata. Del resto quei fumetti non li avrebbero saputi fare: anche perché, tette a parte, si sono sempre rifiutati di scrivere storie brevi con il colpo di scena finale o a puntate seguendo un soggetto ben definito.

Per capire bene quale sia l’errore di Alfredo Castelli accennato nel titolo, oltre alla storia del Corriere dei Ragazzi occorre riassumere la sua biografia.

Sono anni che raccolgo con infinita pazienza elementi compromettenti per incastrare una volta per tutte Alfredo Castelli, il piacione impunito del fumetto italiano. Nel frattempo, per dare una copertura rispettabile alle mie febbrili ricerche, presento un post sul Castelli umorista perché di Martin Mystère, diciamoci la verità, ne abbiamo tutti piene le scatole.

Prendendola alla lontana, partiamo dal Castelli critico fumettistico, professione che ha inventato lui stesso per intrufolarsi nelle redazioni a elemosinare collaborazioni. In seguito imitato da tanti altri autori all’inizio della carriera (perché guardate me?). Alla Corno lo prendono sul serio e, nel lontano 1967, pubblicano le sue amenità fumettologiche nel primo numero di “Eureka”. Così, a Linus che due anni prima era uscito con un saggio di Umberto Eco, il clone Eureka risponde con un altro autore di spessore.

Dopo avere curato la rivista “Horror” (insieme al piduista Pier Carpi) dell’editore Gino Sansoni, marito separato di Angela Giussani (la quale grazie agli introiti di “Diabolik” pagava i suoi debiti con tipografi e distributori), Castelli raggiunge l’apogeo artistico nella prima metà degli anni settanta come redattore e sceneggiatore del “Corriere dei Piccoli” diventato “Corriere dei Ragazzi”.

Per lavorare facendo il minimo di fatica, attingerò a una introduzione che ho scritto per un libro curato da Castelli. Il tono apologetico è dovuto solo al fatto che ero stato pagato (come al solito) con una cifra notevole, naturalmente versata su un conto estero offshore.

… Tra i vari superpoteri che ho, quello meno illegale è sapere riconoscere lo stile degli sceneggiatori. Un babbano qualsiasi è già tanto se distingue un disegnatore da un altro. Mentre a me, quando da piccolo leggevo Topolino, bastavano un paio di balloon per riconoscere una sceneggiatura del grande Guido Martina (all’epoca gli autori non firmavano le storie Disney), e solo in quel caso continuavo la lettura. Comunque a Topolino preferivo il Corriere dei Piccoli, che pubblicava fumetti francobelgi come i Puffi, Lucky Luke, Luc Orient… e qualcosa di Castelli. Ora, le sue prime storie erano robetta. Tipo brevi episodi storici scopiazzati da film americani documentariamente poco affidabili. Avevo nove anni ed ero all’acme della mia potenza intellettiva, in seguito completamente scemata, quando rimasi fulminato dallo stile terso della scrittura alfrediana. I migliori sceneggiatori dell’epoca, il citato Martina, Max Bunker/Luciano Secchi di Kriminal e Guido Nolitta/Sergio Bonelli di Zagor, non scrivevano altrettanto bene dal punto di vista formale. Era la stessa concatenazione delle frasi di Castelli a lasciarmi attonito. Semplici ed efficaci, senza appesantimenti gergali o di altro tipo. Una scrittura cristallina, ripeto. Quasi non importava la storia, mi bastava mangiare quelle frasi perfette. Ti basta così, Alfredo? Castelli trovò una dimensione compiuta come sceneggiatore nelle storie umoristiche a partire da Scheletrino, in appendice a Diabolik, e, soprattutto, nei fumetti divertentissimi del Corriere dei Piccoli: le strisce di Zio Boris disegnate da Peroni; le tavole del Professor Kruntz (plagio quasi completo, sin dal nome, del personaggio di Paolo Villaggio), con i disegni di Fagarazzi (a proposito, Faga, da quanto non ci si vede?); e la rubrica a fumetti Tilt, insieme a Bonvi e il solito Faga. Castelli si misurava quindi con tre format ben distinti: la strip, la tavola e la doppia pagina alla Mad, dimostrando una padronanza assoluta delle relative tecniche narrative. A mio modesto parere, Castelli sarebbe dovuto morire in quei primi anni settanta. Così sarebbe stato ricordato come una sorta di Jim Morrison del fumetto, il più grande autore italiano di tutti i tempi. Invece ha voluto esagerare facendo anche il disegnatore, si fa per dire, con l’Omino Bufo. Qui ha subito il cattivo influsso di Schulz, l’autore di Charlie Brown, che con il suo segno apparentemente semplice ha dato l’illusione a cani e porci di poter disegnare. Ma stranamente, nella sua bruttezza iconica, l’Omino Bufo faceva schiattare dalle risate. Va be’, a un certo punto Alfredo ha strafatto, disegnando (se non ricordo male) un intero calendario e un diario scolastico in allegato alla rivista. Suppongo che proprio dopo aver visto questi sovrabbondanti disegni abominevoli, la Rizzoli abbia deciso di togliere l’umorismo dalle storie del Corriere dei Piccoli, diventato, nel frattempo, dei Ragazzi. Rimasero i fumetti realistici dove Castelli non brillava altrettanto bene. Riusciva ancora a fare fuochi d’artificio con gli Aristocratici, che però erano una via di mezzo tra il comico e il realistico. In quest’ultimo genere raggiungerà livelli altissimi solo alla Bonelli, rispolverando il format a lui congeniale della letteratura avventurosa per ragazzi dell’ottocento. Dopo la falsa partenza su Zagor, Castelli spesso uguagliava Sergio Bonelli su Mister No. Proprio nelle pagine di Mister No aveva iniziato a scrivere le storie misteriose che trovarono sbocco, nel 1982, nella creazione di Martin Mystère. Intanto approdava anche all’Editoriale Corno con l’amico Silver. I due avrebbero dovuto riportare la creatività nella casa editrice dopo la fuoriuscita di Luciano Secchi. Silver e Castelli avevano lanciato una bellissima versione di Eureka, che stracciava Linus in tutti sensi. L’errore era stato di avere fatto una rivista completamente diversa dalla precedente, così i pochi vecchi lettori rimasti se ne erano andati disgustati e di nuovi non erano arrivati per diffidenza nei confronti della logora testata. Fu in quell’epoca che, incredibilmente, Castelli mi telefonò per invitarmi in redazione a fare due chiacchiere. Interrotte da Bonvi che, con un grande colbacco calcato in testa, saliva e scendeva freneticamente dal bar. Senza neanche conoscermi (avevo scritto solo un paio di storie per Lanciostory e alcune altre per fanzine e simili), mi propose di scrivere una storia lunga per Eureka e, addirittura, di prendere in mano Martin Mystère: “Tanto chiuderà tra poco. Pensa che non ha venduto bene nemmeno il primo numero, cosa mai successa alla Bonelli”.

Si noti la studiata ipocrisia con la quale tesso lodi sperticate al mio committente. Stordito dal tintinnio dei soldi che mi venivano promessi, conclusi il pezzo con questo auspicio: Prima che si ritiri in pensione, vorrei però che Alfredo Castelli riprendesse a scrivere quelle storie comiche che, mi diceva, per la Bonelli era impossibile realizzare. Che so, uno special con Martino ‘O Misterioso. Per dimostrare ai lettori di oggi che è un autore umoristico al livello del Goscinny di Asterix, anche per la comune influenza di Mad.

Ho riportato ampi stralci di questo testo come monito per i giovani d’oggi, affinché non scendano anch’essi a un livello morale così basso pur di arricchirsi in maniera smodata come ho fatto io.

A questo punto non mi resta che aggiungere alcuni esempi di fumetti umoristici realizzati da Castelli per il “Corriere dei Ragazzi” nella prima metà degli anni settanta. Li ho ciulati al sito http://corrierino-giornalino.blogspot.it/, del quale ringrazio il curatore per l’involontaria quanto preziosa collaborazione. Peraltro, essendo queste storie già piratate, spero che poi non verranno a menarla a me perché le ho ripubblicate.

Cominciamo da Tilt, una rubrica di satira sociale ispirata a Mad, la rivista americana della Ec Comics. La rubrica riprende il nome e la struttura del mensile omonimo pubblicato dalla casa editrice Sgt. Kirk, per il quale Castelli aveva lavorato poco prima. La tecnica umoristica è perfetta, i disegni sono di Bonvi, quello delle Sturmtruppen.

Vediamo ora Alfredo Castelli in versione striscia, con una scopiazzatura della Famiglia Addams. A Carlo Peroni, primo disegnatore di Zio Boris, seguì Daniele Fagarazzi (con il quale anch’io ho lavorato successivamente, per una serie di fumetti pubblicitari delle merendine).

Castelli, in passato, ha cercato in tutti modi di vendere una sua strip alle agenzie dei quotidiani americani, senza mai riuscirci.


Und ora ekko a foi ein tafola der krante profezor ti Cermania Otto Kruntz.

L’usanza di fare parlare gli scienziati con un forte accento tedesco è precedente a Paolo Villaggio, pare risalga ai docenti universitari ebrei scappati in America dopo l’avvento di Hitler: uno per tutti, Albert Einstein.


L’umorismo si coniuga con l’avventura nelle storie degli Aristocratici. I disegni sono del troppo fotografico Ferdinando Tacconi, il quale, una volta, chiedendo di scrivere sulla propria carta di identità la professione di illustratore, si sentì rispondere dall’impiegato comunale: “Illustratore, sì… ma di preciso, cosa lustra?”.

Gli Aristocratici ricordano molto l’Alan Ford di Luciano Secchi/Max Bunker e Magnus. Non solo i personaggi sono simili: il capo degli Aristocratici, il Conte, a volte racconta le poco credibili vicende della propria gioventù esattamente come fa il Numero Uno del gruppo Tnt. A una mia domanda, Castelli rispose che sia lui sia Secchi si erano ispirati a un film degli anni sessanta: “Sette uomini d’oro”.

E ora preparatevi a una delle esperienze più estreme della vostra vita, che vi farà sembrare il bukkake una onesta attività da educande: è arrivato il momento di godervi qualche pagina del calendario dell’Omino Bufo. Illustrato personalmente dal Giotto del fumetto italiano: Alfredo da Milano.

Per il Corriere dei Ragazzi, Castelli non scriveva solo storie comiche, ma anche meno riuscite avventure drammatiche, come “L’Ombra”, con i disegni del fotografico Cubbino.

Nel 1976 si conclude l’esperienza del “Corriere dei Ragazzi”, che cambia nome in “CorrierBoy”.

Gli articoli hanno sterminato i settimanali a fumetti italiani!
1) Il Vittorioso, quando li aumentò nei primi anni sessanta.
2) Il Corriere dei Ragazzi a metà anni settanta.
3) Intrepido e Il Monello negli anni ottanta, quando hanno aumentato i redazionali per avere la carta gratis garantita alle testate giornalistiche dal governo Spadolini.

Ormai non spero più che Alfredo Castelli torni ai fumetti comici (tra l’altro, in passato scrisse anche alcuni episodi per Topolino), gli piace troppo condurre la vita comoda di autore miliardario di Martin Mystère e del resto alla Bonelli, con i suoi personaggi sempre più seriosi e nichilisti, non sembra esserci spazio per l’umorismo.

Ora che avete letto il testo del mio vecchio blog, possiamo tornare al discorso iniziale sul nesso tra il Corriere dei Ragazzi e il motivo per cui Martin Mystère è sempre andato male, malgrado esca ininterrottamente dal 1982. Trentacinque anni di vita per un fumetto che va male non sono certo pochi (Mister No di Sergio Bonelli/Guido Nolitta andava benissimo con 150mila copie vendute, ma è durato meno). Anche vendendo solo 16mila copie sembra che Martin Mystère, con gli alti prezzi di copertina di oggi, possa continuare a uscire come bimestrale. Inoltre è uscita anche una miniserie a colori.

Castelli come sceneggiatore ha dimostrato di saper costruire storie umoristiche perfette. La cosa che sa fare meno bene è scrivere avventure realistiche. Per ovviare a questo limite, ha provato con una via di mezzo: le storie avventuroso-brillanti degli Aristocratici. Il problema è che in Italia, a un certo punto, l’unico editore italiano a dare lavoro ai fumettari era rimasto Sergio Bonelli con i suoi personaggi avventurosi. Sì, anche la Disney e Diabolik, ma questi due editori richiedono la stesura dei soggetti che stressano Castelli, il quale, come Bonelli Junior e Senior, preferisce scrivere seguendo una vaga idea.

Con Martin Mystère, un personaggio ispirato alle teorie fantarcheologiche divulgate in Italia da Peter Kolosimo, all’inizio Alfredo Castelli prova a presentare l’avventura pura. Non rimane soddisfatto per due motivi. Perché il genere avventuroso è solo apparentemente “semplice” da scrivere: per non annoiare, ha bisogno anch’esso di una struttura, di un supporto sul quale svilupparsi. Ma, come abbiamo detto, Castelli odia elaborare un soggetto, lui pensa la storia mentre scrive. Il secondo motivo è che Martin Mystère era indirizzato al pubblico giovanile, come tutta la produzione bonelliana dell’epoca (salvo Ken Parker), mentre sarebbe stato più comodo per Castelli trattare dei suoi argomenti preferiti di uomo maturo.

Castelli cincischia, cerca di trovare una scappatoia aumentando il più possibile i redazionali. All’epoca, la Bonelli pubblicava al massimo una pagina di redazionali per albo, e più o meno lo fa anche oggi, ma il creatore di Martin Mystère si inventa gli speciali estivi e gli almanacchi di Martin Mystère (ripresi poi anche dagli altri personaggi della casa editrice) per poter scrivere articoli lunghi e allegare libretti con solo testo. Ecco che Castelli ritorna al Corriere dei Ragazzi con i suoi articoli didattici, solo che qui, almeno, i testi sono inerenti ai temi fantastici del personaggio e ai propri interessi. Non fa del doposcuola non richiesto. Ma questo a Castelli non basta, il suo problema della gestione di Martin Mystère viene, alla fine, risolto in altro modo.

Sin dai primi numeri, soprattutto all’inizio e alla fine delle storie, Martin Mystère era solito commentare i fatti misteriosi delle proprie avventure scrivendo degli “articoli” al computer che il lettore leggeva nelle nuvolette dei suoi pensieri. Con il tempo, l’aspetto didattico-fantastico di Martin Mystère è talmente aumentato che alcune storie non si capisce se sono fumetti o saggi illustrati. Questo ibrido non è il massimo per un’opera letteraria, anche se può avere qualche estimatore.
In conclusione, Alfredo Castelli ha trovato il modo di riprendere il modello del Corriere dei Ragazzi, a cui è sempre stato affezionato, usando l’espediente di inserire “articoli” sempre più lunghi… diluiti nella storia stessa!

 

 

Contatto E-mail: info@giornale.pop

19 commenti

  1. Il MM a colori è uscito da pochissimo, credo sia presto per fare bilanci

  2. Martin Mystere a colori è secondo me una biata senza fine! Allora, Marin Mystere è in questo caso un giovincello vagamente stile manga, non ha più come soalla Java che era un simpaticone ma un uomo maturo dotato di muscoli a bizzeffe: l’impressione che ne ho ricevuto è che Martin giovincello e questa “spalla” muscolosa alludano volontariamente al mondo gay, tanto da far sognare i nostri amici dell’altra sponda che devono scegliere chi fra i due chi lo prende e chi lo lo dà.
    La storia è un insieme di steriotipi dell’avventura fantastica pseudoculturale, con personaggi tipo il Golem di buona ebraica memoria.Il colore , credo digitale è banalissimo.Si tratta di spazi riempiti col sistema del marrone per le montagne, il verde per tutte le chiome degli alberi, il cielo in genere blu/azzurro se è giorno.Pezzi di somari, asini conclamati, date una occhiata alle ristampe di Thorgal disegnate da Rosinsky, l’ultima avventura è intitolata “IO, Jolan”, albo n° 34, e imparate che cosa vuol dire l’uso personale e espressivo del colore!!
    Il bello è che per partirire questa banalità assoluta ci si son messi sei sceneggiatori con la benedizione ma non so se anche con l’aiuto, di Castelli!!
    Somari, somari, e chiedo scusa ai simpatici ciuchi<<<<<<<<<<<111

  3. La storia completa degli Aristocratici è una vera chicca, grazie Sauro

  4. Allora, ho ritrovato l’albo in questione che avevo infilato fra tutti gli altri numeri di Martin Mystere, “Intitolato “Ritorno all’impossibile”.
    Devo ammettere di aver scritto il mio precedente commento in un impeto di rabbia, avrei dovuto essere più diplomatico.Ma, a parte questo, la penso proprio in tale maniera.POi, casomai sarò l’unico di chi ha acquistato l’albo in uestione a averne una opinione così ferocemente negativa. A proposito , il forzuto barbuto spallla di Martin si chiama Max e mi piacerebbe ,sinceramente, sapere dal gruppo dei “Misteryani” che l’hanno inventato perchè hanno creato un personaggio di tale fatta. POi, scusate, la trama di questa storia non vi pare stracarica di avvenimenti che rieccheggiano cose già viste e sentite? poi perchè metterle tutte insieme e di seguito? Il troppo stroppia!
    Devo per onestà chiedere scusa al disegnatore Fabio Piacentini che nel complesso è un bravo professionista e di certo credo, spero, sia stato estraneo alla stesura della trama e forse anche al “metodo” dell’uso del colore.
    Poi. il mondo è bello(?) perchè ha mille aspetti e diecimila sfaccettature, ognuno è ovviamente libero di fare le scelte che meglio crede, anche i misteriosi “Mysteriani”!
    Ho cercato di mettere una pezza alle intemperanze scritte in precedenza, ero in preda ald una delle mie solite manifestazione di furore senile.

  5. M’avete fatto incazzare Tomaso! Per fortuna se ne accorto da solo ahah! Ti dirò, nemmeno a me piacciono i colori digitali, anzi il 99% delle volte preferisco comunque il b&n, però cuccando qualche tavola online i colori non mi sembrano fatti alla membrum segugis, anzi: http://4.bp.blogspot.com/-ohCMbtyryOo/VkCuitB3EKI/AAAAAAAAQeI/PIidScfamjk/s1600/Martin%2BMyst%25C3%25A8re%2BNew.jpg
    detto questo da bamboccetto MM era il mio fumetto preferito, ma a un certo punto cominciai a trovare le storie noiose e smisi di comprarlo.

    • Non sono un esperto, ma mi sembra un programma di colorazione al computer un po’ vecchiotto.

      • Nemmeno io ma sicuro non è il marrone per le montagne e il verde per i prati. Hai dati di vendita attuali di MM? Io ero rimasto a qualcosa sopra le 20k copie

  6. “Del resto quei fumetti – Castelli e Sclavi – non li avrebbero saputi fare: anche perché, si sono sempre rifiutati di scrivere storie brevi con il colpo di scena finale”.. mah, io di Castelli ricordo alcune storie brevi con “colpo di scena finale” per Zio Tibia

    • Infatti, è quello che dico: nelle strisce di Zio Tibia, e nei fumetti comici in generale, dimostra di conoscere perfettamente la tecnica della gag. Secondo me, Castelli è il maggiore umorista dei fumetti italiani… peccato che Bonelli non gli abbia preso una serie tipo Aristocratici.

      • Anche Sclavi era eccezionale sull’umoristico Altai & Jonson, sempre sul Corriere dei Ragazzi.

  7. Mi permetto di dissentire. Ho cominciato a leggere Martin Mystère nel 1986, all’età di 11 anni, e da allora sono rimasto fedele. Masochismo? No, semplicemente mi pareva opportuno, oltre all’avventura di Tex o Zagor, potermi dedicare anche un fumetto più lento e meditabondo che mi permettesse di ampliare la mia conoscenza. Ho divorato quasi tutti gli Almanacchi oltre ai libretti estivi in omaggio con gli Speciali, da lì son passato a leggermi alcuni volumi consigliati, film, etc. Se volevo “ribellarmi” all’epoca puntavo a Splatter o ai primi Dyd (se proprio bisogna parlare di un fumetto “educativo” e di “pipponi” credo più calzanti i numeri di Dylan Dog tra il 150 e il 300, rispetto al povero, logorroico Martin!), riconoscevo in MM qualcosa di diverso, purtroppo un po’ offuscatosi nel tempo: ma quando mi trovo tra le mani numeri come il 340 L’ALBERO FILOSOFICO, o alcuni degli ultimi Castelli, riconosco che non è stato affatto tempo perso e, seppur di nicchia, ha tutte le ragioni per continuare ad apparire in edicola, così come lo stile di Castelli e Recagno, magari volutamente retrò, lo reputo molto più degno di tanti pastrocchi contemporanei finto-libertari. Le nuove avventure color invece non mi hanno preso, ma è stato un tentativo onesto. Grazie per l’eventuale attenzione e, ovviamente, non in alcun modo collegato al BVZA o a Bonelli o altro, buona serata.

  8. Caro Pensaurus, ti so un curioso del ns amato medium con le nuvolette di scala alfredocastellica quindi ti giro alcune informazioni che ho raccolto in rete ed altrove , principalmente altrove e non nel senso della base di ricerca di fenomeni paranormali nelle storie di MM , che avvalorano la tua ipotesi sulla deriva didattica del signor Castelli. Pare che SBE in persona abbia coinvolto il BVZA in anni in cui quest’ultimo ” portava ancora i calzoni corti ” come nei giorni in cui, secondo la leggenda, si era presentato in via Buonarroti, in una seduta spiritica ( qualcosa del genere è raccontato in uno special di Mistern No ndr ) in cui una ciarlatana chiamata Litta Misteria avrebbe evocato lo spirito di Paola Lombroso Carrara – figlia del celeberrimo studioso e una delle creatrici del Corrierino nel 1908 – anche se probabilmente si trattava di una non accreditata e notevole interpretazione della giunonica caratterista Francesca Romana Coluzzi che allora arrotondava le sue perfomances cineteatrali. Romana Carrara – diciamo così – avrebbe recitato una apologia ciceroniana del fumetto quale veicolo di conoscenza , se filtrato da didascalie in rima, da contrapporre alla sentina di nequizie di certa robaccia americana con le pipette nello slang dei vari Yelllow Kid, Krazy Kat e Popeye che poco ci mancava arrivassero al turpiloquio di certa letteratura pulpeggiante ripiena di four letters words.
    Alfredo Castelli era giovane ed entusiasta e non sapeva che i Bonellis erano sagomacce spietate – un implume Ticci si presentò con il suo portfolio e fu portato sul lago in un motoscafo da cui il papà di Tex, vestito da cowboy, sparava ai pesci ( no kiddin ) – e che era tutto uno scherzo e da allora e per parecchi anni ha apparecchiato cose come i megaliti agopuntura del pianeta -roba da Mirabella sotto acido – nel timore di allontanarsi troppo dalla strada lombrosiana. Spero che qualcuno – ora che Gianluigi e Sergio sono Altrove – abbia cuore di dirgli come stanno le cose . Ciao ciao.

  9. Ho letto il primo numero del Martin Mystere a colori. Brutto. Veramente infantile. Violenza gratuta. Battute dei protagonisti nello stile supereroi. Spero non sia l’inizio, dopo la morte di Segio Bonelli, della – tanto temuta ta me – marvelizzazione della casa editrice. Serie – come tutti i tentativi di questo tipo – sicuramente da evitare.

  10. Quando ho scritto di stereopopi, anche riguardo all’uso dei colori, ho portato cime “esempio” il fatto che per i bimbi ma anche ragazzini, in un disegno il cielo è automaticamente blu, le montagne marrono e le chiome degli alberi verdi. Ecco , era un esempio, In questo povero nostro Martin Mystere a colori il sistema usato si avvale di altri stereotipi: ma perché non hanno preso un bravo colorista e lo hanno fatto lavorare con colori e pennelli?? Ho portato ad esempio Rosinsky e il suo Thorgal, in edicola attualmente con uscita settimanale, perché è questo un caso cove di vede l’opera personale di un artista, non l’uso del colore tramite un programma computerizzato.
    Forse costa meno utilizzare quest’ultimo sistema, oppure alla maggior parte dei lettori piace più questo tipo di colorazione?

    • Il motivo è prettamente economico, ormai molti fumetti sono fatti interamente in digitale (purtroppo). Non credo piaccia più questa colorazione rispetto ad altre, credo piuttosto che gran parte dei nuovi lettori non abbia nemmeno presente il “vecchio” modo di colorare per cui sono abituati a questo tipo di resa grafica.

  11. […] più amato del “Corriere dei Piccoli”, che all’inizio degli anni settanta diventa “Corriere dei Ragazzi” mentre una versione infantile del “Corriere dei Piccoli” tornava in edicola sdoppiando […]

  12. Ti capisco perfettamente. Anch’io sono un ex-ragazzino che leggeva in particolare i fumetti franco-belgi da te citati sul Corriede dei Piccoli, che scoprii per caso in edicola, bambino, nel lontano 1966! Lo seguii più o meno fino al 1973-74 quando cambiò in Corriere dei Ragazzi, ma presto mi disgustò e lo lasciai perdere. Quanto a Castelli, è per me un vecchio amico, ho anche collaborato saltuariamente a qualcuno dei suoi Almanacchi di Martin Mystere (pure a uno di Nathan Never, anche se mi chiedevo che senso avessero ‘sti Almanacchi e chi li leggesse!), ma ciò nonostante anch’io concordo che una pubblicazione a fumetti debba pubblicare solo fumetti (al limite una breve introduzione-presentazione su l’autore e basta) e NON articoli divulgativi o peggio ancora “didattici”, anche perché so per esperienza personale che il pubblico che legge gli uni è differente da quello che “potrebbe” forse apprezzare i secondi. E’ un po’ come le vecchie fanzine amatoriali di fantascienza (anni ’70-80): quando per esempio pubblicavano articoli di cinema di fantascienza, pochissime persone li leggevano, giacché quelle fanzine erano lette soprattutto dal fandom della fantascienza letteraria che voleva sentir parlare solo di letteratura di SF.

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  13. Dick73: totalmente d’accordo. Se proprio si voleva riempire di articoli didattici la rivista, bisognava almeno lasciarvi i fumetti di altissimo livello pubblicati sino al 1971 (o almeno al 1973). In questo modo si sarebbero mantenute entrambe le tipologie di lettori. Purtroppo era evidente, soprattutto dal 1974, la volontà della redazione di liberarsi di tutti quei fumetti che non avessero un contenuto esplicitamente didattico.
    I risultati li ricordiamo tutti. Purtroppo.

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