ERMANNO LAVORINI, IL BAMBINO SCOMPARSO NEL PARCO

ERMANNO LAVORINI, IL BAMBINO SCOMPARSO NEL PARCO

Ermanno Lavorini è un bambino di Viareggio di 12 anni, alto 1 metro e 55, di corporatura esile e capelli biondi ondulati. Il suo sogno è diventare calciatore dell’Inter. Il 31 gennaio 1969 indossa un paio di pantaloni color ruggine, un maglione bianco con disegni neri e un impermeabile bianco. «Torno tra un’ora per fare i compiti», dice Ermanno uscendo di casa per prendere la bicicletta.
Sono le 14.30, mamma Lucia gli dà un’occhiata veloce: non può certo immaginare che non vedrà mai più il figlio vivo. Alle 17.30 la figlia maggiore, Marinella, riceve una telefonata che la lascia di sasso: «L’abbiamo rapito, preparate 15 milioni». I Lavorini sono benestanti, ma non ricchi: possiedono un negozio di stoffe sotto casa, gestito da papà Armando, e la cifra chiesta per il riscatto appare subito esagerata. Basti considerare che, nel 1969, con 15 milioni di lire si possono comperare trenta Fiat 500.

Iniziano le ricerche della polizia, il primo risultato arriva solo il 3 febbraio, quando la bicicletta di Ermanno viene trovata legata a un albero vicino a un luna park. Appena la notizia della sparizione viene diffusa dai media, tutto il Paese rimane sconvolto perché si tratta del primo rapimento di un bambino nell’Italia del dopoguerra. Nel 1969 non esistono ancora le emittenti private e i programmi delle due reti Rai iniziano le trasmissioni di sera; eppure, sebbene manchino gli odierni contenitori pomeridiani riservati alla cronaca, vengono realizzate 27 trasmissioni televisive speciali dedicate al rapimento, più 300 in radio.

ERMANNO LAVORINI, IL BAMBINO SCOMPARSO NEL PARCO

Le prime pagine dei giornali sono tutte dedicate al caso: i settimanali pubblicano inchieste e i quotidiani mandano a Viareggio i loro inviati. Attraverso la stampa e la tv, gli italiani seguono la vicenda con il fiato sospeso, nella speranza che Ermanno venga rilasciato al più presto o liberato dalle forze dell’ordine.

Le ricerche e le indagini continuano per più di un mese, senza risultato. I giornalisti di cronaca cercano sempre nuove notizie e curiosità: vengono contattati anche alcuni “sensitivi” e arriva perfino un medium dall’Olanda, Gerard Croiset, che assicura di aver “visto” nelle sue visioni il corpo dello sfortunato bambino in fondo al mare. Il personaggio ispirerà una famosa serie televisiva della Rai sui presunti casi polizieschi che avrebbe risolto in Olanda.

No, Ermanno Lavorini non è morto in acqua, si è fermato prima: sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, a pochi chilometri da Viareggio. È qui che il 9 marzo viene ritrovato da un maresciallo dell’aeronautica, che sta raggiungendo una vicina pineta in cerca di tartufi. Il suo cane fiuta qualcosa, raspa la sabbia e porta alla luce un ciuffo di capelli biondi. È il cadavere del piccolo Lavorini.

Essendo la pineta un noto punto di ritrovo dei gay, le indagini si orientano verso il mondo dei “giochi proibiti”, del “terzo sesso” o degli “invertiti”, per usare il linguaggio colorito dell’epoca. Alla fine degli anni sessanta gli omosessuali sono regolarmente schedati e tutti quelli della zona, una cinquantina, vengono portati nella caserma dei carabinieri per essere interrogati. Si organizzano delle retate, ecco un resoconto dato dalla stampa: “Una battuta di carabinieri in pineta si imbatte in due uomini teneramente abbracciati, che vengono portati dritti in galera con l’accusa di atti osceni in luogo pubblico. Se non altro, così si fa pulizia”. Chi ha rapito Ermanno? E chi lo ha ucciso?

Il 19 aprile entrano in scena tre giovani di Viareggio, molto conosciuti nell’ambiente dei movimenti monarchici e neofascisti: Marco Baldisseri, sedicenne dal viso d’angelo e il ciuffo ribelle, apprendista meccanico e tesoriere del Fronte monarchico giovanile; Rodolfo Della Latta, 19 anni, aiuto becchino e attivista del Movimento sociale italiano; Pietro Vangioni, 20 anni, cameriere e segretario della stessa organizzazione politica di Baldisseri. Al più giovane, Marco Baldisseri, la polizia arriva attraverso la testimonianza di una negoziante, che ha visto il ragazzo insieme a Ermanno il giorno della sua scomparsa. Il sedicenne e i due amici, che erano con lui il 31 gennaio, vengono portati in caserma. Danno diverse versioni di ciò che è accaduto, ma il succo è sempre lo stesso: Ermanno è stato ucciso nell’ambiente degli omosessuali della pineta e loro possono testimoniarlo.

I tre giovani, all’inizio, accusano Adolfo Meciani, un uomo alto ed elegante di 42 anni, sposato, con un figlio, proprietario di uno stabilimento balneare e noto per andare spesso alla pineta con la sua cabriolet rossa. Secondo i tre, Meciani avrebbe ucciso Ermanno Lavorini con un pugno perché il bambino aveva resistito ai suoi approcci sessuali.

Quando la notizia viene resa pubblica, il commerciante diventa un animale braccato, sfuggendo per un pelo a due linciaggi pubblici. Pare assodato che l’uomo frequentasse i giovani che si prostituivano nella pineta e che aveva anche subito alcuni loro ricatti. Sulla stampa dell’epoca si legge: “Dopo avergli fatto bere uno sciroppo drogato, lo aveva spogliato. Il ragazzo era stato preso dalle convulsioni e Adolfo Meciani gli aveva praticato un’iniezione per endovena. Così Ermanno è morto per collasso”. Fantasia pura, non c’è nulla di vero.

Il 24 maggio, Adolfo Meciani si impicca in carcere per la disperazione. Lo scrittore Pier Paolo Pasolini, anche lui omosessuale, scrive: “Ne soffro come se fossi un suo amico o un suo parente. È atroce. Sia chiaro che non si tratta di un suicidio, ma di un linciaggio. E di questo linciaggio sono colpevoli tutti i cronisti, tutti i direttori di giornali e gli inquirenti che si sono occupati di questa tragedia”.

I tre ragazzi di Viareggio, Baldisseri, Della Latta e Vangioni, vengono messi ancora sotto torchio e questa volta raccontano una nuova storia che coinvolge un altro viareggino benestante, Giuseppe Zacconi, figlio di Ermete, grande attore teatrale del Novecento. Zacconi, colpevole soltanto di essere un uomo solitario, per liberarsi dalle accuse deve mostrare pubblicamente un certificato medico che attesta la sua assoluta impotenza sessuale. Isolato da tutti, morirà anche lui dopo pochi mesi di crepacuore.

Le calunnie, che partono sempre dagli stessi tre giovani, colpiscono quindi il sindaco di Viareggio e il presidente della locale Azienda di turismo, entrambi esponenti socialisti. Travolti dalle accuse, tutti e due devono dimettersi dai loro incarichi. Ma a questo punto gli inquirenti smettono di credere alle accuse dei tre estremisti: hanno scoperto che sono dediti al gioco d’azzardo, hanno commesso dei piccoli furti e frequentano proprio quella pineta di Marina di Vecchiano. Sono bugiardi e hanno dimostrato di essere anche molto furbi, ma sono inchiodati dopo nuovi interrogatori nei quali finiscono per contraddirsi a vicenda. Vengono allora accusati di sequestro di persona per finanziare le loro organizzazioni politiche.

A questo punto, i tre ammettono di avere ucciso Ermanno, ma giurano che è stato un incidente: hanno litigato con lui per la spartizione di alcuni bossoli d’arma da fuoco trovati sulla spiaggia e il diverbio è degenerato sino alle estreme conseguenze. Per la precisione, l’involontario assassino sarebbe Marco Baldisseri, che con i suoi sedici anni è il più giovane del gruppo.

La telefonata con la richiesta di riscatto, aggiungono i tre amici, sarebbe stata fatta solamente allo scopo di depistare le indagini dei carabinieri.
 Nel gennaio 1975 si apre il processo e tre mesi dopo la corte condanna Rodolfo Della Latta a 19 anni di reclusione. Marco Baldisseri a 15, mentre assolve Pietro Vangioni per insufficienza di prove.

Nelle motivazioni della sentenza, i giudici sostengono il movente sessuale: i tre amici avrebbero ucciso Ermanno perché non voleva sottostare ai loro desideri.
 Nel 1976 il processo d’Appello modifica le condanne (confermate in Cassazione): 11 anni per Della Latta, 9 per Vangioni e 8 per Baldisseri. Viene ristabilita la motivazione politica del crimine: i tre hanno rapito Ermanno per finanziare i loro movimenti, l’ambiente degli omosessuali non c’entra nulla.

Una volta usciti dal carcere i tre si sono ben inseriti nel mondo del lavoro. Pietro Vangioni, condannato per aver sepolto Ermanno Lavorini, ha messo in piedi un’azienda per il recupero dei materiali ferrosi. Si è sposato e ha avuto una figlia. Rodolfo Della Latta, condannato per aver rapito materialmente il bambino, è diventato un esperto in videoregistrazioni musicali. Infine, Marco Baldisseri, dopo il carcere per omicidio involontario, è diventato cuoco in un albergo a quattro stelle. Anche lui si è sposato e ha avuto due figli.

Il caso del piccolo Ermanno è rimasto nei ricordi di molti come uno dei delitti più atroci dell’epoca, come canta Luciano Ligabue, classe 1960, nel brano Nel Tempo: «C’ero quando sono nato. C’ero quando sono cresciuto. Zorro. Blek e Braccobaldo. Belfagor e Carosello. Ed hanno ucciso Lavorini, e dopo niente è stato come prima».

 

(Per leggere gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati da Giornale POP clicca QUI).

 

 

 

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1 commento

  1. Certo che in tutti questi casi, la stampa ci fa davvero una bella figura di m…..

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