BOSS FIGHT – I PIÙ ESASPERANTI SCONTRI FINALI DEI VIDEOGAME

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Ah, le boss fight. Lo scontro finale, il culmine di una lunga sessione di gioco. La gioia del trionfo dopo una battaglia particolarmente difficile. Fino a non molto tempo fa, in epoca Playstation 3/Xbox 360, pareva che tutto questo stesse per sparire. In un mondo in cui l’online è il dogma e l’open world il nuovo status quo, il concetto stesso di boss fight era diventato quasi accessorio. Specie di separé tra le aree di gioco, insomma.

In questi giorni, Bloodborne è ricicciato fuori a tradimento dalla pila di giochi e, metti, che lo vedi e non te la fai ‘na partitina? Pimpantissimo e convintissimo avanzi tra le vie di Yharnam, giri l’angolo e, niente, ‘na manciata di mob ti fanno il culo a capanna. Allora ci riprovi, e muori. Ancora, ancora e ancora. Allora ecco che so’ venuti a galla, di prepotenza, i “bei vecchi tempi”.

Genuini momenti di esasperazione, quelli in cui ci si incaponiva a rifare allo stremo la stessa fase di gioco. Perché in fondo la regola è…

… niente frustrazione, niente boss fight!

 

Zarok il Negromante (MediEvil)

Medievil fu uno dei grandi successi dell’epoca Playstation: un platform-action divertente e ironico. Tremendamente riuscito con la sua atmosfera a metà tra il naif e la black comedy. Un giochillo veramente, ma veramente bello. Un peccato sia finito all’aceto dopo due capitoli e mai più ripreso. I remake di questi anni saranno pure carini, ma il vecchio Sir Dan avrebbe meritato una saga più longeva.

Al di là del gioco, lo stregone Zarok, nemico giurato di Sir Dan e di tutta Gallowmere, era un tipo alquanto tosto. Dacché cercava di friggerti le chiappe sparando fulmini a tutta forza, e a un certo punto si trasformava pure in drago. Un drago che, nonostante la grandezza dell’arena di gioco, ci metteva veramente poco ad asfaltarti.

 

Geese Howard (Fatal Fury)

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Geese Howard, esattamente come la stragrande maggioranza dei boss finali di qualunque picchiaduro dell’epoca 2-D, era un incubo. Non è il massimo da fare, però nelle versioni domestiche dei giochi avevi la possibilità di abbassare il livello di difficoltà. Il che rendeva le cose non dico facili, ma, almeno, accettabili.

In sala no. Il picco di difficoltà era tarato su una scala che andava da dissanguati ad ammazzati. Nel caso in cui, a botta di infinite monetine, fossi riuscito ad arrivare alla boss fight con Geese, era un trionfo di angosciante frustrazione. Stramaledettissime reversal a non finire. Parry infiniti che aveva a disposizione. Devastanti attacchi a distanza, sia a terra che a mezz’aria. Tutte cose che lo rendevano, slealmente, impossibile da colpire.

 

Il Tecnodromo (T.M.N.T.)

Il gioco delle Tartarughe Ninja per Nes, in sé, era bello e anche ben fatto. Ma era pure uno dei più complicati da portare a termine. Considerando il fatto che parliamo di un’epoca in cui, quando non erano proprio programmati con il culo, l’unico modo per allungare la pappardella era settare la sfida dei giochi a livelli proibitivi.

Il gioco era difficile. Quando arrivavi al maledetto Tecnodromo sbroccavi male, premendo come una scimmia epilettica quei due tastini del pad. Il problema non stava solo nel fatto che il Tecnodromo lanciava proiettili in ogni direzione. Tirava fuori barriere elettriche. I ninja del Clan del piede che ti arrivavano addosso come se buferasse.

Il grave era che prima di arrivare al Tecnodromo bisognava trovarlo. Stava infossato in fondo a una grotta-labirinto piena di nemici. Quindi era facile che arrivavi alla battaglia con una o due tartarughe su quattro. E questo non era manco la boss fight finale.

 

Tyrant (Resident Evil)

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L’incontro con il Tyrant era il panico, proprio. Quando frantuma quella provetta gigante, inizia a venirti incontro e tu non hai la più pallida idea di che cacchio fare. Cioè, che fai con la pistoletta contro ‘sto coso? Allora inizi a dargli addosso con tutto quello che hai. Appunto: ricordo perfettamente la primissima run a Resident Evil.

Arrivato a fischi e pernacchie allo scontro col Tyrant… niente, tanti saluti e grazie. Mi ero letteralmente mangiato spray e munizioni come se non ci fosse un domani e arrivato alla boss fight, ta-daaa!, con zero risorse. L’unica cosa che potevi fare: start, nuova partita e ricominciare il gioco dall’inizio. Bei tempi.

 

Shao Kahn (Mortal Kombat)

A differenza di Street Fighter, i primi Mortal Kombat sono invecchiati male. Probabilmente molto male. Magari per via di quella seminalissima grafica digitalizzata che nei primi anni novanta era uno spettacolo per le retine adolescenziali. Ma rendeva tutto pure estremamente… goffo.

Già Goro e Shang Tsung le spaccavano parecchio come boss finali, però la boss fight contro Shao Kahn che cos’era? Sempre per quel discorso sulle differenze tra sala giochi e casa tua, per quanto tempo e imprecazioni potessi metterci tra le pareti domestiche le possibilità di vittoria aumentavano non poco.

In sala, ammesso e non concesso non ti fossi svenato buttando monetine come un pazzo, invece stavi sempre sulla difensiva. Appena ti fermavi partiva a razzo con un attacco che chiudeva subito le distanze. Colpi a energia per beccarti tranquillamente da lontano. Insomma, Shao Kahn era la pistola in un gioco che ti dava solo coltelli.

 

Omega Weapon (Final Fantasy VIII)

Una delle particolarità migliori dei vari Final Fantasy sta nel fatto che le boss fight più difficili sono segrete e opzionali. Una delle peggiori, demoralizzanti e drammaticamente frustranti, è quella contro Omega Weapon. Il boss più forte in assoluto di Final Fantasy VIII.

Omega lo si trovava alla fine del gioco, nel castello di Artemisia. Vatteli a ricorda’ dopo anni tutti i passaggi per affrontarlo. Fatto lo sbattone prima del boss finale del gioco, si poteva accedere a questa area segreta e affrontarlo. Non dico che la battaglia fosse slealmente sbilanciata, ma quasi.

Il fatto è che Omega ha circa un milione e mezzo di HP. La maggior parte dei suoi attacchi, quando non devastanti, erano letali. La cosa peggiore in assoluto era che molti di questi erano a effetto collettivo. La gioia proprio, dopo una mezz’ora di battaglia matta e disperatissima, beccarsi la magia Ade ammazza-tutti e game over, man. Game over.

 

Yiazmat (Final Fantasy XII)

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Tanto per restare in tema: Yiazmat di Final Fantasy XII. Di per sé, Omega Weapon con quel milione e passa di punti vita, diciamo che era una particolarità. Al contrario, Yiazmat è un po’… l’eccezione che conferma la regola, se vogliamo metterla in questo modo. Il punto è che ‘sto maledetto di HP ne ha più di cinquanta milioni.

Come se non bastasse, metti pure che ha delle statistiche vergognosamente alte. L’arena dello scontro è piena di trappole che infliggono ogni genere di malus e status negativo, ed ecco qua. Tutte cose che rendono la boss fight con Yiazmat tanto difficile da rasentare il ridicolo. Sia per gli standard della serie sia nei videogame in generale.

Omega Weapon, così come tanti altri boss apparsi nei vari Final Fantasy nel corso degli anni, alla fine li ho tirati tutti giù in un modo o nell’altro. Ma non questo. Vero che lui non può curarsi e tu puoi fuggire dalla battaglia per riprenderla da dove avevi lasciato. Tuttavia, se hai i parametri di tutti i personaggi al massimo e sei bravo, lo scontro ha una durata media di circa due ore-due ore e mezza.

Metti che stai lì tipo da un tre quarti d’ora o più, fai un errore e quello t’ammazza. Ti passa la voglia di vivere, altro che avere quella di riprovarci.

 

Psycho Mantis (Metal Gear Solid)

Ventidue anni dopo, con il proverbiale senno di poi, come boss fight Psycho Mantis non è proprio tutto ‘sto granché. Questo però, sempre considerando il senno di poi, e, soprattutto, conoscendo il “segreto” per batterlo. Nel 1998, alla run iniziale quando te lo trovavi di fronte la prima volta le cose non erano così semplici. Psycho Mantis, infatti, è un esper: non solo psicocineta, ma pure telepate.

A scontro iniziato, la prima cosa che fa è “leggerti la mente” (in realtà, leggeva il contenuto della memory card commentando i giochi che “vedeva”). Quindi, una volta iniziata la battaglia, a meno che non si cogliessero i “suggerimenti” di spostare il controller da una porta all’altra, Mantis era in grado di prevedere e anticipare ogni mossa, diventando sostanzialmente invincibile.

Vent’anni e passa dopo, l’aspetto, lo scontro in generale. Il modo in cui veniva rotta la quarta parete, portandoti a credere che l’interazione fisica con la console, in qualche modo, avrebbe avuto effetto su un personaggio fittizio. Tutto quanto era pura avanguardia. Non sorprende che venga indicata spesso come una delle migliori boss fight nella storia dei videogame.

 

Dr Wily (Mega Man)

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Mega Man era una serie divertente, certo, ma santo cielo se non ti faceva odiare tutto e tutti. Soprattutto le boss fight. Quelle sì che erano punitive al massimo e ti facevano sbroccare malamente. Insieme a Ninja Gaiden, Mega Man era il classico gioco realizzato con l’unico e diabolico intento di farti impazzire.

Alla fine di ogni livello c’era un Robot Master che, per essere sconfitto, richiedeva una strategia diversa di volta in volta. Tipo Bomb Man, il primo boss, per esempio. Lanciava ‘ste bombe che rimbalzavano per tutto lo schermo per poi esplodere a tradimento. Tu dovevi stare lì, evitarle e poi incendiarle per fargliele esplodere addosso.

Ammesso e non concesso che non avessi direttamente lanciato il gioco fuori dalla finestra, c’era il boss finale: il Dottor Wily. Lo schermo, a un certo punto, era solo una confusione di pallette energetiche e scariche elettriche. La gioia di tutti, all’epoca in cui avevi solo due tasti: salta e spara.

 

Arcidemone (Dragon Age: Origins)

Dragon Age è una gran serie. Vero che il secondo capitolo, a causa di certe scelte bizzarre, è stato una mezza fetenzia, ma tant’è. Complessivamente sono bei giochi. Soprattutto il primo, Dragon Age: Origins. Il quale ha uno dei boss più irritanti che abbia mai visto: l’Arcidemone.

Questo è lo scontro finale del gioco, ok? Come boss fight è impegnativa e parecchio difficile, soprattutto a livello di difficoltà alto. Non tanto per l’Arcidemone in sé (comunque tosto) o per i suoi attacchi (che fanno comunque malissimo). Il problema è un altro.

La battaglia viene tirata per le lunghe e a un certo punto dello scontro chiama in sua difesa una frotta di mostrilli che rompono non poco. Roba che vola dappertutto, nemici che ti assaltano da ogni parte, confusione che regna ovunque. Morale della favola, i “continue” se ne vanno come l’acqua fresca.

 

Ornstein & Smough (Dark Souls)

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Personalmente parlando, i Souls (da Demon’s a Bloodborne, nessuno escluso) non se ne scendono in alcun modo. Aprirebbe una parentesi troppo grande mettersi a spiegare i come o i perché di questa cosa, che non è nemmeno il punto del discorso.

Ciò non toglie che questi giochi hanno un grandissimo merito: aver riportato in auge la sfida. Cioè, l’essenza stessa del videogame. Da Lords of the Fallen a Nioh, i Souls si sono imposti come nuovo modello da cui “prendere ispirazione”. Tanto che Souls-like è diventato sinonimo di un genere vero e proprio, come all’epoca lo fu Doom per gli spara-tutto.

Perciò Artorias dell’Abisso e Ornstein & Smough meritano un discorso a parte. Proprio perché fanno parte di un gioco che ha saputo non solo emulare, ma soprattutto aggiornare il fulcro dell’era 8-16 bit. Dove le boss fight erano al centro della scena e ogni livello era impegnativo tanto quasi le sfide coi boss.

 

Artorias dell’Abisso (Dark Souls)

Diciamo che Artorias è una specie di boss apocrifo. Non è presente nella versione originale di Dark Souls, ma nel DLC chiamato, appunto, Artorias of the Abyss. DLC, del resto, integrato nella versione successiva del gioco, la Dark Souls: Prepare to Die Edition. Mi ha fatto il culo tante di quelle volte da rasentare l’incredibile.

Non quanto Artorias, però, pure Ornstein e Smough un po’ la voglia di strangolarti con il filo del pad te la fanno salire. Ci sarebbe da dire che questi due, pure grazie all’aiuto di Solaire, più o meno con una mezza dozzina di tentativi te la cavi. Specie quando capisci che se ti sciacqui dalle noccioline prima Ornestein le cose sono un tantino più facili. Però Artorias, che cos’è… Due giorni. Due giorni di tentativi per tirar giù quel maledetto.

Per questo poi ti sale lo schifìo quando vedi quei tipi pazzissimi su Youtube. Quelli che con il personaggio di livello 1, armato solo della mazzerella di legno asfaltano Artorias e altri boss senza troppi problemi. Sì, bravo, bravissimo, ma vaffancul…

 

Ghosts ‘n Goblins

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Di Ghosts ‘n Goblins se ne è parlato tempo fa su I 10 videogiochi più duri di un chiodo di bara. In secondo luogo, non ci sarebbe bisogno di ripeterlo ogni volta: questa non è una classifica. Non le faccio mai, non ci credo. Come mi vengono in mente le cose, ne ciarlo.

Però stavo pensando a qualcosa per concludere degnamente e non mi è venuto in mente niente di meglio di Ghosts ‘n Goblins. Non perché in questo gioco ci sia chissà quale incredibile, difficile boss fight. Il punto è che l’intero gioco è una mostruosa trave nel c… gatta da pelare.

Al prode Sir Arthur, il protagonista, bastavano due colpi: uno lo lasciava in mutande. L’altro, lo uccideva direttamente. I nemici, troppi e dai pattern stranamente imprevedibili, spawnavano ovunque a schermo. Quei pochi pulciosi power-up che si trovano in giro, spesso erano trappole letali. In effetti, la costante minaccia di morte nel gioco ha dato vita a un’avventura incredibilmente intensa.

Non sorprende il fatto che quasi nessuno riusciva ad andare oltre il primo livello. E pure se ci riuscivi, se con lo sclero agli occhi e la bava alla bocca arrivavi alla fine (niente save point all’epoca, o tutto o niente), scoprivi che tutto era “una trappola inventata da Satana”. Perciò dovevi rifare il gioco da capo. Solo a una difficoltà più alta.

 

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

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