BEINEIX NON GIRAVA FILM DA ANNI, E NON È IL SOLO

BEINEIX NON GIRAVA FILM DA ANNI, E NON È IL SOLO

“Nel cinema di finzione, hai la possibilità di alterare, modificare, trasformare la realtà in qualcos’altro, di dare ad essa una forma e di plasmarla come vuoi. È un vecchio dibattito della storia dell’arte. Molte persone vogliono che l’arte sia al servizio della realtà. Penso però che alcuni artisti vogliano mostrare le cose per come le vedono attraverso i propri occhi. Io non ho mai fatto e mai farò un film che sia realistico”.
Questa dichiarazione, una sorta di manifesto teorico, è del regista francese Jean-Jacques Beineix, scomparso il 14 gennaio all’età di 75 anni.

Beineix si era rivelato nel 1981 con il suo lungometraggio d’esordio, lo straordinario noir Diva (id.), tratto dal romanzo di Daniel Odier.
Con Diva e il pur irrisolto Lo specchio del desiderio (La Lune dans le caniveau, 1983) il regista francese ha iniziato una ricerca affatto superficiale, che privilegiava l’aspetto visivo ma non si esauriva in esso. Aveva adottato le tendenze artistiche e culturali di un’epoca che allora veniva definita “postmoderna”.

 

Jean-Jacques Beineix non girava più film dal 2001. La sua attività registica si è conclusa con la coproduzione franco-tedesca Mortel Transfert, mai distribuito in Italia.

Come Beineix, molti registi affermatisi tra la fine degli anni Settanta e il decennio successivo, sono inattivi da tempo. A cominciare da un altro cineasta d’oltralpe, Jean-Jacques Annaud, autore di film di successo come Il nome della rosa (The Name of the Rose, 1986), tratto dal romanzo di Umberto Eco e interpretato da Sean Connery.

 

L’ultimo film diretto da Annaud, L’ultimo lupo (Wolf Totem), risale al 2015. Anche tra gli americani possiamo trovare vari registi che non lavorano da tempo. David Lynch, innanzitutto. Per almeno due decenni è stato uno dei più attivi e celebrati grazie a The Elephant Man (id., 1980), Velluto blu (Blue Velvet, 1986) e Cuore selvaggio (Wild at Heart, 1990).

 

Eppure il suo ultimo lungometraggio, Inland Empire – L’impero della mente (Inland Empire), risale al 2006. Va detto però che Lynch nel 2017 ha diretto la serie televisiva Twin Peaks (id.), per la rete via cavo Showtime.
A differenza di Lynch, che non lavora perché fatica a trovare i finanziamenti, John Carpenter ha dichiarato di essersi volontariamente allontanato dalla macchina da presa. È tuttavia abbastanza evidente che la decisione sia stata presa perché il contesto cinematografico non è più quello di quando realizzava Fog (The Fog, 1980) e La cosa (The Thing, 1982).

 

Del resto, l’ultima fatica di Carpenter, The Ward – Il reparto (The Ward, 2010), non è stato accolto con particolare entusiasmo nemmeno dai suoi più accaniti sostenitori.
Un altro regista a stelle e strisce che ha lasciato il segno tra i decenni Settanta e Ottanta con film che sono ancora oggi molto apprezzati, come Una poltrona per due (Trading Places, 1983), è John Landis.

 

Landis ha girato l’ultimo film nel nel 2010: Ladri di cadaveri – Burke & Hare (Burke & Hare) è stato fin troppo sottovalutato e ha ottenuto uno scarso riscontro di pubblico.
D’altronde i registi inattivi da tempo pagano quasi sempre l’esito al botteghino dell’ultimo film. È il caso di Joe Dante, autore negli anni Ottanta di pellicole indimenticabili come L’ululato (The Howling, 1981), Gremlins (id., 1984) e Salto nel buio (Innerspace, 1987).

 

Se gli ultimi film di Lynch, Carpenter e Landis hanno suscitato un minimo di interesse, e sono comunque arrivati in Italia, quello di Joe Dante, Burying the Ex (del 2014), non è stato distribuito nelle sale del nostro paese.
Certo, Joe Dante, a partire dagli esordi con le produzioni di Roger Corman, ha quasi sempre agito ai margini della vera e propria industria hollywoodiana.
Diverso è il caso di Michael Mann, che nel corso della carriera ha diretto film ad alto budget e interpretati da grandi star. Come nel caso dello splendido L’ultimo dei Mohicani (The Last of the Mohicans, 1992).

 

Eppure anche Michael Mann è lontano dal set dal 2015, quando ha diretto il thriller Blackhat (id.).
Che dire poi di John McTiernan, un maestro del cinema d’azione. Comincia a essere inviso alle case di produzione quando nel 1993 realizza Last Action Hero – L’ultimo grande eroe (Last Action Hero), con Arnold Schwarzenegger. Un film dalle grandi ambizioni, molto costoso e che purtroppo si rivela un mezzo fallimento.

 

McTiernan gira un film addirittura dal 2003, quando è uscito Basic (id.). Più o meno come l’inglese Adrian Lyne, che negli anni Ottanta ha fatto incassare ai produttori cifre favolose con Flashdance (id., 1983), Nove settimane e ½ (9½ Weeks) e Attrazione fatale (Fatal Attraction, 1987).

 

L’ultimo film di Lyne, Unfaithful – L’amore infedele (Unfaithful) è il rifacimento del francese Stéphane – Una moglie infedele (di Claude Chabrol) e risale al 2002.
Restando ai registi inglesi, il livello non eccelso dei Bond più recenti accresce il rimpianto per quelli diretti da John Glen durante gli anni Ottanta. Per esempio Agente 007 – Bersaglio mobile (A View to a Kill), del 1985.

 

Il quasi novantenne Glen non gira un film dal 2001, quando ha realizzato il poco visto The Point Man – Creato per uccidere (The Point Man).
Sempre per quel che riguarda i cineasti europei, l’ungherese Béla Tarr è l’autore di opere che richiedono uno sforzo da parte del pubblico, ma che sono assoluti capolavori: da Satantango (Sátántangó, 1994) a L’uomo di Londra (A Londoni férfi, 2007).

 

Incredibilmente, Béla Tarr ha ormai chiuso con il cinema dopo aver realizzato nel 2011 il bellissimo Il cavallo di Torino (A torinói ló).
Tra i registi di casa nostra, Roberto Benigni per lungo tempo è stato incensato dalla critica e ha girato film campioni d’incasso come Il mostro, del 1994.

 

Tuttavia, persino a Benigni non è stato evidentemente perdonato il flop del suo ultimo film, La tigre e la neve, diretto nel 2005.

 

 

 

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