GLI ANIME ANNI ’90 DA RIVEDERE

GLI ANIME ANNI ’90 DA RIVEDERE

In passato abbiamo esaminato gli anime degli anni ottanta, le Tartarughe Ninja e i loro pezzentissimi tarocconi e via dicendo.
L’ultima cosa di cui abbiamo parlato sono stati i peggiori cartoni animati basati sui film, e a questo punto ci rimane solo da esplorare gli anime degli anni novanta che meriterebbero di essere rivisti.

 

Patlabor

Vero è che con Patlabor siamo ai limiti, visto che l’anime risale al 1988, ma mi piace partire da quei giorni di un lontano futuro passato. Patlabor nasce da un’idea del collettivo Headgear, formato da Mamoru Oshii (autore della versione anime di Ghost in the Shell), Kazunori Itō, Akemi Takada, Yutaka Izubuchi e Masami Yūki. Il progetto si basava sulla multimedialità, comprendendo manga, Oav, anime eccetera. Mentre l’idea in sé era quella di svecchiare il concetto di mecha anime. Oggi, si fa una distinzione netta fra Super Robot e Real Robot. Per capirci, i primi sono Mazinga, Daitarn 3, Jeeg e compagnia cantante. Mentre i secondi robot hanno aspetti più realistici, essenzialmente sono accessori.

Nel 1988 c’erano ancora pochi esempi seminali del filone Real Robot, come Zambot 3 e Gundam, per dire. E Patlabor partiva da queste basi. La storia era ambientata nel futuro (per noi già passato) tra il 1998 e il 2000. In fin dei conti i Labor non sono altro che degli esoscheletri impiegati nell’industria pesante e nel manifatturiero in generale. Anche a causa di un’esplosione demografica incontrollata, alcuni personaggi hanno adattato i Labor a scopi criminali: da qui nasce la Polizia Mobile Patlabor.

 

Ranma 1/2

Anche se non siamo ancora nel pieno degli anime anni novanta, non posso non spendere due parole su Ranma 1/2, una delle opere che più m’ha fatto sclerare brutto negli anni. Come pure le scolopendre sapranno, l’autrice è Rumiko Takahashi, conosciuta come The princess of manga, autrice anche di un’altra opera mitica: Urusei Yatsura, da noi conosciuto come Lamù. Nonostante Ranma 1/2 sia uno shonen (che per chi non lo sapesse sono quelle storie dove i personaggi generalmente non fanno altro che riempirsi di mazzate tipo Dragon Ball e One Piece), si distingue tantissimo dal genere.

Ranma Saotome, il protagonista, è un giovane esperto di arti marziali che durante un allenamento in Cina cade insieme al padre nelle Sorgenti Maledette di Jusenkyo. Da quel momento, ogniqualvolta Ranma si bagna con l’acqua fredda diventa una ragazza e il padre un panda. Da qui partono le strampalate e assurde vicende in cui di volta in volta i due vengono a trovarsi. Con la partecipazione di tutto un pantheon di personaggi bizzarrissimi che gravita intorno. Una delle cose più divertenti è che, grazie alla doppia identità sessuale di Ranma, viene fuori una commedia degli equivoci tipo gender bender stravagante e originale.

 

Yu degli spettri (Yū Yū Hakusho)

Yu degli spettri, a differenza di Ranma 1/2, è uno shonen, come dire… classico. Dovrei precisare che ormai questo genere non è che mi entusiasmi più di tanto. Tuttavia Yu Yu Hakusho è l’eccezione che conferma la regola. Il protagonista, Yusuke Urameshi, è un teppista adolescente (a differenza dell’anime, nel manga è un fumatore, alcolizzato e giocatore d’azzardo cronico) che si trova per una volta a fare una buona azione. In pratica, salva un bambino che stava per essere investito e muore sul colpo. Siccome era previsto che il bambino si sarebbe salvato comunque, la sua dipartita imprevista e non programmata porta scompiglio nel mondo dell’aldilà.

Vista la sua buona azione, gli viene concessa la possibilità di tornare in vita. Oltretutto, il figlio del re degli spiriti, il piccolo Enma, gli propone l’incarico di detective del mondo degli spiriti. Per mantenere l’equilibrio tra il bene e il male tra il mondo degli spiriti, il mondo umano e il mondo dei demoni.
Nel complesso, Yu Yu Hakusho è sì uno shonen con molti dei tipici cliché del genere, tuttavia ha parecchie idee originali e creative. Soprattutto la storia, abbastanza avvincente, si mantiene sopra la media. In secondo luogo, ha uno sviluppo interessante dei personaggi, ben caratterizzati e mai banali.

 

Kenshin samurai vagabondo (Rurōni Kenshin)

Rurouni Kenshin è un altro prodotto singolare. Il protagonista, Battosai Himura, è un assassino leggendario per le sue abilità e il numero di uomini uccisi durante le guerre Bakumatsu in Giappone (gli ultimi anni del periodo Edo, durante i quali ebbe fine lo shogunato Tokugawa e il paese passò dal sistema feudale dello shogunato al governo Meiji che ha portato il Paese alla modernità: cioè dal 1853 al 1867). Tra l’altro, Battosai è uno pseudonimo: in quanto il Batto è una tecnica del Battojutsu, la massima esecuzione in velocità dell’estrarre la katana dal fodero per uccidere l’avversario.

Anni dopo, Himura dà una svolta alla propria vita diventando un ronin (samurai senza padrone) con il nome Kenshin. Abbandonati i panni dell’assassino, vaga per il Paese aiutando chiunque abbia bisogno. Un modo questo per cercare di espiare le colpe e trovare finalmente la pace. Rurouni Kenshin è piuttosto interessante perché parte da una forma ibrida, a metà fra l’action e lo storico, per poi diventare un battle shonen. Tra l’altro mi pare di ricordare che tutte le tecniche di spada utilizzate, o almeno buona parte, siano reali.

 

Un incantesimo dischiuso fra i petali del tempo (Slayers)

Arrivato da noi con l’agghiacciante titolo Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo, The Slayers è un degli anime anni novanta che più ho adorato. Con un’ambientazione fantasy tipo Dungeons & Dragons, Slayers è un mondo ipercolorato pieno di spadaccini, guerrieri magici e nemici carne da cannone. Essenzialmente la serie è una parodia: ogni personaggio è una caricatura delle classi che si vedono in un gioco di ruolo fantasy.

La protagonista è la maga Lina Inverse, che nel corso della serie formerà il classico, intramontabile party formato dal guerriero-tank Gourry (che poi in italiano divenne Guido… perché Guido lo spadaccino è un nome temibile, proprio), la chierica Amelia, e il mercenario Zelgadiss, che sarebbe più o meno una parodia della classe ranger, a quanto mi ricordo. Il quartetto si aggira per la terra uccidendo banditi, recuperando tesori e salvando di tanto in tanto il mondo da innominabili esseri malvagi. Quasi mai situazioni e personaggi sono presi sul serio e la commedia è il centro di tutto. Il che rende The Slayer una serie leggera, efficace e divertente.

 

Slam Dunk

Fra tutta la roba che passava nella seconda metà degli anni novanta, con Mtv in testa che importava anime come se non ci fosse un domani, ammetto che Slam Dunk era quello che mi attirava di meno. Il fatto è che sono pochissimi i film sportivi che mi piacciono, ancora meno gli anime sullo stesso tema. Però Slam Dunk è diverso. Volendo è un po’ come Major League – La squadra più scassata della lega con Charlie Sheen. Solo che al posto del baseball c’è il basket. La storia ruota su ‘sto schifo di squadra di pallacanestro del liceo Shohoku, il cui unico elemento di spicco è il capitano, Akagi. Questo almeno fino a quando allo Shohoku non si iscrivono Rukawa e quello che a conti fatti è il protagonista: Hanamichi Sakuragi.

La differenza tra i due personaggi è che Rukawa è un campione, mentre Sakuragi un incompetente. Che decide di entrare in squadra solo per ottenere le attenzioni di Haruko, appassionata di basket nonché sorella minore di Akagi. So che sembra banale, ma non è così scontato. Sin dai primi episodi si può capire perché sia il manga sia l’anime riscossero tutto quel successo. L’obiettivo è abbastanza chiaro: diffondere la popolarità della pallacanestro (di cui Takehiko Inoue, l’autore, è grande appassionato) in un Paese in cui questo sport era quasi inesistente. Non so quanto sia riuscito nell’obiettivo, ma sicuramente Slam Dunk colpisce per il giusto equilibrio tra dramma e commedia. Azione e narrazione.
Un’ultima cosa: le battute. Il doppiaggio italiano è magnifico, e sentire i personaggi che spesso e volentieri si danno a vicenda della baldracca, scrofa e il sempreverde bastarda da battaglia è ancora fantastico.

 

Cowboy Bebop

Ci sarebbero ancora una valanga di anime anni novanta da menzionare, ma non voglio tirarla troppo per le lunghe. Perciò, vediamo di chiudere in bellezza. Qual è il problema comune alla stragrande maggioranza delle serie, animate e non? Che a lungo andare hanno la tendenza a diventare noiose e ripetitive. Cowboy Bebop no.

La trama è ambientata in un futuro abbastanza lontano. L’umanità è in grado di spostarsi nell’universo grazie ai gate, che permettono di effettuare viaggi iperspaziali in pochissimo tempo. Solo che nel 2022 un gate sperimentale esplode nei pressi della Luna, devastandola e causando una pioggia di meteoriti che bombardano la Terra sterminando gran parte della popolazione e rendendo il pianeta inospitale. I sopravvissuti abbandonano la Terra per colonizzare nuovi mondi, come Marte e Venere. Intorno al 2100, o giù di lì, l’espansione verso nuovi mondi ha generato un nuovo tipo di criminalità alla quale è difficile mettere freno. Per far fronte alla minaccia è stato istituito un sistema di taglie come quello del vecchio West.

I protagonisti sono appunto due cacciatori di taglie, Spike e Jet, che viaggiano su una nave chiamata Bebop. La serie è composta da ventisei episodi dallo schema piuttosto classico: in ognuno c’è il “cattivo della settimana” da fermare. Ciononostante, ogni episodio è diverso dall’altro e quasi tutti ti portano a chiedere come andranno le cose. Ma il vero punto di forza di Cowboy Bebop sono i personaggi e la loro narrazione. In ogni episodio viene rivelato un pezzetto del loro passato. Non è una cosa tipo filler, con quegli episodi flashback che raccontano come erano i personaggi e capisci perché sono diventati così oggi. Solo negli ultimi episodi si viene ad avere un quadro completo della situazione.

Ogni personaggio, per la caratterizzazione o per la trama orizzontale piuttosto intrigante, dà l’impressione di essere reale. Il modo in cui le storie del loro passato si intrecciano con il presente e il modo in cui tutto finisce è impressionante. Sto cercando di sintetizzare qualcosa su cui ci sarebbe da tirarci giù un paio di pagine. Perciò fate prima se prendete gli anime e ci buttate un occhio.

 

Detto questo, credo che con il discorso degli anime anni novanta sia tutto (almeno per il momento).

Stay Tuned, ma sopratutto Stay Retro.

 

 

3 commenti

  1. Non ho capito perchè Zambot 3 dovrebbe essere un Real Robot e Daitarn 3 un Super Robot, considerato che sono entrambi opera di Yoshiyuki Tomino e costituiscono le prove generali per la grande rivoluzione del genere robotico portata dal successivo Gundam, primo autentico Real Robot.
    Cioè, o sono entrambi Real Robot (in nuce) o non lo è nessuno dei due.

    • Perché Daitarn, non ha nulla di diverso dal classico schema Super Robot. Ha una forte vena comico-demenziale e, solo alla fine, ti rendi conto dei risvolti piuttosto inquietanti della serie, a causa dell’ossessione di Banjo verso i Meganoidi. A differenza del precedente Zambot 3, in cui il perno centrale non era il robot contro il nemico della settimana. Bensì, era una vera e proprio storia di guerra: con morti, tragedie e devastazioni. Cosa poi ripresa da Tomino in Gundam.

  2. Zambot 3. ancora oggi, rimane un capisaldo dei mecha anni ’70, e sono grato alla Dynit di averlo riproposto in versione rimasterizzata e ridoppiata; sarei fin troppo contento se qualche canale tematico come Ka-boom o latri lo riproponesse!

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