2001: ODISSEA NELLO SPAZIO PER ALBERTO MORAVIA

Tornando brevemente sulla querelle innescata dalle dichiarazioni di Adriano Aprà riguardanti il cinema di genere, va ribadito come esso in passato non fosse apprezzato dalla maggior parte dei critici e degli studiosi. I quali oltretutto non facevano quasi mai distinzioni tra “alto” e “basso”. Nel senso che in vari casi erano proprio i film diretti da autori celebrati a venire attaccati più duramente. Un esempio significativo è rappresentato dalla recensione di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, scritta da Alberto Moravia per il settimanale L’Espresso del 29 dicembre 1968.
Scrisse Moravia: “Dicono che 2001. Odissea nello spazio di Stanley Kubrick sia costato sette miliardi. Di fronte a questa somma colossale, i meno di cento milioni che sono stati spesi, per esempio, per un film d’arte come I pugni in tasca di Marco Bellocchio formano un contrasto pieno di significato. Per molti, questo significato, certo, si riassumerebbe così: “Vergogna! Il buon cinema si può fare con pochi soldi! Sprechi inauditi! Arte commerciale!”. Ma crediamo che sarebbe un commento affrettato. Diciamo, invece, che I pugni in tasca sono un’opera d’arte; e il film di Kubrick, un prodotto”.

I pugni in tasca (1968)
La sensazione è che dietro la distinzione di Moravia tra film d’arte e prodotto, oltre alla considerazione sul budget miliardario di 2001 contrapposto ai pochi soldi spesi per I pugni in tasca (usciti entrambi appunto in un anno epocale, il 1968), si nasconda anche una certa diffidenza verso la fantascienza, considerato un genere minore. D’altra parte, lo ha detto George Lucas, con il film di Kubrick “era la prima volta che la fantascienza veniva presa sul serio”.
Accadde lo stesso, qualche anno dopo (nel 1973, per la precisione) con L’esorcista, di William Friedkin, che sdoganò il cinema dell’orrore, fino a quel momento ritenuto “un genere per bambini” (Anthony Timpone).

L’esorcista (1973)
La scarsa considerazione critica però restava ed era, inutile negarlo, di matrice politica. Lo spiegò in un certo senso Roman Polanski sempre nel 1968, dopo aver girato il divertissement horror Per favore non mordermi sul collo e lo splendido satanico Rosemary’s Baby: “Non credo che in Polonia avrei potuto fare dei film fantastici (…) Nei paesi socialisti la parola fantastico è divenuta una parola pungente, perché nello spirito dei dirigenti della cultura il fantastico è legato ai termini malvagio e commerciale”.

Rosemary’s Baby (1968)
Alla dichiarazione di Polanski si allineò grosso modo Dario Argento, come è possibile leggere nel libro-intervista Nuovo cinema Inferno (di Daniele Costantini e Francesco Dal Bosco, Pratiche Editrice 1997): “A pensarci adesso, mi sembra del tutto normale che i miei film fossero attaccati dai giornali di destra e di sinistra, visto che questa stampa si muoveva su un territorio strettamente ideologico, nel quale cercava di incasellare anche la cultura”.

Dario Argento
Parole significative, attraverso le quali si può leggere anche il discorso, sottilmente provocatorio, fatto da Aprà (e infatti molti si sono sentiti provocati). Poiché, oggi, al contrario, il territorio ideologico a cui si riferiva Dario Argento sembra sostanzialmente favorevole al cinema di genere, specialmente a quello che, al cinema e nelle produzioni televisivi, fa largo uso di armi da fuoco. Cosa che accade nel noir del fumettista Igort (Igor Tuveri) 5 è il numero perfetto (2019), nel quale le pistole oltretutto compaiono in molte foto promozionali.

5 è il numero perfetto (2019)
Tutti i film, compreso “I pugni in tasca”, sono prodotti industriali: la differenza è solo nel denaro investito.
Per il resto ogni film ha sceneggiatura, regia, recitazione, fotografia eccetera: tutta “roba” artistica. Quanto poi sia effettivamente artistica dipende dalla bravura singola e collettiva.
Non posso essere imparziale su Moravia, gli sarò sempre riconoscente per la sua stroncatura dei “Promessi Sposi” (che scoprii per caso proprio mentre li stavamo studiando a scuola). Quindi gli posso benissimo perdonare questo cedimento ai pregiudizi tipici della cultura italiota, che distingue sempre tutto in “alto” e “basso”, ovviamente assegnandosi l’incarico di separarli.
Però… ha ragione Pennacchioli.
Ma veramente la critica di Moravia era tutta sul budget … ma del film non ha detto niente ?
E’ come criticare un libro in edizione lusso dicendo che ci sono libri ben più importanti in economica ma se non parli del contenuto che senso ha ?
Io la seguo non perché Lei mi piaccia, anzi La trovo antipatica, ma é intelligente, e le sue opinioni – a volte troppo egocentriche – valgono la pena. Invece ho sempre avuto enormi problemi con Moravia, e il fatto che non sia riuscito ad esprimere alcuna opinione in merito al contenuto del film credo lo qualifichi.
Certo, ogni film ha sceneggiatura, regia, recitazione, fotografia eccetera. Così come ogni libro ha testo, grafica, copertina, editing eccetera. Però un conto è leggere Lem ed un’altra Asimov, per restare alla fantascienza. Quando Moravia, a torto o a ragione, criticava 2001 di Kubrik in quanto “prodotto” intendeva dire, forse, che esso era “solo” un prodotto. Ossia un’opera del tutto aderente ai luoghi comuni e stilemi del genere, senza scarti, senza capacità di rivelare qualcosa di nuovo al lettore: letteratura/cinema di mero intrattenimento, insomma, sia detto senza offesa.