VIAGGIO A CONSONNO, LA CITTÀ FANTASMA

VIAGGIO A CONSONNO, LA CITTÀ FANTASMA

Articolo pubblicato per la prima volta il 18 Giugno 2017

 

Una città fantasma è una città abbandonata. I motivi dell’abbandono possono essere diversi: la mutata economia del luogo, un’accidentale mancanza di risorse naturali, una deviazione delle vie di percorribilità, disastri ambientali o naturali, mutate condizioni politiche o espropri governativi, e altri ancora.
Alcune rinascono trasformandosi in luoghi di turismo, altre cadono sempre più nell’abbandono. Ce ne sono in tutto il mondo.
L’Italia annovera diverse città fantasma, un po’ in tutte le regioni. Tra quelle che ho visitato ricordo molto bene il bellissimo borgo medievale di Bussana Vecchia, in Liguria, nella provincia di Imperia, che fu parzialmente distrutta dal terremoto nel 1887 e poi abbandonata. Negli anni Cinquanta, in parte fu riportata in vita da una comunità di artisti che si trasferirono negli edifici meno danneggiati, ristrutturandoli, e oggi è una meta turistica dove qua e là ci sono botteghe artigiane.

Uno scorcio di Bussana Vecchia

Le città fantasma hanno un fascino sottile e silenzioso. Si sente il momento della rottura come un’eco, si vede la lenta erosione, si tocca il presente. È un viaggio nel tempo. Le voci della vita, la felicità, il dolore, le piccole cose della vita quotidiana che ci sono state risuonano ancora, cristallizzate, dietro la facciata di un presente che vorrebbe smentirle. Forse per questo sono chiamate città fantasma, perché vivono di una vita che sta appena dietro la realtà, e si rendono visibili  solo nel silenzio.

Infatti, per andare a Consonno, ho scelto un giorno infrasettimanale. Niente gitanti, bambini piangenti, auto in parcheggio, bibite volanti, chiacchiericcio inutile. Durante la settimana il borgo è felicemente chiuso da una stanga di ferro, posta all’inizio della strada di accesso, strada che si può invece percorrere in auto per arrivare al centro del paese di sabato e domenica, con tutta quella comodità che preclude i sensi non solo all’atmosfera ma anche al bello. Perché dalla stanga a Consonno, su in alto, c’è da fare un bel pezzo a piedi, in salita. La strada è sinuosa e lussureggiante, si inerpica a tornanti in mezzo a un bosco che è ancora un bosco. E non c’è nessuno, tranne pioppi e castagni, acacie e tigli, pini silvestri e tutto un brusio di animali che si agita al nostro passaggio. L’estate non è ancora cominciata e ai lati della strada c’è un tripudio di colori, cespugli di rovi pronti a dare more, piante di bardana enormi. Fusti di equiseto giganteschi, quasi non ci voglio credere! Tra gli organismi più antichi della Terra, arrivano ancora prima delle angiosperme, e sono gli unici discendenti delle piante giganti simili alle felci. Faccio una sosta di qualche secondo e un ramarro si nasconde veloce, lasciando l’impressione di un verde fosforescente acceso.

Equiseto, o coda cavallina

Consonno, una frazione di Olginate, nella provincia di Lecco, da cui si ha una bellissima vista del lago, del monte Resegone e dei paesi lagunari circostanti, fino agli anni Sessanta era un antico borgo rurale tipico del luogo.

Consonno nel 1953

Un antico cortile di Consonno, 1955

Nel 1961, il conte Mario Bagno, un eccentrico impresario edile di Vercelli che si stava arricchendo grazie al boom economico del dopoguerra, e che aveva in appalto strade e aeroporti in tutta Italia, riuscì a ottenere dall’amministrazione comunale l’approvazione per una strada che congiungesse Consonno e Olginate. I fatti che seguirono sono controversi. Ci fu un passaggio di proprietà dalle due famiglie proprietarie dell’intero territorio all’impresario e, l’anno successivo, cominciarono ad arrivare ruspe e camion per le opere di demolizione. Però sembra che il Bagno avesse assicurato che la demolizione sarebbe stata nel rispetto del borgo agricolo, nonostante le modifiche introdotte a finalità turistiche, perché l’obiettivo (diceva) era quello di creare un luogo agro-turistico. Di fatto, l’intero paese venne completamente distrutto, ad eccezione dell’antica chiesa di san Maurizio, della canonica adiacente, e del cimitero. Sembra anche con atti di forza, come la demolizione di stalle dove all’interno c’erano ancora animali o gli abitanti costretti a trasferirsi in baracche.

Nella testa di Mario Bagno, Consonno, facilmente raggiungibile da Milano, avrebbe dovuto diventare una “città dei balocchi”, anzi, la Las Vegas della Brianza.

L’impresario Mario Bagno

Una ruspa all’opera. L’immagine proviene da un filmato della Televisione svizzera

E una sorta di Las Vegas diventò, meta di personaggi che si contendevano le pagine dei rotocalchi dell’epoca come Pippo Baudo, o gruppi musicali come i Dik Dik, e molto altro del jet set nazionale.

Uno scorcio di Consonno all’epoca dei “balocchi”: il Salone delle feste. Sullo sfondo la costruzione detta del Minareto, una sorta di centro commerciale con una torre che richiama l’architettura araba

Oltre che eccentrico per le sue costruzioni improbabili con cui riedificò Consonno, Mario Bagno si rivelò anche pericoloso, facendo saltare con la dinamite una delle colline, quella antistante al cimitero, perché “disturbava” il panorama coprendo parzialmente la vista del Resegone. L’opera di smottamento delle ruspe e le modifiche forzatamente indotte ruppero l’equilibrio idrogeologico e cominciarono le frane, la prima nel 1967. Ma il conte non se ne diede per inteso e continuò nella sua opera faraonica immaginando altri progetti ambiziosi: un circuito per le auto da corsa, un enorme zoo e un luna park, che fortunatamente rimasero irrealizzati. Anche perché, con lo smottamento del 1977, cominciarono le denunce delle associazioni ambientali. E inoltre, finita la novità, la gente aveva cominciato a scemare.
Dopo una demolizione senza possibilità di ritorno e una breve vita di fasto, comincia la seconda vita di Consonno, quella di città fantasma: a poco a poco si svuotò sempre più e restò nel completo abbandono.

Consonno prima del 1976

Il Missile Bagno, sullo sfondo la torre del Minareto ancora in costruzione

Un paio di cartoline nel momento in cui la Consonno di Bagno è al suo “fulgore”.

Bagno ritentò una riqualificazione adibendo il Grand Hotel Plaza a ricovero per anziani nel 1981, ma nel 2007 la casa venne trasferita a Introbio. Ed è di pochissimo dopo il rave party che tornò a far parlare del paese. Se prima la Consonno di Bagno era in stato di abbandono, in seguito al rave fu letteralmente ricoperta di graffiti (e questo potrebbe rappresentare una forma di espressione aggiunta a un sito abbandonato), ma subì anche pesanti vandalismi.

La città dei balocchi, dopo l’abbandono, si presentava più o meno come segue.
Qui la vediamo nel 1980 dopo lo smottamento: il portone di ingresso similmedievale e una veduta del Minareto.

E ancora, dopo il 1980.

Una cartolina di Consonno, ormai città fantasma

La Pagoda

All’epoca dei fasti c’era il trenino turistico per un giro perlustrativo del borgo

Interno del Minareto

E oggi Consonno com’è?
Torniamo alla strada che si inerpica da Olginate. Il ramarro è sparito velocissimo, il sole è a picco, merli e fringuelli cantano la loro sinfonia, lassù in alto nel cielo azzurro un falco gira in cerchio. Fa caldo, però man mano che si sale l’aria porta refoli di fresco.

A darci il benvenuto è il cosiddetto “pavesino”, il Grand Hotel Plaza, portale di ingresso ad arco dentro una struttura futuristica.

Qui visto dall’altro lato.

Più avanti, uno degli slogan di benvenuto apposti su sostegni metallici, ormai seminascosto dalla vegetazione, recita: “Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo”.

Lì, da una curva, scorgo la torre del Minareto.

Ci scappa uno sguardo giù a valle, ormai siamo saliti di un bel po’ e faccio uno scatto al panorama di sotto. La giornata è afosa e poco limpida sul lago.

Un altro cartello di benvenuto: “Chi vive a Consonno campa di più”.

A uno slargo prendiamo a sinistra.

E finalmente ci appare il Minareto.

Avvicino il fuoco dell’obbiettivo…

… e mi inoltro lungo lo stradone antistante, scattando a flusso libero.

Il municipio avvisa con un cartello di non entrare negli edifici perché sono pericolanti. Ma in qualche locale entro per fotografare i graffiti, ormai non è restato nient’altro.

Pavimenti di grés colorati, spesso rotti e divelti, e saracinesche aperte o sfondate.

E proseguo ai piani di sopra.

Scendo e continuo verso la Pagoda, la discoteca e il Salone delle feste.

Fino ad arrivare al grande piazzale pavimentato di marmo in fondo al quale sorge l’antica chiesa di san Maurizio, e che si è salvato. Intorno qualcuno tiene la vegetazione a bada e l’erba è rasata.

L’antica canonica contigua alla chiesa…

… porta ancora un affresco con lo stemma dei Visconti.

Non ho saputo resistere e sbircio da una fessura della porta dalle assi un po’ sconnesse. Di là pare si apra un giardino meraviglioso.

Al ritorno passo su un altro lato della vecchia discoteca ed entro sulla pista.

Una delle ultime foto è per il ponte. Tra la vegetazione che ormai lo sommerge, vedo una coccinella.

Sulla strada del ritorno, stavolta in discesa, a poco a poco le voci mi si scrollano di dosso. Più in fondo, riparata da un tornante, c’è una fontanella ad acqua continua. L’acqua freschissima finisce di lavare tutto.

Il nuovo sta morendo sempre più, i graffitari lo hanno rivendicato e la natura se lo sta riprendendo. L’antico è ancora lì, intatto, con le sue due ultime vestigia.

Un altro degli slogan di benvenuto: “A Consonno è sempre festa”, oggi

“A Consonno è sempre festa”, ieri.

“A Consonno è sempre festa” dice un altro vecchio slogan di benvenuto lungo la strada di accesso ormai lontana.
E in qualche modo è ancora vero.
L’associazione “Amici di Consonno”, fondata dagli ex abitanti e dai loro figli, organizza feste tipiche periodiche, come la sagra di san Maurizio e la Burollata. Nel bel portale intitolato all’antico borgo, tante immagini, video, notizie, storia.

La Burollata

 

 

 

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4 commenti

  1. Bellissimo reportage

  2. Di un vero e proprio viaggio nel tempo, e direi anche nella poesia del luogo, si è trattato. Lo sguardo si attarda sulle bellezze naturali che descrivi e documenti con vari scatti, e si rimane incuriositi dalle varie opere che, nonostante appaiano fuori luogo e testimoniano la stupidità umana, hanno una loro intrinseca bellezza. E poi c’è l’acqua che lava tutto, come tutto sbiadiscono e nascondono lo scorrere del tempo e il ritorno della vegetazione.

    • Non mi pare sia intelligenza umana chiudere la strada per oltre trent’anni, causando il degrado che tuttora vediamo. Specie negli anni del boom, fare che si balli dove si zappava può essere da benefattore.
      Invece di ricostruire a tavolino oggi un borgo agricolo di ieri, reinterpretiamo le architetture orientaleggianti da esotismo a multiculturalismo. E il Pavesino potrebbe diventare un museo del boom

  3. Antonio, Lino, mi fa felice che vi sia piaciuto. Grazie!

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