TRASCURANDO TEX LA BONELLI PERDE CREDIBILITÀ

TRASCURANDO TEX LA BONELLI PERDE CREDIBILITÀ

Qui parleremo dell’episodio diviso in due parti intitolate Il ritorno di Lupe e La prigioniera del deserto, uscito su Tex mensile n. 682 e 683 di agosto e settembre 2017, per cominciare un discorso più ampio non solo sulle storie di questi e altri albi ma sullo stato della casa editrice Serio Bonelli Editore (Sbe).

Il personaggio femminile di Lupe Velasco compare per la prima volta nei numeri 6 e 7 della serie oggi regolare: Doppio gioco e Il patto di sangue, pubblicati in questo formato nel settembre e ottobre 1959 e risalenti, nella iniziale edizione a striscia, a nove anni prima.
Non è detto che tutti i veterani tra i lettori delle avventure di Tex, tra i quali certamente mi colloco, se la ricordino.


Pur avendola certamente conosciuta nella versione censurata che circolava negli anni Sessanta (quando, verso i sei-sette anni, ero passato dal candore fulgido e ingenuo di Capitan Miki e Il grande Blek alle vicende più realistiche e compromettenti del fatidico ranger) ho poi potuto ritrovarla in quella, depurata dalle censure della “garanzia morale”, nelle ristampe e riedizioni uscite dagli anni Ottanta in poi.
Eppure ho dovuto ricorrere alla riedizione a colori di qualche anno fa per ricordarmi quando e come Lupe abbia intersecato le piste del nostro ranger.
Mi perdonino coloro che, invece, ne avevano un ammirevole culto.
Era quello il tempo in cui le storie di Tex erano piene di donne affascinanti dalle scollature vertiginose, i seni turgidi che palpitavano sotto un vestiario appositamente ristretto, le scosciature conturbanti e accentuate, tutte ispirate alle dive di Hollywood (a cui Galep aggiungeva qualche misura di più) come Thesa, Estrella Miranda, Marie Gold, Cora Gray e altre ancora.

Lupe di Galep tra censure e rattoppi delle diverse edizioni, nel testo e nei disegni

 

A queste memorabili creature, apparse quando la fisionomia e la personalità del nostro eroe erano ben lontane dall’essere scolpite in una tradizione che nel 2018 compirà settant’anni, spettava il compito di perfezionare l’accalappiamento dei lettori più adolescenti, affascinati dalle trame di frontiera ma in lotta soprattutto con l’acne giovanile.

L’apparizione di Lupe nella prima edizione di Tex del 16 giugno 1950, naturalmente in formato striscia

 

Fino a ora Lupe Velasco, con i suoi occhioni tropicali e il vestiario più contenuto, non è stata per me che una di queste tante femmine stuzzicanti, anche per il bambino che ero.

Sempre la Lupe di Galep, nella recente versione “colorizzata”

 

Lupe è presente nella seconda escursione messicana di Tex in soccorso di Montales, il quale, dopo aver liberato il Messico dalla dittatura che ha causato la guerra con gli Stati Uniti, è di nuovo alle prese con un’altra guerra civile che oppone popolo e guerriglieri ad esercito e politicanti.
Questa volta, nonostante siano passati pochi anni, le divise si sono ammodernate, nelle stazioni di polizia c’è persino il telefono e non mancano le mitragliatrici e le machinenpistol, ma l’impeto di Tex, che non ha ancora adottato stabilmente la perenne camicia gialla, è sempre lo stesso: severo e implacabile con i nemici della libertà e della giustizia.


Me ne accorgo ora: la caratteristica di Lupe, che la distanzia un poco dalle conturbanti bellezze arrivate prima, è di essere una guerrigliera. Una giovane e dinamica combattente che non si fa scrupolo, a pace ristabilita, di proporre all’americano di sposarla e rimanere con lei.


Tex che è ancora troppo giovane per mettere i remi in barca, non deve scegliere tra il matrimonio e il palo della tortura come accadrà con Lilyth, quindi scappa in fretta e furia da questa impavida fanciulla con la quale c’è stato certamente qualcosa.
Mi attengo alla caratterizzazione di Tex più volte esplicata da Bonelli padre e figlio, secondo la quale lui, come i suoi pard distribuiti dalle mese infuocate del Messico agli altipiani innevati del Canada, non è un misogino e con le donne ci va, ma, per il rispetto vittoriano che deve a se stesso e i lettori devono a lui, solo “fuori scena”. Quindi non credo si distacchi da Lupe per ginecofobia, ma solo perché il suo destino non è ancora stato deciso dagli autori.

Se qualche osservazione si può fare, circa questi primi canovacci ispirati più al cinema che ai libri, è l’assoluta mancanza di pertinenza storica.
A parte l’accumularsi disordinato di costumi, oggettistica e armamentario, con la presenza di figure veramente esistite appartenenti ad epoche diverse, anche gli avvenimenti della storia americana sono giostrati con la trascuratezza che si deve ad un personaggio che nessuno sa ancora quanto resisterà in edicola e che solo con il protrarsi del suo lunghissimo destino, avranno bisogno, quando Sergio Bonelli prenderà in pugno la collana tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta, di essere ricondotti a una cronologia realistica.
L’abilità e l’innovativa concretezza del disegno di Galep, il linguaggio spiccio e colorito inventato da Gian Luigi Bonelli, bastano, allora, a mettere in secondo piano tutto questo.

Nel caso della storia in cui conosciamo Lupe e riappare Montales, in un territorio bellico più simile a quello della rivoluzione del 1910 che al conflitto messicano in precedenza raccontato (evidentemente riferito alla guerra del 1846-48 anche se i coloristi hanno erroneamente dipinto di marrone le divise, ancora di taglio napoleonico, che erano state pensate come blu: Sergio Bonelli dixit) non ci si cura che ci si trovi addirittura in due secoli diversi.

Nella prima volta ci si riferisce al film classico Vera Cruz (1954) con Gary Cooper e Burt Lancaster e all’oggi ingiustamente dimenticato Juarez il conquistatore del Messico (1939) con Paul Muni e Bette Davis. Nella seconda si nota il richiamo all’allora ancora famosissimo Viva Villa (1934) con Wallace Beery, ma soprattutto ad alcune produzioni a colori di grande richiamo negli anni Cinquanta come Il tesoro di Pancho Villa (1955) con Rory Calhoun, Gilbert Roland e la formosa Shelley Winters nel fiore della giovinezza pettoruta; Bandido (1956) con Robert Mitchum, ancora Roland e la statuaria e un po’ altezzosa Ursula Thiess.

Locandina americana de “Le ali del falco”

 

Soprattutto Le ali del falco (1953) dove Van Heflin si giostra, in mezzo ai rivoluzionari antiporfiristi, con ben due bellezze dalle forme morbide ed eccitanti quanto idealiste e bellicose nello spirito: una Julia Adams in pantaloni attillatissimi (l’anno dopo sarà pronta a finire, in un memorabile costume da bagno, tra le squame di Il mostro della laguna nera) ed Abbe Lane (già signora Cugat, sul punto di solcare l’Atlantico per ballare il cha cha cha nei varietà televisivi nostrani del sabato sera) con le stesse fenditure tra i davanzali e le gonne pronte ad aprirsi sulle gambe appetitose, che sono quanto di più simile Galep abbia potuto immaginare per la raffigurazione di Lupe.

Tanto che escluderei, com’è stato fatto, un riferimento, anche visivo, se non per il nome, a Lupe Velez, stupenda attrice, cantante e ballerina di San Luis Potosì, che sfondò a Hollywood fin dagli anni Venti e fu uno dei simboli dell’idea di folclorica fiera equatoriale che il cinema dell’epoca trasmetteva del Messico.
Dopo una carriera variegata e senza freni, la sera del 13 dicembre 1944, Lupe Velez radunò alcune amiche nella sua villa spropositata a Beverly Hills e, dopo cena, si autosomministrò sessantasette pastiglie di Seconal morendo suicida a trentasei anni.


Lupe Velez era ben conosciuta in Italia, la sua immagine era nota prima che il fascismo bloccasse la produzione angloamericana a causa della guerra.
Il suo fisico accattivante, e i suoi occhi ora dolcissimi e ora intriganti, sembravano modellati sui desideri inappagati dell’uomo medio di ogni continente.

La troviamo certamente tra le tante conoscenze femminili del giovane Tex, soprattutto quando Tesah (personaggio che, comparendo in diverse storie, fornisce a Galep diverse opportunità di matite erotiche) indossa il sombrero su un vestito improbabile quanto smandrappato nel n° 2 (Uno contro venti, del 1 dicembre 1958) della serie “gigante” ma, in primis, nell’albo a strisce La morte nell’ombra di nove anni prima (recentemente ripubblicato nel Classic Tex n° 5 del maggio di quest’anno).


Riguardo la bizzarra collocazione temporale di Montales, e di conseguenza Lupe Velasco, faccio presente che la citata guerra con il Messico non fu causata, come appare fin dagli albi n° 3 e 4 (Fuorilegge e L’eroe del Messico del febbraio e aprile 1959, ripubblicati recentemente in Classic Tex n° 6, 7, 8 e 9 dal maggio al luglio scorsi; risalenti al formato striscia dall’albo Attacco a Santa Fe dove inizia una vicenda edita, per la prima volta, in più di un anno: dall’aprile 1949 al giugno del 1950) da un’improvvisa invasione dell’esercito di Antonio Lopez De Santa Anna (esponente del Partito liberale che a singhiozzo fu eletto presidente per otto volte tra il 1833 e il 1855), figura che il cinema e la tv statunitense hanno sempre ridotto ad un volgare cialtrone mentre, pur essendo una figura discutibile, era anche un personaggio basilare della nascita e prima evoluzione della Repubblica messicana nata nel 1824.

Il Texas era uno Stato della federazione messicana rimasto quasi inesplorato solo nel nord-est, destinato al pascolo delle mandrie (confinante con gli odierni stati dell’Arkansas e della Louisiana), e nel nord-ovest (confinante oggi con l’Oklahoma) considerato territorio degli indiani comanche. Nel 1936 era stato conquistato dai coloni degli Stati Uniti, i quali, cacciata la popolazione ispanica sulle rive del Rio Grande, avevano ristabilito lo schiavismo, che Santa Anna aveva abolito, e cercavano la conquista dei territori a ovest per aprirsi la strada verso la California (ancora messicana) e quindi l’oceano Pacifico.

Annessa ufficialmente la Repubblica del Texas agli Usa nel 1845, il presidente Polk, esponente dell’ala espansionista e del “destino manifesto” (per cui gli Usa erano destinati a guidare l’intero continente americano), aveva cercato, in più fasi, di causare incidenti con il Messico.
Ottenne ciò che voleva nel 1846 facendo costruire un forte in zona messicana, per cui il presidente allora in carica (il conservatore Valentin Coralizo) fu costretto a inviare la cavalleria per presidiare i confini.
Vi furono scontri e scaramucce di scarsa entità, ma ciò bastò poiché l’esercito americano, guidato dal futuro presidente Zachary Taylor, iniziasse l’invasione programmata.

L’ala whigs (liberal-democratica) del Congresso contestò il casus belli e lo stesso Abramo Lincoln, allora deputato di quella fazione, presentò una polemica richiesta a Polk di quanto sangue statunitense fosse stato effettivamente versato per giustificare una palese violazione della libertà nazionale del Messico.
Ma la fazione espansionista l’ebbe vinta, basandosi anche su una campagna d’odio anticattolica creata appositamente dalla massoneria antipapista la quale fingeva di ignorare che anche Coralizo e Santa Anna (nominato comandante in capo dell’esercito) erano anch’essi massoni anticlericali, ispirati dalle componenti risorgimentali italiane e francesi dell’associazione iniziatica a cui non era estraneo Giuseppe Garibaldi.
La guerra fu combattuta e vinta dalle truppe guidate dai generali Stephen Kearney e Winfield Scott; conclusa ufficialmente dal presidente messicano Mariano Arista con il trattato di Guadalupe Hidalgo (1948) che attribuì agli Usa una zona immensa corrispondente, escludendo una parte della California dove si era svolto un conflitto parallelo, agli attuali Nevada, Utah, Colorado, Arizona e New Mexico.

Quindi non accadde nulla di quanto raccontato nelle storie con Tex e in tanti film per il cinema o la televisione, tra i quali l’unico a fornire un quadro parzialmente obiettivo della situazione è il semirecente Texas (1994), uno sceneggiato in tre puntate tratto dall’omonimo e voluminoso testo di James Michener del 1985, edito anche in Italia da Bompiani, mentre la miniserie è uscita da noi solo in vhs.

Insomma, il nostro giovane Tex non solo combatte al fianco di Montales in una rivoluzione interna al Messico che nell’Ottocento non ci fu ma, nell’episodio in cui appare Lupe Velasco, partecipa, senza saperlo, contro un’altra prevaricazione americana quando, nel 1917 (settant’anni dopo gli eventi di due albi prima !), il presidente Wilson inviò nel paese il generale Pershing ad appoggiare il suo collega golpista Victoriano Huerta. Pershing penetrò con i suoi marines dal confine con lo stato del Chihuahua al porto atlantico di Vera Cruz, anche se gli americani liberal parteggiavano per i ribelli di Pancho Villa, Venustiano Carranza ed Emiliano Zapata.

Tutto questo ammettendo che gli autori della due storie non fossero a conoscenza delle ribellioni accadute in Messico tra il 1876 e il 1879, sollevazioni senza sostegno popolare condotte prevalentemente da altri golpisti militari, contro il regime di Porfirio Diaz, il quale, ex assistente del presidente Benito Juarez nella sollevazione contro l’invasione francese (1863-1867), ed ex liberal-democratico, non divenne stabilmente presidente e dittatore, appunto dal 1876 al 1911.

Stando a questa opinabile versione, Montales, governatore del Chihuahua, sarebbe un funzionario del tragico personaggio che con la sua tirannia causò una rivoluzione che durò dieci anni con circa un milione di morti solo tra i combattenti secondo una stima approssimativa del 1920.
Ma il personaggio non si presterebbe mai a questa interpretazione. Non a caso è spesso al centro di intrighi e complotti di politicanti corrotti che intendono eliminarlo perché è un uomo giusto che vuol veramente cambiare in meglio il suo Paese.
Montales è un “buono”, sta dalla parte dei “buoni” e condivide il senso della giustizia di Tex. Ciò non si discute.

Per quanto la mia ormai lunga esperienza di appassionato e poi di storico del fumetto mi induca a supporre il contrario, è possibile che tutte queste mie osservazioni non garbino a chi esclude che il western sia la narrazione non esclusivamente leggendaria di eventi storici.
Su questi la rivoluzione messicana si è inserita, pur non avendo nulla a che vedere con lo spirito della frontiera, come prolungamento, spesso finale, dell’epoca dei pistoleri e degli sceriffi, delle guerre indiane e dei giustizieri con la colt al fianco.
Ma, come si vedrà, un nesso c’è sempre, anche negli albi di Tex.

Dapprima, grazie al restyling storico cominciato da Sergio Bonelli con Tra due bandiere (n° 113 del luglio 1973, pur firmato ufficialmente dal padre) in cui, pur compiendo un’ellissi forzosa (per cui Tex si ritrova ad aver combattuto due volte la guerra civile del 1861-1865 a cui aveva già partecipato partendo da Gli sciacalli del Kansas, n° 17 del settembre 1961, proseguendo fino a L’enigma del feticcio nel n° 24 del luglio 1962, quando si scontra con un improbabile Quantrell, cioè W.C. Quantrill, il feroce guerrigliero sudista che proseguì la guerra da solo) l’ editore-autore inizia a sistematizzare le avventure di mister Willer in un contesto più documentabile (anche se inizialmente era solo alla ricerca di una trama più innovativa del solito, Sergio Bonelli dixit) che, con il recente “texone” Il magnifico fuorilegge (vedi qui il mio articolo Tex sulle piste di se stesso pubblicato il 29 giugno 2017) Mauro Boselli e Stefano Andreucci hanno ripreso felicemente con l’esplorare una più consapevole e poetica giovinezza di Tex.

Questa esplorazione continuerà, con lo stesso sceneggiatore e disegnatore, con Il vendicatore (n° 6 della raccolta Tex/Romanzi a fumetti che uscirà il 16 settembre) ed è già proseguita, come abbiamo detto, con gli albi n° 682 e 683 della serie regolare Il ritorno di Lupe e La prigioniera del deserto (testo sempre di Boselli e disegni di Alessandro Piccinelli), mentre chi vorrà leggere la prima storia con Lupe Velasco dovrà attendere gli albi n° 16 e 17 della collana Classic Tex in uscita quindicinale anch’essa nello stesso mese in corso.

Quindi, forse, il mio sforzo analitico non sarà del tutto trascurato e contribuirà a non convalidare la dichiarazione, in qualche modo “ufficiale” fatta qualche anno dopo Tra due bandiere (e le numerosissime lettere di protesta giunte in redazione a testimonianza che la memoria dei lettori era inflessibile più di quella dello sceneggiatore), e quindi riportata dal lodevole Tex Willer forum ancora nel 2008, dove si affermava, con amore filiale, che “la storia fu scritta da Gian Luigi Bonelli in un momento in cui si era dimenticato che Tex aveva già partecipato alla guerra. Di questo errore si accorse solo a metà stesura, cioè troppo tardi dato che la storia era già graficamente in lavorazione, per cui si proseguì”.

In realtà, come ebbe a dichiarare a me personalmente Sergio Bonelli nel 1998, alla necessità di variare l’episodica si aggiunse presto, da parte sua, la consapevolezza di volere dare alle vicende una più logica relazione con la storia del west che, poco conosciuta nel dopoguerra, era ormai notoria grazie ai numerosi testi storici, divulgativi e critici, apparsi, anche in edizioni popolarissime dalla fine degli anni Sessanta ad oggi, di cui fu sempre un divoratore instancabile.


A mio parere la vicenda (che chiameremo per comodità solo Il ritorno di Lupe) non è, come quella lirica e trascinante disegnata da Andreucci, una delle migliori fatiche di Mauro Boselli, autore instancabile ma, spesso, poco soggetto ad autosorveglianza e, soprattutto, privo o privato di un definitivo controllo redazionale che, in molti casi, si è rivelato e si rivela indispensabile.
Non si capisce perché, come anche il più banale dei romanzi debba godere del controllo di editor che ne vigilano la continuity e le corrispondenze cronologiche con magari meno pertinenza e utilità, ciò non debba accadere in quella che, pur nell’innegabile crisi che sta attraversando, è pur sempre la più grande e rinomata casa editrice italiana di fumetti dove la Storia è spesso ospite di riguardo.

Ammetto che la prima parte, quella in cui Luz, la figlia di Lupe, compare a Kit e Hokee dopo il suo travagliato e lunghissimo viaggio nel deserto, e quindi Tex ne fa la conoscenza, è molto buona e sentita.


Si capisce e si ammira come l’animo del ranger, notando immediatamente la somiglianza, si ritrovi nella memoria di uomo maturo i ricordi dell’ardita giovinezza, di una ragazza che lo aveva avvinto, stando a una cronologia logica circa trent’anni prima, e, stando all’implacabile scandire degli anni editoriali, ben sessantotto anni e seicentosessantasei albi prima.


Alessandro Piccinelli, più abile nei primi piani che nelle scene di gruppo, conferisce al silenzioso o pensieroso volto di Tex (soprattutto nella 2° vignetta di pag. 12, la 1° di pag. 21, la 3° di pag. 22 e la prima parte della 3° di pag. 24) un atteggiamento di nostalgia che, per lui, dev’essere struggente e dolorosa.
Ma poi, da pagina 25, in cui l’avventura giovanile con Lupe è rievocata in otto baloon troppo compressi in un solo riquadro di 13,5 x 19 cm, che si cominciano a conferire alla trama tutte le contorsioni tra passato e presente che il disegno, non sempre azzeccato, contribuisce ad accrescere anziché riportare all’atmosfera melanconica ma autentica delle prime pagine.

A mio parere la ricomparsa di Lupe sarebbe potuta essere trattata con un minor complicato intrico di sottostorie tra passato e presente, specie se si considera come, in molti punti, distinguere la figlia dalla madre sia praticamente impossibile.

E troppi personaggi si avvicendano in una trama che si sarebbe tranquillamente potuta esporre in questo modo: “Tex viene a sapere dalla figlia che Lupe è in pericolo, corre in Messico, combatte con chi la tiene prigioniera, i due rievocano con tenerezza il passato e lui, ormai preso da troppe responsabilità come uomo di legge e capo dei navajos, deve lasciarla, non senza sentirsi bruciare il cuore, nel Messico dove l’incontrò, e probabilmente si amarono, tanti anni prima” .

Invece Lupe appare prima in un flash back in cui si racconta l’incontro, avvenuto dopo la morte di Lilith, tra Tex e il suo vecchio compagno di guerriglia Tomas che gli rivela come gli anni di lotta contro la dittatura (quale?) siano stati inutili poiché i latifondisti e i signorotti hanno finito per mantenere un iniquo potere su un popolo sempre più povero e disilluso.
Poi compare Drigo che, come Tomas, ha il viso troppo anonimo (e tracciato, a mio parere, con dubbia inventiva), il quale, per essere il marito di Lupe, appare opaco e dall’esigua personalità.
È vero che è ferito a morte, ma non credo che il suo aspetto sarebbe stato diverso se fosse apparso in piena forma.

Il flash back prosegue con il secondo incontro con Lupe, dove tutta la nostalgica passione delle prime inquadrature si dissolve in uno scontro a fuoco in cui i due non rivelano nulla della natura dei loro primari rapporti e solo a pag. 61, quando Tex e la donna cavalcano insieme e lui le racconta di Lilyth (“Era bellissima. Capelli neri e lucidi come il piumaggio di un corvo. Aveva gli occhi dai riflessi verdi, un colore non frequente ma neppure del tutto insolito tra i navajos delle terre alte…”) non c’è un briciolo di partecipazione emotiva da parte di lei che si possa notare.
Anzi, si mette, come una brava massaia e madre di famiglia (quando Tex conclude che, in quel tempo si teneva lontano dalla nazione indiana, dove Kit era un bambino, perché tutto gli ricordava la moglie scomparsa) a dire banalità che stonano con i fascinosi e seducenti primi piani che Piccinelli le dedica, tipo “I figli sono importanti. E noi lo siamo per loro. Promettimi che, quando avremo liberato i miei bambini, tornerai subito dal tuo Kit!”.

È vero che Lux e il fratello Ruben sono prigionieri e in mezzo alle montagne. Ma tutto si svolge in un sentiero roccioso visto e rivisto dove la scarsa ampiezza del cielo (che in certi casi ha il valore di amplificare la sensibilità di chi cavalca sotto le stelle) non valorizza il legame tra il ranger e la rivoluzionaria.

I cattivi hanno le solite risapute facce da galera e la comparsa di un altro personaggio (il vecchio e crudele capitan Inigo) accresce la ripetitività e la confusione della vicenda, dove Tex si lascia più volte prendere alle spalle e così crederà, in quell’occasione, di non avere impedito la morte di Lupe.

Forse Boselli, sapendosi costretto alla ristrettezza di due solo albi (per quanto la maggiore riuscita di quest’anno sia stata quella di Jethro e Gli incappucciati del klan, n° 678 e 679, dove, pur nello stesso limite di 198 pagine, se l’era cavata egregiamente e tinteggiando argutamente di attualità una storia di per se molto sentita) ha preferito dividerli in due diversi spezzoni dato che il n° 682 termina con una pausa nel racconto e il 683 riprende con un ulteriore flash back, in cui Luz rivela che la madre è viva e prigioniera, e seguono il perché e il percome troppo dialogato e spiegato.

Lupe e Tex, disegno inedito di Piccinelli

 

Sta di fatto che il perché e il percome si snodano in episodi di cui non è semplicissimo seguire la prosecuzione, conchiusi come sono in altri flash back scoordinati. Vediamoli uno a uno.

1 – I figli che vivono con lo zio Fernando e ricevono la visita della misteriosa signora velata in carrozza, tocco alla feuilleton ottocentesco del tutto gratuito visto che chiunque può capire che la donna non è altri che Lupe stessa.

2 – Lupe, anni prima, ferita e svenuta dopo lo scontro con don Inigo, viene soccorsa da un giovane montanaro dall’identità misteriosa e dal desiderio di vendetta che, non appena si taglia la barba e si cambia d’abito, comprendiamo immediatamente essere Ricardo, il figlio del crudele latifondista don Victor De La Serna che però è morto (perché fuori campo quando l’odio del pargolo ha promesso uno scontro edipico di attesa drammaticità ?) e quindi l’erede può sposare la ragazza, prendere con sé i figli, e auspicare una vita migliore per loro e i suoi sottoposti al rancio di Agua Negra.

3 – Nei propositi del delfino di tanta prole si inseriscono le cattive ispirazioni del soprastante Rodrigo per cui Ricardo, con una sveltezza rocambolesca, finisce con il diventare tale e quale al padre, a cui forse ha sempre assomigliato finché questi non gli ha ucciso l’amante meticcia.
Educa Ruben a diventare come lui e, quando Lupe diviene consapevole del suo rinnovato e perfido stato sociale, la fa incarcerare per venderla come schiava.

4 – Altro tempo dopo, come già sappiamo avvertito da Lux, finalmente arriva Tex con i suoi pard e qui s’intesse una serie di rapporti ambigui e poco chiari (soprattutto poco chiari al comune lettore) con Ricardo, Rodrigo e Garcia, il solito vaquero brutale e antipatico che rompe le scatole a tutti senza che se ne senta la necessità all’interno del racconto.

Sembra di essere tornati, con questo personaggio di Garcia, per altro raffigurato ai limiti della scontata caricatura di se stesso, agli eterni crudeloni del western cinematografico degli anni cinquanta, interpretati infallibilmente da Leo Gordon, Neville Brand, John Archer, e i non ancora affermati Lee Van Cleef, Rod Steiger, Lee Marvin ed Ernest Borgnine.
Una volta che Boselli aveva l’occasione (lui che delle citazioni visive e raccontate è un cultore espertissimo e spesso fin troppo, di suggerire il rifarsi a quei volti) ha preferito l’anonimità scontatissima che domina, nei tratteggi qui non certo inventivi di Piccinelli, tra i dipendenti di Ricardo che, tranne Rodrigo, si assomigliano tutti al punto di confondere chi legge.

5 – Tex riesce a liberare Lupe, i due si incontrano di nuovo e Ricardo, con i favoriti divenuti bianchi, finalmente capisce di essere stato un malvagio e poi muore. Non si capisce bene se per il provvidenziale arrivo dei guerriglieri di Fernando o colpito dai suoi stessi uomini guidati da Rodrigo.
Pure Ruben da giovincello irretito ritorna un buon ragazzo tutta casa e famiglia.
Forse, sulla Sierra, c’è un’aria speciale che cambia la psicologia dei personaggi con la velocità di Speedy Gonzales.

Anche questa volta il tardivo (e ben poco credibile) pentimento del ricco allevatore (ladro di terre, commerciante di schiave, infame con i suoi peone) sottrae Tex da una battaglia che, come era stata prospettata, era anche una battaglia di classi.

Il nuovo addio tra Tex e Lupe, che sono ora vedovi tutti e due, avviene, come sempre capita nelle storie in due soli albi –  ma qui con accentuata superficialità – nella sola ultima pagina, dove i due si parlano come genitori al consiglio scolastico e poi Tex, Carson, Tiger e Kit, ripartono senza che la matita riveli un minimo di commozione dopo tutto un intrico dominato dal desiderio, implicito fin dalla prima inquadratura di Lux e nella copertina di Claudio Villa, di un incontro fatto di delicato rammarico e sentimentale riscontro con l’implacabilità della memoria.

Speriamo che, nel breve periodo che Tex trascorre ad Agua Negra per rifocillarsi dopo risse e sparatorie; fuori scena come sempre, sia andato, di notte, nella camera dell’ancora seducente Lupe la quale, rispecchiata opportunamente nella somiglianza con Lux, non ha perso un minimo della sua primordiale sensualità.

Ovviamente lo stesso speriamo per Kit che, con Lux, potrebbe avere fatto la stessa cosa.

Insomma, questo Ritorno di Lupe se, nel primo albo, aveva promesso molto, nel secondo ha deluso e riportato questo gomitolo di fili passati e presenti, a una troppo consueta ripetitività.


In ultimo, possiamo notare un altro aspetto che consideriamo tutt’altro che trascinante.
Come avevamo già visto per Il magnifico fuorilegge, sceneggiatore e disegnatore evitano di ricorrere ai pittoreschi vestiari della prima metà dell’Ottocento dove, a rigor di logica, si svolge la giovinezza di Tex che, nel citato Tex Willer forum, Carlo Monni riporta in ben due cronologie: una, definita bonelliana e quindi costruita su quanto è effettivamente accaduto a livello editoriale, per cui Tex dovrebbe essere nato addirittura negli anni Venti del XIX secolo e un’altra, che non segue l’ordine degli albi ma attinge ora a uno ed ora a un altro, definita giustamente non ufficiale, dove lo fa venire al mondo tra il 1838 e il 1843. Soluzione più logica e che coincide con la mia visione della saga.

Ma io non pretendo tanta precisione, però un po’ di coerenza sì per quanto, come ho scritto in Tex sulle piste di se stesso, in quell’occasione la mancanza di rigore costumistico è ampiamente compensata da una tensione narrativa che le armi a ripetizione, e altri elementi inesistenti nel west primordiale, aiutano a completare una storia tra le più liriche e partecipi siano mai andate alle stampe nella pur quasi settantennale saga texiana.

Qui invece Piccinelli non sembra nemmeno curarsi della particolarità per cui la seconda parte si svolge in Messico dove i cowboys, che lì si chiamerebbero vaqueros, vestono molto diversamente che negli Stati Uniti.
E anche Ricardo, con quell’impersonale vestito da damerino bostoniano che indossa, avrebbe dovuto usare un guardaroba ben più caratteristico.

Proprio per questo, pur in tempi in cui la fatica di disegnare era segnata da un impegno faticoso e senza tregua, Galep, nel raffigurare il territorio messicano e i suoi abitanti, s’era ispirato anche al passionale contesto poetico e drammatico delle opere di Emilio Fernandez il quale, negli anni Quaranta e Cinquanta, dominò l’età d’oro del cinema messicano con pellicole allora famose anche in Italia come Messico insanguinato, La vergine indiana, Enamorada, Feudalismo messicano e tanti altri titoli realizzati tutti tra il 1942 e il 1952 in una carriera che il regista, detto l’Indio, bruciò in soli dieci anni.

E poi, all’inventore grafico di Tex come a Letteri e ad altri suoi successori, sarebbe bastato dare un’occhiata ai citati film ambientati nel Messico ottocentesco, o a tanti altri che oggi compaiono in tv o in dvd con la stessa frequenza, ai bei tempi, delle riedizioni del lunedì nei cinematografi di tutta la penisola.

Tex e Lupe, disegno inedito di Piccinelli

 

La mancanza di questa precisione, di un po’ di minuziosità che non si risolve con qualche sombrero e qualche frangia ai pantaloni, notiamo, per l’ennesima volta, la mancanza, alla Sergio Bonelli Editore, di una concreta e completa organizzazione editoriale che esige una casa così importante per il sostentamento del fumetto in Italia.
Non serve a nulla mettersi a vendere tazze e magliette, o partecipare alla produzione di un film in un momento di assoluto disinteresse dello spettatore nei confronti del cinema italiano, se poi si toppa in frangenti abituali e ben più facili da risolvere, cose che, nella loro semplicità, bastano ad appagare il leale lettore osservante e devoto.

Ammesso che, se si è usufruito di sovvenzioni nazionali o locali, la restituzione dei prestiti può essere ritardata di molto, addentrarsi oggi nella realizzazione di una pellicola come Monolith (comunque si giudichi il suo valore produttivo e artistico) non è come sbagliare una collana, cosa che poi, in questi ultimi anni, capita di frequente alla Sbe.
Le perdite, in un modo o nell’altro, possono essere molto, ma molto più fallimentari.

E le perdite di credibilità e fiducia presso i lettori che fedelmente acquistano tutte le edizioni di Tex ?
Le tante, troppe, collane tradizionali e quelle nuove, stravolte o lanciate con una sventatezza editoriale mal riposta quanto la speranza di afferrare un pubblico giovane che rifugge ormai dalla familiarità col fumetto ?
Queste come si saldano?
Come la cambiale in banco che i fedeli cultori hanno rilasciato comunque a Il ritorno di Lupe?
Fine

 

11 commenti

  1. sono due anni che non compro più Tex,con mio grande dispiacere. Le storie sono davvero poco intriganti e i disegni scarsi. Lo dico con grande dolore. come avessi perso un amico….

  2. Analisi impeccabile. Il ritorno di Lupe: confuso e deludente.

  3. Mah, sinceramente, detto in estremissima sintesi, a me non sembra che si possa imputare alla Bonelli di trascurare Tex. Ci possono essere stati alcuni episodi non particolarmente riusciti delle varie collane texiane, ma in linea generale mi pare che il “prodotto Tex” sia quello più curato in assoluto e anzi con alcuni ottimi racconti. Certo la serialità e l’abbondanza delle storie riguardanti il ranger ovviamente ne può condizionare la qualità, si tratta di un rischio connesso. Quanto agli altri versanti di investimento da parte della casa editrice, direi che stanno cercando di individuare, fra molte strade imboccate, quelle migliori. Questo comporta di solito molti fallimenti e pochi successi, e ancora di più molte critiche, specie al giorno d’oggi. Molti criticano Bonelli per molti aspetti, spesso con argomenti e con ragioni legittime e giustificate, e come in questo caso, anche assai competenti. Però non si può certo imputare alla casa editrice di dormire sugli allori o di lavorare solo sulla conservazione di ciò che funziona. Sono tempi in cui criticare e basta va molto di moda ed è anche abbastanza facile. Fare è molto più complicato. Provare per credere.

  4. Non mi sembra affatto che la Bonelli trascuri Tex, anzi. In nessun caso. Anche perché se nelle storie è da solo ci si lamenta che non ci sono i pards, quando è con i pards si vuole più Kit Willer e quando c’è Kit ci si lamenta per altre cose. Tex è Tex. Se il discorso di trascurare Tex invece si riferisce alla testata, mi pare che stiano uscendo parecchi numeri anche fuori serie o cartonati. Nessuno afferma che sia tutto perfetto ma a mio parere Tex resta il miglior prodotto del panorama italiano. E che prodotto.
    E se tutti i texiani si unissero e si mettessero a sostenere invece che criticare, che ne pensate?
    PS: occhio, che i numeri in cui compare Lupe sono 6 e 7. I titoli li avete detto giusti, ma i numeri no.

  5. Condivido in larga parte questa recensione. Sebbene Lupe fino ad ora sia apparsa pochissimo (e soprattutto tantissimo tempo fa), è un personaggio molto importante nell’immaginario texiano. Non si poteva liquidare in questo modo! Ovviamente sapevo già che il miracolo non sarebbe avvenuto: alla Bonelli hanno da tempo deciso di fossilizzare Tex, di personalità ancor prima che di aspetto. Ma la cosa più goffa è proprio il tentativo di far passare per “solo amicizia” la relazione tra i due, mentre è evidente a tutti (compreso Boselli) che c’è molto di più. Gigi Bonelli l’aveva fatto intendere chiaramente. Personalmente non mi sarebbe affatto dispiaciuto leggere una storia romantica (almeno abbozzata) tra Tex e Lupe, e non vedo nemmeno perché sarebbe dovuto dispiacere ai vecchi fan. Seriamente, c’è davvero qualcuno che troverebbe sgradevole sta cosa? Il problema secondo me è che alla Bonelli sono terrorizzati dai cambiamenti, soprattutto per quel che riguarda il loro personaggio portante, e piuttosto che rischiare lascerebbero la serie in agonia per anni, fino alla sua chiusura.

    • Quando Tex non lo si capisce non lo si capisce.
      Tex è Tex.

      • Leggo Tex da molti anni, quindi non venire a dirmi che non lo capisco. Semplicemente questo ritorno di Lupe mi sembra un occasione sprecata. Hanno tirato fuori un personaggio assente da oltre 600 numeri, e invece di inventarsi qualcosa di originale, magari che desse un peso alla (inesistente) continuity, ecco che ci regalano la solita storia del ranchero cattivo. Che poi resta una delle storie migliori degli ultimi anni, secondo me. Ma è pur sempre un’occasione sprecata.
        Che poi cosa vuol dire “Tex è Tex”? I personaggi credibili e realistici evolvono, altrimenti diventano dei fossili letti solo da un piccolo gruppetto di appassionati. E io non dico che ora Tex deve mettersi a rapinar banche, andare nei bordelli e sparare agli indiani senza un motivo. Perchè smetterebbe di essere Tex. Ma una relazione con Lupe non avrebbe certo trasfigurato il personaggio. Anzi, semmai l’avrebbe reso più credibile.

        • Uno dei punti fermi di Tex e che è la spina dorsale del personaggio è il suo amore per Lilyth. Senza tempo. Lupe non compete neanche. È questo che molti non comprendono. 🙂

  6. Sono assolutamente d’accordo con quello che scrive Nilus. Secondo me il disegnatore lo sapeva benissimo e Boselli anche ma sono stati frenati dalla casa editrice che crede che i lettori sono sempre gli stessi del 1950. Ma anche se fossero gli stessi anche loro si sono evoluti. A nessuno piacerebbe vedere Tex a letto con Lupe nudi come vermi. Ma a tutti piacerebbe vedere Tex che prova un sentimento profondo per questa donna e lei per lui. Teresio Spalla scrive meglio di qualsiasi altro si occupa di fumetti e conosce la storia come le sue tasche. Un articolo così una volta sarebbe andato sul Corriere in terza pagina vicino a Buzzati e Montale. Ma certi fanatici guardano solo se ha scritto quello che vorrebbero. La sua è un’analisi straordinaria che spiega bene sia il contesto del fumetto sia quello in cui il fumetto avrebbe voluto essere. Non so se le immagini sono state scelte da lui ma chi le ha messe ha dato bene il senso di tutto. Tex si evolve. Sono certi suoi lettori e gente della casa editrice che sono rimasti indietro. Io al posto loro Spalla me lo prenderei come consulente e il Sergio lo avrebbe fatto.

  7. Aggiungo un’altra cosa : l’amore di Tex per Lilyth se lo sono inventati da poco. Prima, tranne che negli albi dove vendicava la sua morte, non se ne parla quasi mai. Ricordiamoci che Tex se la sposa perché è al palo della tortura e poi scompare del tutto. Kit nasce solo perché volevano creare un altro ero-ragazzino com’era la moda di quegli anni anche se dopo non hanno proseguito. Quindi non diamo di Tex questo ritratto di uomo perfetto, di eroe senza macchia e senza sesso, che non ha bisogni sessuali perché ha amato solo la moglie. Ho apprezzato gli albi nuovi dove Lilyth è stata al suo fianco e finalmente ha avuto una bella personalità. Ma non scordiamoci, come fa notare Spalla, che Tex attirava le donne come il Gary Cooper giovane a cui assomigliava all’inizio. E perché lui e Carson, e non parliamo di Kit che è in perenne tempesta ormonale data l’età, non possono andare al piano di sopra del saloon di Flagstaff o avere avuto altri amori fuggitivi a parte quelli che di Carson conosciamo già ? Tex è un uomo e ha avuto successo anche per questo. Un uomo sano di corpo come lui non sfugge al bisogno sessuale, anche se privatamente, neppure nella fantasia di un bambino.
    Spalla ha fatto benissimo a notare che la storia del west si svolge in epoca vittoriana cioè quando il sesso si fa ma non si dice assolutamente, nell’americana puritana poi ancora di più che nell’Inghilterra dove gli scrittori gay dovevano andarsene in giro per il mondo per non finire distrutti come Oscar Wilde.
    Sono d’accordo anche sui costumi. E’ solo una mancanza di fiducia nel lettore non dare alle storie la loro dimensione storica. E’ vero che le armi a ripetizione fanno più scena che quelle a un colpo ma l’epoca in cui Tex è giovane è la stessa dell’America ancora in parte incontaminata e inesplorata con i cacciatori di pellicce col cappello di castoro e i messicani vestiti con la divisa e il cappelo di cuoio.
    Non cambia niente a essere un poco fedeli alla storia. Infatti a me “Il passato di Tex” non è mai piaciuto. Era una storia banale, senza sugo, come tutte quelle del periodo in cui Gigi Bonelli era nella decadenza.

  8. Sono pienamente d’accordo con il relatore dell’articolo e credo che Il Ritorno di Lupe sia solo un’occasione perduta. Il rischio quando si recuperano personaggio iconici dal passato Texiano e di produrre delle torte non lievitate. Di seguito, perdonate se sono prolisso, le mie osservazioni sui due albi.
    Per quanto riguarda quest’ultimo lavoro di Boselli, fermo restando che è certo oberato di lavoro e produce contemporaneamente cinque/sei storie di personaggi diversi, ho riscontrato incongruenze, errori e dialoghi così così che passo a elencare, per amore di discussione.
    Già l’aver assegnato a Drigo un altro nome in base all’assunto che nelle ultime ristampe si era deciso di chiamarlo Jorge (Galep l’aveva disegnato diversamente dalla sua prima apparizione), mi pare una forzatura, che genera solo equivoci. Drigo è nato come nome (probabilmente diminutivo di Rodrigo), invece qui viene usato come cognome e non sempre a proposito. Vi pare possibile che Tex, dopo che non lo vede da lunghi anni e in più lo trova ferito, si rivolga a lui utilizzando il cognome? Per poi saltare da questo a Jorge senza che ce ne sia motivo e nella vignetta in cui l’amico sta morendo usarli ambedue.
    Anche l’inizio mi rende perplesso. Tex in depressione causa la morte della moglie (ma quando mai) se ne va in Messico e guarda caso arriva in uno sperduto poblado (non c’è neanche il dottore) dove incontra un ex guerrillero della banda di Montales che lo riconosce. Martin al principio si rivolge a lui chiamandolo gringo (come ben sapete un dispregiativo) e utilizza lo stesso termine anche quando la reciproca conoscenza pregressa è ormai acclarata. Altra coincidenza sorprendente: ospita Jorge Drigo ferito, che aspettava di morire solo dopo aver incontrato Tex (alla faccia del miracolo!).
    Poi una volta ritrovata Lupe non trova di meglio che osservare:”Dovevi volergli molto bene”. Ma come: ha vissuto con lui per anni e gli ha dato pure due figli, non credo ci siano dubbi sul fatto che doveva volergli molto bene, non fosse altro che per il fatto che Drigo le era stato vicino dopo che Tex se ne era andato insalutato ospite. Drigo prima dice che ha freddato i due che lo hanno ferito e nella pagina dopo Tex dice che li ha spacciati tutti e tre.
    Lupe cerca di accoltellarlo usando la sinistra (vignetta intera a pag. 45, ma in quelle precedente sembra usi la destra: in effetti è chiaro che è destrorsa, tanto è vero che subito dopo gli molla un cazzotto di destro (scherziamo, vero?) correndo il rischio di fratturarsi la mano.
    La rappresentazione grafica dei due figli di Lupe (due e quattro anni), non mi sembra corretta: Ruben sopratutto mi sembra più vecchio almeno del doppio. E comunque non riesco a credere che un bimbo di quattro anni per ben due volte salti addosso al cattivo di turno, che gli ha abbrancato la sorellina, intimandogli di mollarla.
    In più Tex, nel pieno dell’azione, nel fragore degli spari e nella confusione, urla a una bimba di due anni di gettarsi a terra?
    Aggiungiamo poi la nota esplicativa che dichiara Doppio Gioco come N. 8 della seria, anziché N. 6., e la profusione di Winchester che, stante il periodo in cui si svolge l’avventura, ci stanno come i cavoli a merenda, ne ho concluso che Boselli deve darsi una regolata, lavorare di meno e curare un po’ di più la verosimiglianza della trama, i dialoghi e i particolari in genere (che abbia bisogno di un tutor?).
    Potrei citare altrettante incongruenze nel Magnifico fuorilegge, osannato a gran voce, a cominciare dal cavallo di copertina che mi sembra degno di una statua equestre, quale neanche il Colleoni o il Gattamelata hanno avuto.
    Non sto a tediarvi con cosa penso di Ruju e Faraci, che per conto mio facevano meglio a restare nell’ambito dell’horror/fantastico a loro più consono.
    Ruju con L’orda del tramonto ha scritto il più brutto Tex che abbia mai letto, complici le disastrose illustrazioni di Roi, e Faraci se non ricordo male è quello che per ben due volte fa esclamare a una pattuglia confederata: Per l’Unione! Alla faccia di chi legge! Ma non c’è più nessuno che controlla le bozze? Questo per dire che da un professionista come Boselli mi aspetto ben altro e non mi riferisco al plot di base, perché immagino che sia arduo dopo centinaia di plot trovare degli spunti originali, fermo restando che si potrebbe prendere spunto dai romanzi western, come faceva a suo tempo il grande Berardi con il suo Ken Parker.
    Ho letto in questi giorni il secondo albo che a mio parere è peggio del primo.
    Lupe è stata recuperata da Boselli, come avverrà per altri personaggi, per creare una storia con i controfiocchi (almeno si sperava!) e il climax di tutta l’avventura dovrebbe essere quando rivede Tex dopo più di un decennio (primo amore mai dimenticato, i due mariti sono solo “Second Fiddles”) e se si rilegge lo scambio tra i due più sciapo e incolore di così non si può. Poi certe battute surreali: Tiger che avverte Kit di non tirare troppo il lazo perché rischia di fare male allo stallone? Kit nel frattempo si tiene in arcione con l’ausilio delle sole gambe mentre le due mani tengono il lazo (senza guanti!) che stringe il collo di uno stallone selvaggio che sta sgroppando? A parte che la cosa da fare appena accalappiato sarebbe di legare la corda al corno della sella per poter controllare meglio la reazione dell’animale, ma Kit in questo modo riuscirebbe solo a farsi molto male per l’attrito con la suddetta corda.
    Altra cosa: Lupe perde la memoria in seguito alla caduta nel fiume, nonché l’uso delle gambe, e il provvidenziale eremita non solo le scodella una disamina sulle probabili cause del trauma psichico degna del miglior psicologo, poi basta che nomini Don Inigo e lei, miracolo dei miracoli, recupera tutto il pregresso? Guardate, io posso capire che alla maggior parte dei lettori interessi l’azione e poco più, però Boselli è un professionista che si guadagna da vivere con le sceneggiature da decenni, quindi da lui mi aspetto ben altre prove, precise e realistiche anche nei particolari, perché è dalle piccole cose che si capisce la cura che uno ci mette.
    Grazie per l’attenzione,
    Tiziano
    PS Per non parlare delle varie fasi della vita di Ricardo, autoesiliatosi sulle montagne perché in contrasto con il padre spietato, e una volta tornato a casa assistiamo alla sua metamorfosi (ma la colpa la danno a Rodrigo, bontà loro!), che lo fa diventare peggio del defunto genitore? E poi se è vero che Lupe gli ha parlato di Tex, come può pensare per un solo momento che lei l’abbia fatto venire per ucciderlo, quasi fosse uno dei soliti killer prezzolati? Credo che il buon Boselli debba darsi una bella regolata in futuro, almeno a rileggere le cose che scrive, come per esempio quando a personaggi tipici del West mette in bocca discorsi da laureati alla Sorbona.

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