TEX SULLE PISTE DI SE STESSO

TEX SULLE PISTE DI SE STESSO

Un’avvincente e poetica avventura nello “Speciale Tex n°32 – ’Il magnifico fuorilegge’ – Texone 2017” straordinariamente disegnata da Stefano Andreucci e sceneggiata da Mauro Boselli.

Leggendo attentamente il “Texone” di Andreucci e Boselli, e con un raro coinvolgimento, ho concluso che… si tratta di un’ottima storia, ricca di avventura ma anche di approfondimenti psicologici di personaggi editi ed inediti.

Ci sono invenzioni originali ed elaborazioni molto singolari di temi e situazioni naturalmente già viste in tante avventure western.

Ma, anche per questo, si legge tutto d’un fiato e si può ben dire che sia il disegnatore che l’autore abbiano dato fondo alle rispettive competenze per creare un clima di attesa tale, sul destino dei suoi compagni di questa vicenda e su Tex stesso, da spingere il lettore a voler sapere senza tregua dove e come si va a finire, creando sempre situazioni di tensione che rendono il percorso, dall’inizio alla fine, emozionante e coinvolgente, per concludersi con uno degli epiloghi più intelligenti e appassionati della pur lunghissima saga texiana.


L’unica nota di base che mi sento di accreditare agli autori è, coerentemente con la maggior pertinenza storica che ha caratterizzato le edizioni di “Tex” negli ultimi venticinque anni, il non aver collocato questa ambientazione (che si svolge addirittura prima di quella che inizia con l’albo n°1) nell’America, di per sé pittoresca e inedita, degli anni Quaranta del XIX secolo, quando Tex è un fuorilegge che, considerato un pericoloso e abilissimo giovane bandito, presumibilmente non sa ancora quale sarà il suo futuro e attende un segno del destino a conferma di quale sia il risultato della lotta tra tante diverse sensazioni che si agitano nel suo animo ancora acerbo.

Ma va precisato che la storia (dove comunque non compaiono, tranne le colt e i fucili automatici, altre armi fuori tempo come mitragliatrici, dinamite ecc. ) non si sarebbe prestata all’epoca delle armi ad avancarica poiché il suo lodevole dinamismo è creato proprio dai numerosi scontri armati – duelli, assedi, battaglie – dove la sveltezza di ciascuno e il baluginare delle esplosioni dei colpi sparati costituisce, una volta tanto, una componente essenziale della trama e non un semplice espediente per dare un po’ di violenza in pasto al lettore più sanguinario.

“Il magnifico fuorilegge” è un’opera che comunque non deluderà, credo, nessuno.

C’è tutto quello che ci si aspetta da una bella storia con Tex, con in più un profondo e accorato senso di nostalgia e apprensione per la giovinezza perduta del nostro eroe (ma anche la giovinezza perduta del west, del western, del lettore di sempre e quindi della sua contemporaneità) che tocca momenti lirici e scaturisce in riflessioni particolarmente poetiche.


Raccontarne la trama sarebbe un delitto peggiore dei tanti che vi accadono. Dico solo che inizia come il n°1: Tex, su uno spuntone di roccia, in sella al suo fido Dinamite (a cui verrà dato finalmente un ruolo di destriero intelligente e indipendente che influirà nella trama e non il solito cavallo-prodigio dei film con Tom Mix) inseguito da uomini della legge.

Successivamente incontrerà due compagni, un vecchio e un giovane, che lo seguiranno fino alla fine.

Andrà a Robber’s Nest, una città-rifugio di due bande di fuorilegge (molto diversa dalla Robber City di una storia classica che molti ricorderanno) e poi in altri luoghi.

Avrà a che fare con vigilantes troppo zelanti, ragazze bianche e indiane (anche qui, finalmente, si lascia intuire, pur con pudore e tenerezza, che il giovane Willer non è immune dal desiderio sessuale come da quello di trovare un po’ d’affetto e d’amicizia), sceriffi e banditi di svariata e numerosa natura, comanceros, rapitori di fanciulle, gli apache di Cochise, unico personaggio che poi ricorrerà nella serie e del quale si racconta il primo incontro con Tex e lo stringersi del loro patto di sangue.


Boselli non ha resistito alla sua passione per le citazioni (ce ne sono da diversi film, tra cui il più evidente è “Per un pugno di dollari”; e anche da storie a fumetti sia texiane che altre) e, in qualche punto, a far parlare troppo i personaggi.

Il che, in un’opera così corposa dove lo sviluppo delle personalità dei personaggi è essenziale, non sarebbe di per sé un male se non dicessero, talvolta, cose banali che l’immagine può svolgere più speditamente e anche il lettore meno aduso comprenderebbe egualmente.

Si preoccupa anche troppo di farci sapere che Tex è un cavaliere solitario e l’aggettivo ricorre tante volte da far supporre che l’autore avesse l’ingiustificato timore che il lettore non capisse ciò che è evidente ed è anche alla base di tante situazioni e del loro evolversi.

Ho l’impressione che, inizialmente, la storia iniziasse come tutti i prequel texiani: Tex, Carson, Kit e Tiger intorno al fuoco del bivacco, in mezzo alla prateria sconfinata, tra gli ululati dei coyotes, e lui, l’inossidabile ranger preso dalla melodia del ricordo, che racconta.

Invece si è preferito far apparire questa situazione (dove manca Tiger che pure, in ordine cronologico, fu il primo pard di Tex, prima ancora che si stringa il legame con Carson) solo a pag. 32.


E – per quanto alcune domande, che il vecchio amico e il figlio sono costretti necessariamente a fare, riportino l’afflato del passato nel presente con tocchi elegiaci – tutto ciò finisce col divenire inevitabilmente pleonastico di fronte al fervente scorrere degli episodi narrati.

Il disegno di Stefano Andreucci è più che buono tanto da perdonargli (ma ci sarebbe da giurare che l’idea citazionista deriva da Boselli) l’aver ricalcato volti conosciuti del western cinematografico classico e degli anni Settanta che finiscono, in una trama così trascinante, col provocare un effetto di straniamento che distrae il lettore, il quale inevitabilmente si chiede “ma dove ho già visto questa faccia?”.

Riconoscibilissimi Debra Paget (l’attrice che emerse con “L’amante indiana” e proseguì con una soddisfacente carriera ricca di personaggi esotici) e L. Q. Jones (caratterista dagli occhi rettilinei che ricordiamo giovanissimo negli ultimi film con Randolph Scott e in tutti gli western di Sam Peckinpah), ma anche molti altri tra cui un Mario Brega preso di peso dal primo successo di Sergio Leone.

Se certamente il disegnatore era stato tentato di far assomigliare il giovane Tex al figlio Kit (anche questo evidente in alcune vignette, specialmente quelle da pag. 35 a pag. 49, ambientate nel trading post di Rattlesnake), in quasi tutto il resto del racconto si preoccupa di allungargli il viso, ritoccare il naso e il taglio dei capelli, per riportare il nostro eroe alla sua adolescenziale somiglianza con il Gary Cooper di “L’uomo del west” e “Giubbe rosse”.

Insomma, in definitiva, questa è l’occasione per gustarsi qualcosa che supera i normali livelli delle storie con Tex e ci avvince per tanti particolari avventurosi e umani al di sopra della media, sia della serie regolare che delle storie fuoriserie.

Ho sempre saputo che i “Texoni” sono nati come un’operazione commerciale più che editoriale (storie che potrebbero figurare benissimo nel formato normale, ma che ingigantite giustificano l’aumento di prezzo) e solo dopo, con il successo dell’operazione, divennero per Sergio Bonelli l’occasione di mettere alla prova con la tradizione texiana disegnatori e sceneggiatori qualche volta adatti, qualche volta meno, qualche volta del tutto fuori sede. Ma anche questo serviva a stimolare la curiosità e la spesa.

In questo caso niente di tutto ciò: lo sceneggiatore è quello abituale e il disegnatore ha già messo mano al personaggio. Però, in quest’occasione, hanno dato il meglio del meglio che era possibile attendersi.

Quando sono arrivato a pag. 240 ho avuto la stessa sensazione di quando, da bambino o ragazzino, andavo al cinema a vedere le riedizioni di certi capolavori che non potevo ancora conoscere e, quando uscivo dalla sala, mi sentivo dolcemente stanco e frastornato per lo sforzo interiore a cui il film mi aveva sottoposto, e correvo verso casa, al confine con la campagna, il mio personale west, a riprendere energia con l’invincibile desiderio di indossare il cinturone, mettermi in testa il “cappello da cow boy”, e saltare in groppa a un destriero che la fantasia faceva cavalcare per i più disagiati dirupi solo per me e la mia nostalgia di un tempo passato che cercavo con volontà disperata di ricostruire e rivivere.

Ps 1
Per inciso, nelle pagine introduttive appare il saggio “Come Robin Hood” di Sergio Barbieri. Devo amaramente far notare che alcuni riferimenti cinematografici al bandito detto Black Bart (Il poeta) non sono esatti e carenti in svariate citazioni. Ma questo non c’entra niente con la storia di cui ho appena raccontato. Ne parleremo un’altra volta.


Ps 2
Questo è l’albo dove compare, perfettamente ricostruito col disegno, il mio caro amico Stefano Jacurti (nel ruolo del cattivissimo Verdugo, implacabile outlaw e violentatore di fanciulle), l’ultimo e unico autore autentico in Italia di film western ricchi di passione e dedizione al genere e alle sue componenti basilari.

Le biografie degli autori tratte dal “Texone”

1 commento

  1. […] del solito, Sergio Bonelli dixit) che, con il recente “texone” Il magnifico fuorilegge (vedi qui il mio articolo Tex sulle piste di se stesso pubblicato il 29 giugno 2017) Mauro Boselli e Stefano […]

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