POTERE DROMEDARIO CONTRO IL POLITICHESE

Verso la fine del 1976, o l’inizio del 1977, a tutte le radio private milanesi fu recapitato un pacchetto promozionale contenente una bottiglia di vino, una confezione di tarallucci e un 45 giri di Piergiorgio Maffi intitolato Potere dromedario.

Tarallucci e vino furono consumati in pochi minuti dai fortunati presenti in studio in quel momento, e il disco fu ascoltato con crescente perplessità.

Era una specie di ballata con un testo che prendeva in giro (quanto meno nelle intenzioni) il linguaggio politico di quegli anni. Non so di nessuno che ebbe il coraggio di trasmetterlo, un po’ perché era musicalmente debole accanto a successi come “Ti amo” di Umberto Tozzi o “Don‘t let me be misunderstood” dei Santa Esmeralda (o gli Henry Cow e gli Status Quo se ascoltavate altre radio), e un po’ perché anche se nella maggior parte delle “radio libere” di Milano lavorava gente cui non importava niente della politica, a trasmettere un disco così c‘era sempre il rischio che qualche attivista privo di senso dell’umorismo si arrabbiasse e ti tagliasse le gomme. Ci fu anche qualche impennata di orgoglio: un mio collega dj si disse indignato per il tentativo di corruzione (esagerato!, e comunque i tarallucci se li mangiò).

Sul numero 32 del 1977 del settimanale Intrepido la canzone fu presentata con entusiasmo.

Si chiama Potere dromedario ed è un disco. Lo canta Piergiorgio Maffi, 18 anni, milanese, già noto al pubblico delle osterie dei Navigli.
Potere dromedario è una satira di un certo tipo di linguaggio, volgarmente detto “il sinistrese”, che dilaga oggi sui giornali ed alla televisione. È quel linguaggio che dice “nella misura in cui”, oppure “l’istituzionalizzazione della Costituzione”, o “a gestire tutti i livelli” o ancora più ridicolo “i quadri dirigenti, contadini” eccetera. Questo modo di parlare, che non è quello della lingua italiana, ma un modo abbastanza goffo per mascherare la propria insipienza, è stato preso a prestito da Maffi per regalarci un disco di sottile ironia.
“Questo 45 giri” spiega Maffi “è nato una sera ad un tavolo, in una osteria milanese. Alcuni giornalisti e il maestro Chiaravalle hanno cominciato a parlare di questa moda ridicola del parlare d’oggi. E la canzone è nata in quattro e quattr’otto”.
Piergiorgio Maffi, che è figlio di un imbianchino, di giorno aiuta il padre e la sera va a cantare nelle balere pezzi di Ferrer e Antoine.
Se anche non avesse altri meriti nel mondo della canzone, avrà quello di aver preso in giro un certo linguaggio sciatto e stolto. È già un grande passo avanti.

Io il disco me lo portai a casa e ce l‘ho ancora, eccolo.

Un giornalista del quotidiano Il Foglio pressoché mio coetaneo ha di recente osannato “Potere dromedario” definendolo un pezzo “mitico, onnipresente alla radio [nel 1977] e oggetto da collezionisti”.
Non concordo con il suo ricordo, e il disco te lo tirano dietro nei negozi online. In ogni caso, con gli occhi del quasi sessantenne di oggi, quel ragazzino in doppiopetto convinto di far bella figura con un pacco dono (perché sono convinto che lo avesse davvero pensato) e che campava intonacando muri e cantando nelle balere suscita in me rispetto e affettuosa.

Piergiorgio Maffi è morto pochi anni fa.

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