DOUJINSHI: I MANGA SENZA LIMITI

DOUJINSHI: I MANGA SENZA LIMITI

Dieci anni fa è prematuramente scomparso un uomo gentile di nome Yoshihiro Yonezawa. Ebbi la fortuna di conoscerlo e intervistarlo a Venezia, durante la Biennale di architettura del 2004, nel padiglione giapponese tutto dedicato alla sottocultura degli otaku e alla loro influenza nello spazio urbano, partendo dall’arredo delle camere per arrivare ai quartieri a loro dedicati come Akihabara. Pressoché sconosciuto in occidente, ha contribuito dal Giappone a influenzare profondamente un certo tipo di immaginario comune. Yonezawa è stato saggista, critico di manga, ma soprattutto co-fondatore del Comiket, quella che in modo restrittivo si potrebbe definire la più grande fiera del fumetto amatoriale al mondo.

Restrittivo perché con il suo mezzo milione di visitatori a edizione (due all’anno) è un evento socio-culturale di importanza enorme in Giappone, e una palestra dove alcuni tra i più grandi fumettisti giapponesi hanno esordito. Anche Rumiko Takahashi, l’autrice di Lamù la ragazza dello spazio, esordì qui con il nome d’arte di Kemo Kobiru.

Lamu
Come se non bastasse, nel 1980 in questa fiera, durante la ventesima edizione, nacque anche il fenomeno del Cosplay, cioè quello stile di vita in cui persone reali si travestono da personaggi di film, fumetti, cartone animati o videogiochi: i cosplayer sfoggiano costumi e accessori spesso confezionati da loro stessi e partecipano ad eventi e fiere, talvolta interpretando scenette che vanno dal comico involontario al livello compagnia di Broadway.

Oggi ci sono organizzatissime sessioni fotografiche al Comiket, che si tengono sulla terrazza della sede. E siccome i giapponesi devono esprimere il loro masochismo appena possono, stiamo parlando di una zona completamente esposta al sole di Ferragosto. Secondo alcuni è per questo che le cosplayer indossano abiti sempre più succinti, anche se non sono sicuro che sia proprio quello il motivo.

La cosa che però rende unica questa fiera è che i 30.000 e passa piccoli stand offrono per la maggior parte fumetti erotici. Anche un po’ più che erotici. Ci sono tutti i generi, ma a farla da padrone sono le parodie di cartoni animati o fumetti. Straordinariamente nessuno è mai stato denunciato per violazioni di diritti o è stato oggetto di letteracce come quella che Tamburini e Liberatore ricevettero ai loro tempi dalla Rank Xerox, solo perché avevano dato il nome di una fotocopiatrice al protagonista di un fumetto pieno di “violenza, oscenità e turpiloquio” (cit.).

In Giappone invece la popolarità di una serie si misura anche dal numero di parodie presenti al Comiket, che contribuiscono in parte al successo delle serie. Nell’editoria ufficiale, i fumettisti sono arrivati a scattare da loro le foto degli ambienti per evitare che qualche fotografo rivendicasse i diritti per le immagini ricalcate. Invece nel mercato delle “Doujinshi”, così vengono chiamate in Giappone le fanzines, si chiudono tutte e due gli occhi sulle violazioni di copyright. L’unico caso di sequestro e guai giudiziari di cui ho sentito è stato quello di un autore che aveva realizzato una Doujinshi sulla famiglia imperiale giapponese al completo. Onestamente un po’ se l’era andata a cercare.

Anche persone reali come attori e sportivi finiscono tra le pagine di queste parodie erotiche in versione manga, soprattutto nel genere Yaoi e Shonen ai che racconta di amori gay. Questo è tra l’altro un genere molto amato dalle ragazze giapponesi e disegnato quasi esclusivamente da loro. Vi stupirà sapere che anche il noto politico Piero Fassino è diventato alcuni anni fa protagonista di una Doujinshi.

La cosa straordinaria è che tutta questa estrema libertà di espressione è nata da una forte carica ideologica che Yonezawa ha espresso sin da quando giovanissimo studiava ingegneria all’università Meiji di Tokyo, e non da una volontà di lucrare sulle manie erotiche di una nazione. Probabilmente a Yonezawa interessava relativamente il contenuto delle fanzine, ma ha sempre voluto fortemente che ognuno potesse disegnare e pubblicare senza alcun filtro o censura.

Negli anni settanta l’avvento delle fotocopiatrici economiche in Giappone permise agli aspiranti fumettisti di cimentarsi nelle loro autoproduzioni. Come spesso accade, si creò una rete tra i vari circoli che producevano queste Doujinshi e nacque l’idea di organizzare una convention. Yonezawa, che faceva parte del circolo Meiku, fu escluso dalla Japan Manga Convention a causa delle dure critiche sui criteri di selezione del comitato organizzativo. Il circolo Meiku organizzò per reazione una sua convention a Kasumigaseki, nome evocativo di un quartiere di Tokyo che significa “Cancello di Nebbia”. Il loro criterio di selezione era molto semplice: “Noi non rifiutiamo nessuno”. Ognuno doveva essere libero di disegnare quel cavolo che voleva. Nessuna restrizione espressiva: sarebbero stati i lettori a premiare o ignorare le pubblicazioni. Senza alcun filtro.

30 iscritti per la prima edizione, 1000 volte tanto dopo 30 anni, in una struttura che sembra una base spaziale dei robottoni costruita su una piattaforma galleggiante, a Go Nagai, nel futuristico quartiere di Odaiba. Chissà se ogni tanto ci pensa quel genio che lo cacciò dalla sua convention.

 

 

 

 

4 commenti

  1. […] di ragazzotti dai capelli lunghi che affollavano i centri del peccato come Tora no Ana che vende doujinshi. Alla fine della settimana di acquisti, il piccolo appartamento si svuotava, i Cd e Dvd perdevano […]

  2. Non è affatto vero che non vi siano denunce contro chi realizza doujinshi: non accade spesso , ma l’impunità non è garantita al 100 % a nessuno.
    Chi rompe più le scatole mi pare sia la Sunrise, e c ‘è stato anche un caso documentato (di una decina di anni fa) di denunica da parte di Nintendo verso chi realizzò una parodia porno dei Pokemon .
    Rigurado alla denuncia verso chi ha realizzato la parodia sulla Famiglia Imperiale , è dovuta al fatto che in Giappone esiste un antico tabù che ne proibisce la satira in qualsiasi media .
    Persino l’episodio de ” i Simpson ” dove Homer picchia l’Imperatore fu censurato in Giappone, in quanto considerato di cattivo gusto .

  3. Legalmente chiunque può denunciare chiunque altro se si sente offeso/diffamato o se ritiene che venga fatto un uso improprio delle proprietà intellettuali di cui detiene i diritti. Il fatto che sia possibile non vuol dire che si faccia sistematicamente. Qualche anno fa, a ridosso di qualche elezione, ci furono anche alcune proposte di dare un giro di vite alla situazione, ma non mi pare che nulla sia cambiato. Considera che solo al Comiket (che anche se la principale, non è l’unica fiera) vengono presentate ogni anno circa 60.000 nuove pubblicazioni, di cui possiamo ipotizzare che almeno la metà siano parodie. Buttiamo lì una cifra ipotetica? potrebbero essere prodotte ogni anno in Giappone 50.000 parodie di personaggi protetti da Copyright. Anche se la possibilità esiste, percentualmente è più facile per un autore di doujinshi essere colpito da un meteorite mentre passeggia per strada, piuttosto che ricevere una denuncia per le sue parodie.

    • Mah , non so, bisognerebbe esserci dentro per sapere davvero come vanno le cose.
      Per noi occidentali, che vediamo tutto troppo distante, ci appare in un modo poi chissà davvero come è.
      Certo in mezo alla fiumana di riviste la maggior parte la scampa, ma non so se è davvero tutto rosa e fiori come pensiamo noi .
      Probabilmente, le parodie ispirate ai manga rischiano meno, in quanto spesso molti autori hanno cominciato facendo le doujinshi e quindi lasciano correre se poi qualcuno parodizza ( e monetizza ) su una sua opera (perché è bene ricordare che certe doujinshi arrivano a vendere centinaia di miglialia di copie).
      Insomma , è una specie di tradizione tacitamente acettata , tanto che molte case editrici cercano nuovi talenti proprio nel campo delle doujinshi .
      Il discorso credi cambi quando si realizzano parodie su proprietà intellettuali che appartengono a compagnie e non agli autori, tipo gli anime o i videogiochi.
      Bisogna ricordare che non tutte le doujinshi vendono bene, molte raggranellano qualche centinaio di copie e quindi chi di dovere non perde certo tempo a denunciare costoro, in quanto non riuscirebbero a cavarci niente.
      Bisogna anche dire che molti circoli e/o autori partono realizzando parodie di manga/anime famosi per farsi un nome, per poi realizzare personaggi propri e continuare a vendere e prosperare in questo settore ( un pò come fanno tanti autori occidentali di nicchia che pubblicano solo nel mercato delle fumetterie, con la differenza che le doujinshi possono arrivare a cifre di vendita che in Italia non raggiungono neppure gli editori “seri” ), e grazie a internet e alle scan, alcune di questi titoli diventano dei veri cult in Occidente ( altrimenti semi irreperibili in altri modi).

      Disegnare i tuoi eroi preferiti che fanno cosacce tutto il giorno e guadagnare pure dei bei soldoni .
      Immaginate un lavoro più bello nella vita ?

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