LE MISTERIOSE TOMBE DEI GIGANTI IN CALABRIA

LE MISTERIOSE TOMBE DEI GIGANTI IN CALABRIA

Sono esistiti veramente i giganti, o sono solo fantasie?

L’Istmo di Catanzaro, il territorio calabrese compreso fra il Golfo di Lamezia e il Golfo di Squillace, è il punto più stretto dell’Italia: poco più di trenta chilometri da mare a mare. Chiamato “Via dei Due Mari”, è da sempre il collegamento più breve fra Ionio e Tirreno.

Quasi tutti gli insediamenti di quella zona hanno un passato antichissimo, al punto che esiste in loco un detto: “la vecchia Roma e l’antica Squillace”. Secondo certi studiosi, alcuni di quei centri sono fra i più antichi d’Europa, non solo d’Italia. Tutta la zona è ricca di reperti e luoghi archeologici mai studiati a fondo come meriterebbero.

È proprio la sua particolarità geografica ad aver sempre determinato il destino della Via dei Due Mari: chi controlla questa via di comunicazione è il padrone della Calabria, o almeno della sua parte meridionale. Bisogna percorrere la Via per andare da un mare all’altro, e attraversarla per andare da Nord a Sud.

Tiriolo, un paese di 3900 abitanti a poca distanza da Catanzaro, è il punto più caratteristico della zona. Gli studiosi sono d’accordo nel riconoscerlo come uno dei centri abitati più antichi d’Italia e d’Europa. Data la sua posizione, Tiriolo è la vera e propria sentinella della Via dei Due Mari, dominandola e controllandola.

Ai tempo della rivolta di Spartaco, quando l’esercito di schiavi liberati occupò la Calabria meridionale, Crasso, avendo Tiriolo come base principale, fece costruire dalle sue legioni una muraglia dall’uno all’altro mare per tentare di bloccarli. Spartaco e i suoi, per tutta risposta, scavarono, sempre da un mare all’altro, un fossato in più punti riempito dal mare per poter a loro volta bloccare i romani.

Non deve dunque stupire che nel territori di Tiriolo siano avvenute, non solo in epoca recente ma già nei secoli scorsi, interessantissime scoperte archeologiche, attestate in varie cronache fin dal Seicento. La più interessante, e allo stesso tempo controversa, è quella degli scheletri di giganti.

LE MISTERIOSE TOMBE DEI GIGANTI IN CALABRIA

Immagine che circola in Internet: in alcuni casi è chiamata “fotografia” e in altri “stampa”. Si dice mostri uno scheletro di gigante trovato in Calabria (dall’abbigliamento degli uomini a destra, dovrebbe risalire alla prima metà dell’Ottocento), ma indicata come “da fonte ignota”. La metto per completezza, non essendo possibile dimostrare che sia autentica


Nel 1663, a Tiriolo, venne rinvenuta una tomba con uno scheletro di dimensioni gigantesche. Ne dette notizia il medico Giovanni Battista Cappucci, napoletano residente a Crotone, in una lettera del 24 giugno indirizzata al medico bolognese Marcello Malpighi.

LE MISTERIOSE TOMBE DEI GIGANTI IN CALABRIA

Ritratto di Marcello Malpighi, e frontespizio della sua Opera Omnia

 

Su questo Malpighi bisogna spendere qualche parola di presentazione. Nato nel 1628 e morto nel 1694, fu uno dei luminari del suo tempo. Professore nelle università di Pisa, Messina e Bologna, risiedette anche a Roma con l’incarico di archiatra (medico di corte) di Papa Innocenzo XII. Membro delle più importanti accademie del tempo, sia italiane sia straniere, è considerato il fondatore dell’anatomia microscopica: scoprì i capillari sanguigni, i globuli rossi, la struttura a strati della cute e particolari strutturali della milza (capsula di Malpighi, l’involucro che la riveste) e dei reni (corpuscoli di Malpighi, dove comincia la filtrazione del sangue).

Difficile pensare che un medico mandasse a un simile luminare delle notizie non controllate o addirittura a scopo di burla. Cappucci (indipendentemente dal fatto che quanto da lui scritto fosse vero o no) gli scrisse in buona fede. La lettera fu ritrovata fra le carte del Malpighi. È un po’ lunga ma merita di venire riportata:

Sperai nell’aprile prossimo aver materia di scrivere a V.S.E. una lunga lettera sopra il ritrovamento d’un sepolcro antichissimo aperto nella campagna di Tiriolo, terra di questa Provincia, et in esso d’una ossatura di cadavere gigantesco innatante in una notabile quantità di cerume, la mostra del quale è stata portata anche fin a Napoli al Sr. Tommaso Cornelio sotto nome di balsamo, et io ne ho visto qualche minuzia, ch’esaminata al di fuori pareva una pece bruna addensata, et invecchiata, ma nel fuoco spirava un odor migliore della pece comune. Onde ho preso a sospettare che sia mistura di pece e d’altra raggia di miglior fumo. Un dente anche mi fu promesso dal medesimo cadavere, che corre voce sia stato di quindici palmi di statura… Il nostro Sig. Giovanni Battista Abati, che da Catanzaro è più di me vicino a Tiriolo, haverebbe potuto meglio informarsi, ma egli incaparbito a tener il riporto menzogna et il cerume e l’ossa imposture o favolosi, non ha voluto impicciarsi… per separare dal falso il vero, se di quello, come è solito in tutte le novità, vi è misura notabile nella storia”.

Ci sono alcune considerazioni da fare su questa lettera. Cappucci, a quanto pare, dà la notizia a Malpighi, ma sembra riporti cose dettegli da altri, tanto è vero che, a sua volta, chiede gli vengano dati dei reperti (“un dente mi fu promesso…”) che evidentemente avrebbe potuto già prelevare da solo, se fosse stato fra gli scopritori o quanto meno gli esaminatori del misterioso scheletro.

Infatti lui stesso ha dei dubbi circa quel che gli è stato riferito: “corre voce sia stato di quindici palmi di statura”. Il fatto che ne parli come di una “voce che corre” significa chiaramente che non ha misurato lui stesso il reperto. I suoi dubbi sono certo giustificati dato che quindici palmi, essendo il “palmo” in uso a quei tempi nel Meridione più o meno di venticinque centimetri, avrebbero fatto sì che lo scheletro fosse lungo fra i tre metri e mezzo e i quattro!

Nulla di strano che voglia vederci più chiaro, e infatti si lamenta di quel signor Abati (il termine “nostro” lascia pensare che sia una comune conoscenza, probabilmente un medico) che, trovandosi più vicino (Catanzaro è a due passi da Tiriolo, mentre Crotone, sede del Cappucci, è un bel po’ più distante), avrebbe potuto occuparsi di raccogliere informazioni più precise. Ma probabilmente apparteneva alla categoria degli scettici a oltranza e non si è preoccupato di andare a verificare una notizia che considerava infondata.

Non avendo altri documenti su questa scoperta, non possiamo perciò sapere se in seguito Cappucci, attraverso Abati o altri, o magari personalmente, sia riuscito a “separare il falso dal vero”, con verifiche e misurazioni.

In compenso abbiamo una bella serie di casi simili, nella zona.

Lo storico cappuccino Giovanni Fiore, attendibile in quanto del posto (nato a Cropani nel 1622, vi morì nel 1686), fu provinciale dei conventi di Calabria e per molti anni padre guardiano del convento dei Cappuccini di Catanzaro. Entrambi incarichi che gli permettevano di avere notizie di prima mano dai vari confratelli dei conventi sparsi nella regione. Nella sua opera “Calabria Illustrata, Fiore definisce Tiriolo “abitazione antichissima”, e riferisce di “rotture di muraglie che si cavano fuori con dentro molti tesori di monete antichissime” e soprattutto di “molti sepolcri degli antichi giganti che giornalmente vengono fuori”.

Dato che allora non si praticavano scavi archeologici organizzati, tali scoperte dovevano avvenire casualmente durante i lavori agricoli o edilizi, e ciò a quanto pare non era una cosa eccezionale (“giornalmente vengono fuori”). Poi, Giovanni Fiore dice chiaramente “molti sepolcri”, pertanto doveva essere altrettanto comune non solo trovare resti di antichi edifici, ma anche tombe con resti umani, e per essere definiti giganti è chiaro che dovevano essere davvero di misura notevole.

Caso altrettanto noto è una cronaca del sacerdote Giovambattista Ursano: “Breve descrizione della Terra di Tiriolo” del 1688, ma rimasta inedita all’epoca. In essa don Ursano riferisce che nel 1640 (quindi 23 anni prima del ritrovamento annunciato dal Cappucci), durante gli scavi per le fondamenta d’un palazzo fu trovata “un’armeria d’innumerevoli ferri arrugginiti e di varie sorti ed ivi vicino un sepolcro grandioso, dentro l’ossa incenerite era uno smisurato cranio d’uomo con aste e lance e certi vasetti pieni di cera, nei quali vasetti mandati a Napoli si scoprì che dette ceneri confirmavano alla salute di diversi mali, come disse il signor Francesco Cornelio, medico eccellentissimo nel giornale dei letterati…”.

Essendo Ursano nativo di Tiriolo stessa, e lì vissuto, è ancora più attendibile di padre Fiore. Vero è che scrive nel 1688 d’un ritrovamento avvenuto nel 1640, ma certo ebbe occasione di parlare con i suoi concittadini che lo avevano visto, e non potevano essere tutti dei burloni o dei contadini ignoranti e creduloni. Anzi, un avvenimento così importante doveva aver colpito la popolazione ed è probabile che fosse conoscenza comune nella città.

Tra l’altro sarebbe interessante sapere se il Tommaso Cornelio di Cappucci nel 1663 e Francesco Cornelio di Ursano nel 1640 erano la stessa persona, o magari parenti.

E ancora: Elia D’Amato, nella sua “Pantapologia Calabra del 1725, scrive di Tiriolo “gigantum reliquiis frustulisque per colonos effossis antiquitate celebre” (“celebre per le reliquie e i resti di giganti esumati dai contadini”).

Tommaso Aceti nel 1737, curando la ristampa dell’opera storica del BarrioDe antiquitate et situ Calabriae”, afferma in una annotazione “hic quoque passim in ruderibus inveniuntur monumenta atque ossa gigantum” (“sono stati trovati nei ruderi dei monumenti e ossa di giganti”).

L’abate Francesco Sacco, nel suo “Dizionario Geografico-Istorico-Fisico del Regno di Napoli” del 1796, alla voce “Tiriolo” scrive: “…questa terra è antichissima siccome lo dimostrano molti sepolcri antichi che giornalmente vengono fuori”. Anche qui “giornalmente” sembra indicare che ancora a fine settecento venivano alla luce sepolcri e scheletri.

Tale rinomanza di Tiriolo per gli scheletri di giganti non scemò col tempo: l’inglese Norman Douglas, che più volte visitò la Calabria, nel suo libro “Vecchia Calabria del 1915 scrive: “Rivisitai Tiriolo, un tempo famosa per i sepolcri dei giganti (tombe greche) e più recentemente per i ritrovamenti antichi di maggior valore”. Quanto e quale fosse il valore dei ritrovamenti tiriolesi lo si può vedere nel Museo di Catanzaro, ammirando l’estensione e l’importanza dei reperti ivi esposti.

Ci sarebbero altri autori ancora, ma è superfluo citarli dato che non direbbero nulla di nuovo. Per cui saltiamo direttamente… agli anni sessanta del Novecento, gli anni dei Beatles, di James Bond, del boom economico e dei più recenti ritrovamenti di resti di giganti nella Via dei Due Mari.
Stavolta però non a Tiriolo, ma praticamente di fronte, sul versante opposto della vallata dell’istmo: a San Floro.

San Floro è un paese di 700 abitanti affacciato su una terrazza naturale che guarda Catanzaro e Tiriolo. Nelle sue contrade Tozzina e Santa Caterina, nel corso (la storia si ripete) di scavi per lavori, furono rinvenute ossa di misura assolutamente fuori dal normale

La testimonianza più importante è di Domenico Paravati, ancora vivente, nativo di San Floro, per trent’anni giornalista Rai a Roma: “chi mi ha parlato per primo di questa necropoli è stato don Emilio Prioglio, proprietario di una parte della Tozzina, e io riferii alla Soprintendenza alle Antichità di Reggio Calabria (diretta a quel tempo da De Franciscis). Io stesso recuperai, nell’aprile del 1961, nel corso di un sopralluogo alla Tozzina, in un’altra tomba, un cranio completo di mascelle inferiore e superiore che presentavano tutti i denti e che mi sembrò veramente grande. Le mascelle finirono, grazie all’amico Dario Leone, prima alla Soprintendenza alle Antichità di Reggio, all’attenzione del prof. Tiné; da questi furono quindi inviate all’Istituto di Paleontologia Umana di Roma e infine da qui spedite, per un ulteriore studio, all’Istituto di Antropologia di Firenze, dove furono affidate alla professoressa Massari”.

Inoltre, don Emilio Prioglio riferì a Domenico Paravati che nelle “tombe dei giganti” di Tozzina uno scheletro presentava una tibia che a lui stesso arrivava fin quasi alla testa del femore, vale a dire era uguale alla sua tibia e a quasi tutta la coscia.

(Sicuramente, esagerazioni a parte, diversi individui “giganteschi” provenivano sin dai tempi più antichi dall’Europa del Nord alla ricerca di condizioni di vita migliori. I nomadi cresciuti nelle foreste cibandosi della carne fornita dagli animali che cacciavano erano molto più alti delle popolazioni stanziali mediterranee, le quali avevano una dieta a base di cerali e un po’ di pesce. Ancora gli antichi romani erano mediamente molto più bassi dei germani – NdR).

 

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11 commenti

  1. Non conoscevo nulla di questa storia, mi sono bevuta il tuo pezzo 🙂
    interessantissimo…….

  2. Quando tirammo fuori le due mascelle (superiore e inferiore)la tomba “analizzata” venne anche filmata dal medico condotto del paese di allora , il dott. Ferrari, da me invitato a scendere alla “Tòzzina” con il proprietario Emilio Prioglio. Purtroppo il filmato, da quanto ho appreso indirettamente da familiari del medico, non si sa che fine abbia fatto.Comunque vorrei rilevare che il termine “giganti” è solo giornalistico e non è da prendere come oro colato. Ho usato il termine nei vari articoli scritti per il Mattino di Napoli considerando soprattutto quanto riferito dal Prioglio sulla tibia. Imponenti (non …giganteschi) ho comunque trovato le due mascelle, appartenenti certamente ad uomini al di sopra della statura normale. Erano scheletri siculi, l’etnia che prima dei greci era stanziata in Calabria, come documentato anche dai reperti custoditi nel museo di Locri? Allora avevo diciannove anni, stavo per andare via dal paese per fare il servizio militare come ufficiale di complemento,e dopo aver fatto il mio dovere, con una relazione alla Soprintendenza alle Antichità di Reggio Calabria, la pubblicazione di un grosso articolo sul Mattino e lettere successive ai Soprintendenti succedutisi in quel periodo , De Franciscis e Foti (v.protocolli della Soprintendenza di Reggio C. rispettivamente numeri 1516 del 31 luglio 1961 e n 241 del 5 febbraio 1962) dopo, dunque, non potei più seguire la cosa se non riprendendola successivamente in vari testi da me pubblicati su “Ciao San Floro Ciao Calabria”, (di Domenico e Feliciano Paravati-ABC COMMUNICATION, aprile 2003, reperibile nella Biblioteca della Calabria in San Floro). La necropoli della Tòzzina di San Floro è ancora lì, come, nella piana del Corace, sono ancora lì tante testimonianze pregrehe, greche e romane che nessuno sembra abbia voglia di far venire alla luce. Firmato: Domenico Paravati.

    • Precisazione molto interessante.

  3. …anchio non avevo nessuna conoscenza nel merito, letto il pezzo con interesse 🙂

  4. Avevo già sentito di questi ritrovamenti. Io ho trovato curioso come per tradizione i “giganti” abbiano continuato a vivere tra noi: in ogni festa paesana si può assistere al “ballo dei giganti “. E poi le avventure di Ulisse e il suo incontro con Polifemo, perché non dovremmo pensare che Omero (o chi per lui) possa aver preso ispirazione da una popolazione realmente esistente all’epoca? Questo tema meriterebbe di certo un approfondimento!

    • Il mito del ciclope risiede nei ritrovamenti di teschi di elefanti che popolavano la Sicilia, che per l’erronea interpretazione del foro in cui si innesta la proboscide, vennero scambiati per mostri con un occhio solo.

  5. Molto interessante, da calabrese non ne sapevo nulla. Comunque sono ritrovamenti avvenuti in varie parti del mondo e più di un accenno a questi esseri si può ritrovare in molte leggende. Potrebbe esserci un nesso con i megaliti di Nardodipace? Potrebbero essere stati i giganti a a erigerli?

  6. C’è chi li chiama Aunnaki provenienti dal pianeta nibiru

  7. Mi pare che la foto sopra pubblicata (quella del teschio gigante) sia un montaggio.
    Comunque la notizia sotto riportata dalla Cina è vera:
    http://scienze.fanpage.it/chi-erano-i-giganti-cinesi-che-vissero-5-mila-anni-fa/

  8. Un studio recente, condotto da due paleontologi italiani – Marco Romano del Museum für Naturkunde di Berlino e Marco Avanzini del Museo delle Scienze di Trento – pubblicato su Historical Biology, ricostruisce l’origine del mito dei giganti a partire dall’erronea interpretazione degli scheletri di vertebrati fossili rinvenuti in passato, molti dei quali anche in Italia, risalenti soprattutto all’Era Cenozoica.

  9. Vero, ma ci sarebbe anche da spiegare le MOLTE rovine ciclopiche (intese come enormi) scoperte in varie parti del mondo .

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