LA PAZZIA COLLETTIVA DEL CRUCIVERBA

LA PAZZIA COLLETTIVA DEL CRUCIVERBA

Nel 2013 il cruciverba compiva il suo centesimo anno. Fonte di autentica passione ludica per gente di tutte le età, nel corso del tempo non era stato immune da numerose traversie, cambiamenti, feroci critiche, primati e attestazioni di riconoscimento, rivendicazioni di paternità, lotte tra le accademie enigmistiche e il nuovo pubblico di enigmisti “popolari” del cruciverba. Più sofferte nelle accademie, a dir la verità, che non trovavano il modo di dargli un posto che non fosse quello del parente volgare e negletto.

Non era questione da poco: il nuovo gioco sbancava dovunque e raccoglieva sempre più nuovi adepti. Non si trattava nemmeno di una moda passeggera.
Che fine avrebbero fatto le eleganti sciarade classiche degli enigmisti puristi, se si fosse continuato di questo passo?

Marco De Angelis: L’enigmista

Il cruciverba (il cui nome italiano si deve all’editore e scrittore Valentino Bompiani), o parole incrociate, è anche chiamato parole crociate, dalla denominazione a marchio registrato del famoso periodico milanese La Settimana Enigmistica, fondato dall’ingegnere sardo Giorgio Sisini.

La Settimana Enigmistica può tranquillamente essere considerata la madre delle riviste di enigmistica italiane per le mille particolarità che da sempre l’hanno contraddistinta come, per esempio, la catalogazione delle voci e dei quesiti su ogni numero, o il posizionamento fisso dei giochi e delle rubriche; per la collaborazione di firme illustri non solo in ambito enigmistico, ma anche grafico e illustrativo; per la singolare impaginazione grafica dinamica che, pur restando sempre se stessa, ruota secondo schemi definiti nella colorazione dell’inchiostro, nei personaggi della prima pagina, nella foto di prima pagina agli angoli del quadrato cruciverbistico che compie un giro completo nell’arco di quattro uscite. Le variabili che ne hanno fatto un periodico iconico e intramontabile sono molte.

Il primo numero di La Settimana Enigmistica è uscito il 23 gennaio 1932.
Nell’immagine l’attrice messicana Lupe Vèlez

Iconico, non solo perché è entrata in tutte le case, le tasche e le teste del Paese (chi almeno una volta nella vita non ha acquistato, letto, scritto su una Settimana Enigmistica?), ma anche perché è penetrata nell’immaginario cinematografico, letterario e musicale.

Totò e i re di Roma, Divorzio all’italiana con Marcello Mastroianni intento a leggere un numero della Settimana, Tolgo il disturbo con Vittorio Gassman in pigiama a un ricevimento alla ricerca della sua Settimana, sono solo alcuni esempi di eventi cinematografici in cui fa capolino la rivista di Sisini che, da passatempo e svago, assume connotati simbolici.

Come simbolico è l’amaro discorso del protagonista di Venere privata, romanzo nero del bravo scrittore Giorgio Scerbanenco, quando tira le somme sul genere umano e la sua capacità/incapacità di soffrire di fronte al delitto, al crimine, all’aberrazione: “Siamo troppo sensibili, cioè siamo ridicolmente divisi in due categorie nette, le pietre e i sensitivi. Qualcuno con un’accetta fa scempio della propria famiglia, moglie, madre e figli, poi in carcere, tranquillo, chiede di essere abbonato alla Settimana Enigmistica per fare le parole crociate. Qualche altro, invece, deve essere ricoverato al neurodeliri perché ha lasciato la finestra aperta, il suo gattino si è arrampicato sul davanzale ed è caduto dal quinto piano: ha ucciso lui il gatto, pensa, e impazzisce”.

 

Sotto le stelle del jazz di Paolo Conte, in una interpretazione di Gigliola Cinquetti (live 1993)

(…) Duemila enigmi nel jazz
ah, non si capisce il motivo…
nel tempo fatto di attimi
e settimane enigmistiche…
Sotto la luna del jazz…
……..

 

L’inizio del Novecento, periodo in cui la modernità si fa strada in tutti i settori, nel lavoro e nel tempo libero, nel costume sociale e nell’arte, nei trasporti e nell’informazione, segna anche l’apparire di giornali popolari rivolti a un pubblico che sta per assimilare tutte queste innovazioni. Innovazioni dalle quali sfocerà la cosiddetta cultura di massa, cioè un insieme di comportamenti e valori comuni alle fasce sociali più estese, in contrapposizione alla cosiddetta cultura d’élite, soprattutto nel campo della cultura.

Il quotidiano statunitense New York World, giornale uscito dal 1860 al 1931, tra i suoi supplementi ne aveva uno domenicale di otto pagine, Fun, in cui comparivano fumetti, vignette e giochi vari come rebus, rompicapi, indovinelli, quadrati di parole i quali, presi tutti insieme, in lingua inglese vengono chiamati puzzledom, mentre in italiano enigmistica.

Arthur Wynne (1871 – 1945)

Curatore del puzzledom di Fun era un giornalista originario di Liverpool, Arthur Wynne, che, per il numero natalizio del 1913, aveva pensato di introdurre un nuovo gioco. Mise a punto uno schema di parole incrociate a forma di diamante chiamandolo Word-Cross, incrocio di parole, che comparve nel supplemento il 21 dicembre del 1913. Sotto lo schema venivano date le informazioni per la compilazione e le definizioni e, come si può vedere nell’immagine sotto, ancora non aveva i quadratini neri a bloccare le parole. Qualche settimana più tardi, per un errore di stampa, comparve con il nome di Cross-Word, e così rimase.

È comunemente ritenuto il primo cruciverba pubblicato. Anche se poi vedremo perché l’invenzione del cruciverba è stata contestata.

Il primo cruciverba, pubblicato il 21 dicembre 1913 nell’inserto Fun del quotidiano New York World a opera di Arthur Wynne

Le reazioni a questo esordio furono antitetiche: negative quelle degli addetti ai lavori, soprattutto dei tipografi. A detta di Wynne positive quelle dei lettori, tanto che nel numero successivo ne pubblicò un altro.
Già a febbraio compariva un avviso in cui si diceva che il curatore della pagina aveva ricevuto nuovi interessanti cruciverba dagli stessi lettori e traspariva il velato invito generale a spedirne altri al giornale. Cominciarono così a piovere cruciverba con la firma dei lettori. Ma, a parte questo isolato evento, sul momento nessuno parve accorgersi della novità, tantomeno gli altri giornali.
Furono due le persone chiave a dare al cruciverba quell’impulso che avrebbe mantenuto nel tempo: Margaret Petherbridge, l’assistente di Wynne (che a un certo punto si era trovato la redazione oberata dai cruciverba dei lettori e aveva avuto bisogno di aiuto), e un giornalista carismatico e di punta, Franklin P. Adams, che, in sostituzione di Wynne, nel 1922 sbarcò al New York World. Già in precedenza dalle pagine di altri giornali per cui scriveva non gli era sfuggita la novità e aveva sottoposto all’attenzione generale il cruciverba, se non altro per sottolinearne con sarcasmo gli errori.

Pungolata da Adams, miss Petherbridge sviluppò finalmente un vero interesse per la sua mansione di redattrice e, grazie anche alle proposte e ai suggerimenti di alcuni lettori, mise a punto elementi e regole fondamentali del cruciverba come, per esempio, la definizione identificata da un solo numero.

Margaret Petherbridge Farrar (1897 – 1984)

Il vero colpo di scena del cruciverba avvenne tra dubbi e mancanza di convinzione.
Adams aveva portato nella redazione dell’inserto domenicale due giovani giornalisti decisi a esordire come editori, Richard Simon e Lincoln Schuster, i quali stavano pensando di pubblicare un libro di cruciverba, anche se con marchio editoriale diverso da quello con cui si presentavano nel mondo dell’editoria, cioè la Plaza Publishing, per evitare di ledere l’immagine della loro casa editrice nel caso di insuccesso. Miss Petherbridge, che nei suoi archivi aveva moltissimo materiale inedito, aderì al progetto. Adams restò a guardare, poco convinto degli esiti.

Anticipato da una pubblicità sul New York World, il libro uscì il 10 aprile 1924 con il titolo The Cross Word Puzzle Book, Un’antologia di cinquanta schemi di parole crociate selezionati come i migliori fra le migliaia che sono state sottoposte al “New York World”, firmata da miss Petherbridge, F. Gregory Hartswick e Prosper Buranelli, questi ultimi due brillanti collaboratori della redazione.
Fu questo libro la miccia di accensione per quel fenomeno che in lingua inglese venne chiamato crossword craze, la mania del cruciverba.
Cinque giorni dopo l’esordio gli uffici dell’editore erano straripanti di lettere di ordinazione, e nei mesi successivi furono 9 le ulteriori tirature che dovettero supplire all’esaurimento continuo delle copie in commercio.
Il caso era scoppiato.

Una raccolta rilegata delle prime edizioni di The Cross Word Puzzle Book. Probabilmente l’inserto manoscritto in allegato vuole essere un riferimento all’ultimo volume, e reca la data del dicembre 1925

La storia immediatamente successiva parla di raduni tra autori e solutori: il primo fu indetto dal New York World per discutere e votare un regolamento su tecnica e norme del cruciverba, in seguito alle proteste dei solutori (dove fu anche istituita una gara di soluzione che sarebbe stata la prima di una lunga tradizione che ancora oggi esiste negli States). Ci furono istituzioni di premi per il migliore solutore e si verificò una concorrenza sempre più massiccia degli altri giornali a pubblicare un proprio cruciverba. Il primo fu il diretto concorrente del New York World, cioè il New York Herald Tribune, che inaugurò un cruciverba quotidiano sulle proprie pagine.
La risposta del New York World fu immediata: il suo cruciverba non comparve più nel supplemento domenicale Fun e venne spostato sulle pagine del giornale diventando anch’esso quotidiano.

Il nuovo gioco trasformava le abitudini della gente, la passione sfociava in bizzarrie, la mania dava luogo all’umorismo d’autore e veniva illustrata in vignette e in tavole.

La mania del cruciverba in una tavola dell’illustratore e fumettista Clare Briggs: That Guiltiest Feeling, 1924 (The Celebrities Cross Word Puzzle Book, Simon & Schuster, 1925). Il pianeta si è trasformato in un unico enorme cruciverba. La personificazione del 1924 si dà alla fuga con “sentimento colpevole”, lasciando un 1925 in preda alla pazzia collettiva

Il cruciverba, che moda non era perché ancora oggi gode di ottima salute, entrava in molti settori dell’attività umana creativa. A volte con esiti artistici.

La sua griglia bianco-nera bene si adattava alla nuova percezione estetica introdotta dalle avanguardie del primo Novecento europee, approdate negli Stati Uniti grazie ad Alfred Stieglitz, il fotografo, mercante d’arte e mecenate che tanto fece per la divulgazione dell’arte moderna europea.
La sua storica Armory Show, la Rassegna Internazionale di Arte Moderna organizzata a New York nel 1913, aveva destabilizzato e sorpreso il pubblico statunitense quando si era trovato di fronte le opere degli impressionisti, dei cubisti, degli espressionisti.
Nella selezione operata per lo più da Arthur Davies e Walt Kuhn mancavano i futuristi italiani, ma la fondamentale mancanza venne colmata nella presentazione che se ne diede a San Francisco nel 1915, alla Panama-Pacific International Exhibition.
In particolare, a New York, avevano scandalizzato le opere di Henri Matisse e Pablo Picasso e, soprattutto, Marcel Duchamp con il suo Nu descendant un escalier.

Di fatto, questi due eventi artistici determinarono una svolta fondamentale nella cultura statunitense. Inoltre è di questo periodo la nascita del moderno collezionismo e delle grandi raccolte d’arte.
Quindi si verificò una tripla attenzione: artistica (dell’artista), di massa e di élite.

Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n. 2 (1912)

Perciò, quando la griglia bianco-nera comparve nei giornali popolari una decina d’anni dopo questi due eventi, e cominciò a ottenere il favore del pubblico, la gente stava già cominciando ad ampliare il suo gusto estetico e accolse con entusiasmo il design innovativo applicato anche a oggetti di uso comune sulla falsariga del gioco estetico del cruciverba. Senza contare l’apporto nelle arti visive, letterarie, cinematografiche.

Non mancavano i detrattori. Tra le proteste c’erano quelle dei bibliotecari, che si vedevano svuotati gli scaffali dei dizionari. D’altra parte erano sempre più soddisfatti gli editori di opere enciclopediche e vocabolari. Gli statunitensi si stavano istruendo.

Una ragazza in cerca della soluzione “Egyptian Sun God – Dio solare egiziano”, fatta sull’edizione del più piccolo vocabolario di cruciverba degli anni Venti

Un annuncio sulla presunta pericolosità della mania del cruciverba apparso su un giornale inglese: “Molte piccole biblioteche hanno per il momento rimosso i dizionari dai loro scaffali, per i danni fatti dai solutori di cruciverba. Il British Museum ha proibito l’accesso a questa gente. Un risultato di questa mania è il declino della lettura di romanzi, non ultimo, un declino nelle vendite del 25 per cento”

L’attrice statunitense Bebe Daniels (Phyllis Virginia Daniels) in una scena del film Miss Bluebeard, per la regia di Frank Tuttle (1925)

Copertina della rivista satirica Judge, 21 marzo 1925, illustrata da Ruth Eastman

Una pubblicità della ditta produttrice di strumenti musicali Girard Piano Co., 15 marzo 1925

L’arcano 9 dell’Eremita, the Hermit, in un mazzo di Tarocchi

Illustrazione di Ruth Eastman, anni Venti

Crossword Lexicon, New card game craze. Un mazzo di carte da gioco per comporre cruciverba

Un paio di orecchini della prima metà del Ventesimo secolo

Gioco da tavolo degli anni Settanta

Abito degli anni Venti

Nelle immagini più sotto, alcuni oggetti che in inglese vengono definiti vintage, dove la parola spesso ha un utilizzo molto sibillino. Sono oggetti per lo più moderni che riflettono il gusto dell’epoca che li caratterizzò, oppure che di vintage conservano solo l’apparenza, come lo stralcio di un autentico cruciverba degli anni Quaranta montato a ciondolo entro un medaglione.
Vintage significa “di annata, d’epoca”, e si dovrebbe presupporre che definisca qualcosa di vecchio, antico, autentico, originale. In realtà la parola vintage è molto spesso usata per denominare qualcosa che non è autentico, ma solamente richiama uno stile del passato.
La “sottigliezza” che ne comporta la differenza e gli importanti risvolti sembra passare in secondo piano.
Con l’utilizzo della sola parola vintage, la lingua inglese risolve molte questioni di ordine storico, culturale e anche economico.

Come ci riferisce Stefano Bartezzaghi, figlio del famoso enigmista Piero Bartezzaghi (alias Duca d’AlbaZanzibar Vittuone), nel suo splendido saggio L’orizzonte verticale, Invenzione e storia del cruciverba, la griglia bianco-nera entrò nel design di gioielli e bigiotteria, nei biglietti di auguri, nella confezione di abiti, nei trasporti (le linee ferroviarie principali della compagnia Baltimore and Ohio Railroad offrivano un dizionario in ogni scompartimento), nei menù, nella pubblicità, nei varietà, negli elementi di arredamento, perfino nella carta igienica.

Il frammento di un vecchio cruciverba montato a ciondolo entro un medaglione

Cappelliera

Un abito femminile che ricorda una linea anni Cinquanta

Anche nella pelletteria era entrato il gusto bicromatico del cruciverba. Questa versione moderna lo riprende.

Un altro capo di vestiario, stavolta dei pantaloni

Un fermasoldi

Una moderna caffettiera in stile art deco

Piastrelle da rivestimento per bagno, forse anni Sessanta

Due francobolli commemorativi statunitensi

E in Europa che cosa stava succedendo, in quel periodo?
La comunanza della lingua e la continuità dei rapporti tra giornali statunitensi e inglesi fecero sì che dapprima il cruciverba approdasse in Inghilterra.
C’era stata una prima segnalazione sulle pagine del mensile inglese Pearson’s Magazine, giornale che aveva anche un’edizione statunitense, in cui si parlava di un nuovo gioco e lo si descriveva come “un nuovo tipo di rompicapo”. Ma la cosa, per il momento, era caduta nel nulla.
Una seconda segnalazione apparve su New Statesman nel gennaio del 1924, dove il cruciverba veniva descritto sommariamente con le sembianze di una scacchiera contenente misteriosi numeri in alcune caselle bianche, e considerato un po’ alla stregua di una bizzarria curiosa d’oltreoceano.

Proposta umoristica di giganteschi cruciverba eretti nei pressi delle stazioni ferroviarie per intrattenere i passeggeri in attesa. Da un’illustrazione degli anni Venti, autore sconosciuto

Nel dicembre del 1924, il Times ne parlò come di una moda pericolosa estranea al territorio inglese, stilando statistiche in cui si affermava che ogni giorno venivano perse cinque milioni di ore lavorative per la distrazione causata dal cruciverba. Non accorgendosi che, appena un mese prima, il cruciverba aveva già fatto il suo approdo in Inghilterra sulle pagine del Sunday Express, l’edizione domenicale del quotidiano Daily Express.

Il virus maniacale, questa volta, avrebbe trovato terreno fertile. Anche se con tempi più lunghi rispetto agli Stati Uniti.
Altri giornali britannici, infatti, seguirono subito l’esempio del Sunday Express. E anche qui il nuovo gioco sollevò consenso, ma anche allarme, tra cui la messa in guardia da parte delle autorità sanitarie sulle emicranie provocate da stress oculare per chi compilava cruciverba.

Si trattava, però, di cruciverba esportati dalle pagine delle testate statunitensi, che male si adattavano alla raffinatezza culturale inglese, al suo diverso modo di percepire l’enigma e la contraddizione che dà luogo all’elegante situazione umoristica.
Fu questa discrepanza a fornire il materiale per la nascita di eruditi autori di cruciverba: Torquemada, pseudonimo del critico letterario e poeta Edward Powys Mathers, che in prima battuta innovò il cruciverba rendendolo più difficile, sapiente e arguto, fu una delle punte di diamante.
A differenza degli Stati Uniti, dove invece l’autore era un gruppo collettivo e campeggiava la figura dell’editor, in Europa la creazione del cruciverba sarebbe stata autoriale, anche se quasi sempre coperta da pseudonimo. Altri grandi autori inglesi sarebbero stati Afrit e Ximenes.

Infine anche l’aristocratico Times pubblicò il suo primo cruciverba nel gennaio del 1930: con questa resa l’avvento del cruciverba veniva sancito.

Un’opera pionieristica di Torquemada: The Torquemada Puzzle Book, in cui, oltre a cruciverba e altri giochi enigmistici, ci sono esempi di letteratura combinatoria (Victor Gollancz, 1934)

Mazzi di carte da cruciverba Kan-U-Go. Jarvis Porter Ltd, 1934

In Francia, il battesimo del cruciverba avvenne sulle pagine del settimanale Le Dimanche Illustré nel novembre del 1924, appena poco prima del suo dilagare in Europa. Non particolarmente originale, e ancora un tipo di cruciverba sulla falsariga di quelli pubblicati nel Cross Word Puzzle Book, veniva presentato come La Mosaïque Mystérieuse. Denominazione che dopo qualche numero si adeguò a una parallela traduzione di quella statunitense, cioè problème de mots croisés, cross word puzzle.
A ruota seguirono altri giornali. Il primo autore di spicco ad accorgersi delle potenzialità semantiche del cruciverba fu lo scrittore e giornalista Tristan Bernard che, in accordo alla lunga tradizione aforistica francese, cominciò a scriverne di suoi. Nell’aprile del 1925 fondò la prima rivista specializzata in cruciverba, Le Gril Hebdomadaire. Una novità assoluta dal momento che non esisteva un periodico specializzato nemmeno negli Stati Uniti, tutti pubblicavano su giornali di argomento vario.
Poco dopo pubblicò la sua prima raccolta e in seguito fondò la Académie des Mots Croisès, un club di amici letterati.

Dalle pagine del bisettimanale Candide, invece, uscirono i cruciverba di un amico di Tristan Bernard il cui incontro era stato determinante per il suo futuro di cruciverbista: Max Favalelli, famoso anche per i suoi quiz televisivi.
L’editoria non restò con le mani in mano: oltre alle varie raccolte, si diede alla pubblicazione di vocabolari,  cruciverba e lemmari, fra i quali alcuni diventarono opere di riferimento per autori, solutori e giudici di gare cruciverbistiche.

Bozzetto per figurino di moda femminile. Francia, anni Venti

Croisé mots, anni Trenta. Una foto a tema cruciverbistico del fotografo e illustratore francese Pierre Jahan (1909 – 2003)

Vald’es, pseudonimo del pittore, incisore e illustratore francese Louis Denis-Valvérane (1870 – 1943) e e dell’illustratore e designer Georges D’Espagnat (1870 – 1950): La folie des croisades. Copertina della rivista settimanale La vie parisienne, Maggio 1925

La notizia del nuovo gioco si sparse per tutta Europa: in Irlanda, Belgio e Olanda. Inoltre giornali inglesi arrivarono anche in Austria, in Germania e in Ungheria, dove risiedevano molti ex prigionieri reduci dalla Prima guerra mondiale che comprendevano la lingua inglese.
Ci furono esempi di cruciverba per bambini in catalano, ma il cruciverba di lingua castigliana arrivò solo nel 1941 grazie a uno schema ideato dall’attrice Conchita Montes.

I cruciverba russi, invece, esordirono a Berlino nei primi anni Trenta tra la moltitudine di fuoriusciti che sperava in un crollo del regime sovietico, tra cui c’era anche il padre dello scrittore e saggista russo Vladimir Nabokov.
Vladimir stesso fu autore di cruciverba e la griglia bianco-nera ricorre sovente nei suoi romanzi, o nelle sue testimonianze, in forma simbolica.
Per esempio, fra le domande rivolte a Nabokov dallo scrittore statunitense Herbert Gold (poi pubblicate in Paris Review nell‘ottobre del 1967), ce n’è una in cui lo statunitense chiede: “Può dirci qualcosa delle sue abitudini di lavoro? Scrive seguendo una tabella preordinata? Salta da una parte all’altra o fila dritto dal principio alla fine?”
L’inizio della risposta di Nabokov suona così: “Lo schema della cosa precede la cosa. Io riempio i vuoti del cruciverba nel punto su cui cade la mia scelta. Scrivo questi frammenti su schede, fino a quando il romanzo è compiuto”. (Vladimir Nabokov: Intransigenze; Adelphi Ebook, 2015).
O ancora, nel suo romanzo Re, donna, fante: “Una ragazza bruttina con un tic nervoso che sfoglia una vecchia rivista illustrata e si ferma davanti alla disordinata morte di un cruciverba: una matita indelebile ha rapacemente riempito quasi tutte le caselle bianche”.

L’inizio della Seconda guerra mondiale creò difficoltà al proliferare del cruciverba. In Francia, per esempio, poco dopo l’invasione della Polonia che apriva il conflitto, venne emanato un ordine di censura dal controspionaggio militare per impedire la pubblicazione di qualsiasi gioco che potesse contenere messaggi cifrati. In seguito alle proteste degli editori e degli appassionati enigmisti l’ordine fu ritirato e modificato, decretando che il cruciverba non doveva contenere più di 5 caselle nere.
Ma già dal 1934 il timore di messaggi crittografati all’interno del cruciverba, provenienti da forze di dissenso nazionale, si era manifestato anche nel governo tedesco.
Un’altra difficoltà fu anche la scarsità di carta per cui i giornali dovettero uscire in edizione ridotta nel periodo bellico, se non addirittura sospendere temporaneamente la pubblicazione.

La guerra non impedì, comunque, di organizzare concorsi di portata nazionale.
Famoso è quello indetto dal giornale britannico Daily Telegraph nel 1942. All’insaputa dei solutori che parteciparono – e che furono poi convocati sotto il titolo di confidenziale presso il comando militare inglese – il concorso era stato indetto perché il governo stava cercando esperti enigmisti per decrittare Enigma, una macchina elettromeccanica dall’aspetto simile a una normale macchina da scrivere che i tedeschi avevano adottato per cifrare le proprie comunicazioni, con opportune modifiche che impedissero la decrittazione nel caso fosse finita in mano ai nemici.
Oltre alla capacità mentale di risolvere messaggi cifrati, molto degli esiti fortunati da parte degli alleati, se non addirittura decisivi, fu dovuto anche agli sforzi per la messa a punto di contro-elaboratori, come l’ultimo costruito nel 1944, chiamato il Colossus.

Nel dopoguerra ulteriori messe a punto avverranno negli Stati Uniti: il New York Times pubblicherà per la prima volta un cruciverba nel corpo del giornale l’11 settembre 1950, Margaret Petherbridge Farrar introdurrà importanti modifiche, arriverà sulle scene come editor e autore Eugene Thomas Maleska.

Un modello di macchina Enigma (Museo nazionale della scienza e della tecnologia “L. Da Vinci”, Milano)

Un’edizione economica del romanzo di spionaggio e d’amore dello scrittore inglese Robert Harris, in cui vengono narrate le vicende che porteranno alla decodifica di Enigma. Tra i personaggi compare anche l’apporto del matematico Alan Turing, considerato uno dei padri dell’informatica. In seguito suicida perché perseguitato dalle autorità per la sua omosessualità

Ma torniamo indietro per un attimo, e riscriviamo la storia.
Stavolta non cominceremo dagli Stati Uniti del 1913, ma faremo un piccolo viaggio nell’Europa del 1890, precisamente in Italia.

L’enigmistica in generale ha una storia lunghissima e articolata alla cui origine stanno anche motivazioni esoteriche. Uno dei primi esempi storici è il famoso indovinello (secondo altre versioni gli indovinelli erano due) che la Sfinge greca pose a Edipo alle porte di Tebe: “Qual è l’essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?”. L’altro indovinello era: “Esistono due sorelle, delle quali l’una genera l’altra, e delle quali la seconda, a sua volta, genera la prima. Chi sono?”
Le giuste risposte di Edipo furono, per il primo l’uomo, perché durante l’infanzia cammina a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia, per il secondo il Giorno e la Notte.

L’enigmistica italiana recente aveva una tradizione iniziata nella metà dell’Ottocento, pur non essendosi mai diffusa presso il grande pubblico.
Un enigmista di Lecco, Giuseppe Airoldi (1861 – 1914), fondatore del Gruppo di Enigmofili e in seguito della rivista La Palestra Enigmatica, pubblicò il 14 settembre 1890 un “quadrato di parole” diverse con relative definizioni orizzontali e verticali su Il Secolo Illustrato della domenica dell’editore Sonzogno. Lo intitolava “parole incrociate” (!).
Il gioco fu ripubblicato per qualche numero, ma non ebbe successo e fu dimenticato fino a quando settant’anni dopo un altro enigmista, Angelo Zappa, ritrovò il gioco nell’archivio dell’Airoldi.
La notizia fece scalpore tra la stampa locale e il mondo enigmistico. Un intero capitolo su Giuseppe Airoldi fu dedicato da Mario Musetti (Il Troviero), enigmista e autore di numerosi saggi fondamentali di enigmistica, nella sua Fantastica storia del cruciverba.

Il già citato Stefano Bartezzaghi sconfessa questo primato italiano con argomentazioni di carattere tecnico, e con il riconoscimento che la nuova invenzione era iniziata e si era diffusa sulle pagine del New York World, e non altrove. Aggiungendo, inoltre, che la vera invenzione era stata la casella nera. E la casella nera era stata introdotta da Arthur Wynne.

Cartolina dedicata da Angelo Zappa a Giuseppe Airoldi (il documento proviene dal sito silvanorocchi.blogspot.it)

In Italia, l’avvento del cruciverba fu vissuto con quella frattura di cui accennavo all’inizio: subito si rivelò forte la resistenza dell’enigmistica per pochi, quasi iniziatica e definita classica, per distinguerla da quella popolare dei cruciverbisti.

Emilio Cecchi, giornalista, critico d’arte e letteratura, individuò subito, invece, le profonde implicazioni culturali, sociali e artistiche del nuovo gioco. Il suo moderno e lungimirante articolo-saggio Puzzle, apparso sulle pagine del quotidiano popolare Il Secolo dell’editore Sonzogno il 14 marzo 1925 (dunque nel momento in cui il cruciverba era in procinto di dilagare per tutta Europa), sarebbe stato l’apporto critico più importante del Novecento italiano.

Mentre nel 1925 i settimanali La Domenica del Corriere e Tribuna Illustrata pubblicavano i primi cruciverba, l’editore Arnoldo Mondadori pensò di dare alle stampe un volume sulla falsariga di quelli pubblicati dagli statunitensi Simon & Shuster. Ne uscì una pubblicazione con i fiocchi.
Fu curata da Valentino Bompiani (che ancora non era editore) e dal critico e traduttore Enrico Piceni, e illustrata dal pittore e illustratore di ascendenza cubista Piero Bernardini. Inoltre conteneva note tecniche, lemmari, aneddoti e storielle. Non solo, veniva ripubblicato anche il saggio di Emilio Cecchi e la prefazione era del noto linguista Fernando Palazzi, di cui ancora oggi è in commercio il suo Dizionario della lingua italiana. Si presentava con il titolo di Cruciverba, 50 problemi inediti scelti di parole incrociate.

Frontespizio di Cruciverba, 50 problemi inediti scelti di parole incrociate

Una illustrazione di Piero Bernardini. Mi è sconosciuta la provenienza di pubblicazione, ma sembra che decisamente raffiguri un ragazzino intento a risolvere un cruciverba (L’immagine appartiene al sito www.caldarelli.it)

L’8 febbraio 1925 esce per la prima volta un cruciverba sulle pagine della Domenica del Corriere. In terza pagina si legge il titolo: “L’indovinello delle parole incrociate”. Nell’immagine una delle note tavole di copertina di Achille Beltrame a tema cruciverbistico (La Domenica del Corriere, N. 7, 15 Febbraio 1926). Nella didascalia è scritto: “La passione per gli indovinelli delle ‘parole incrociate’. A Londra, in parecchie sale da ballo è collocato un quadro con un indovinello, e le coppie debbono cercare le soluzioni senza smettere di ballare”

Contemporaneamente a La Domenica del Corriere, un cruciverba compariva anche sulle pagine del quotidiano La Tribuna, sul suo settimanale La Tribuna Illustrata, sul suo mensile Noi e il mondo, e sulla rivista di giochi Play (dove venne pubblicato il primo, nello stesso momento in cui anche La Domenica del Corriere inaugurava la novità).
Direttore del quotidiano, dei due periodici connessi e della rivista di giochi era Pietro Silvio Rivetta di Solonghello, del quale avevo già parlato qui, e conosciuto dai più come Toddi.
Giornalista e intellettuale eclettico e aggiornato, aveva colto subito la novità e nello stesso anno, il 1925, aveva dato alle stampe un manuale, il Metodo per risolvere i Cross Words-Puzzle (Parole in croce), nel quale l’autore riassumeva in due decaloghi le regole per solutori e autori, conosciuti da ogni esperto di enigmistica.

Locandina pubblicitaria, 1925. L’illustrazione è di Toddi. Fra le mille cose fu anche un valentissimo illustratore

A parte Play, la rivista di giochi di Toddi, che però non era un periodico a diffusione massificata, in quel momento non c’era altro in Italia. La prevalenza di attività commerciali e rurali italiane, inoltre, faceva sì che il cruciverba del quotidiano – strumento molto letto dalla classe impiegatizia nei tempi morti e durante gli spostamenti da pendolare, ma che ancora era una minoranza nel Paese – non fosse il terreno più fertile per il nuovo gioco.
Ci pensò Giorgio Sisini a dare un colpo di coda magistrale, fondando La Settimana Enigmistica, di cui ho parlato proprio all’inizio e le cui capacità e inventiva tecnico-enigmistica-editoriali sarebbero rimaste ineguagliate. Il primo numero uscì il 23 gennaio 1932. Fu l’inizio di un successo che non sarebbe mai tramontato e che avrebbe avuto numerosissimi tentativi di imitazione.

Il ruolo più superficiale, cioè quello ludico, che il cruciverba in generale rappresentava, gli permise di passare indenne la Seconda guerra, scevro da partecipazioni politico-sociali. Seppure con limitazioni dovute alla mancanza di carta e a una copertura nazionale ridotta.

Giorgio Sisini

“Metaenigma”: uno schema di parole crociate inserito all’interno di un rebus, a firma di Arsenio B. e illustrazione di Elio Tonelli

Un simpatico rimaneggiamento del primo numero di La Settimana Enigmistica (la versione originale è in testa all’articolo)

Così, quando il conflitto bellico finì, la forza creativa congelata di autori e linguisti finalmente ebbe via libera e alle nuove riviste, tra cui bisogna menzionare almeno la Nuova Enigmistica Tascabile di Corrado Tedeschi e Domenica Quiz dell’editore Novissima (sottomarchio di Rizzoli), si alternarono pubblicazioni, manuali e lemmari di prestigio: Bibliografia della Enigmistica Popolare di Lino Zappa e relativi aggiornamenti, Enciclopedia Enigmistica di Alberto Pane e Ubaldo Pellegrini, la già citata Fantastica storia del cruciverba di Mario Musetti, sono solo alcuni dei titoli fra i più importanti della bibliografia cruciverbistica.
Numerosi furono gli autori di grosso calibro che via via aggiornarono e modernizzarono il cruciverba anche da un punto di vista linguistico, per esempio introducendo inglesismi.

Il cruciverba era diventato un fenomeno di portata nazionale e si esibiva su cartoline, nella pubblicità, la radio già in anteguerra mandava i Rompicapo a parole intrecciate nel suo programma Radio Orario, scrittori e artisti lo avrebbero incluso nelle loro opere.

Una cartolina galante a tema cruciverbistico, anni Venti (dal sito silvanorocchi.blogspot.it)

Una bella fotografia degli anni Quaranta/Cinquanta (l’autore mi è sconosciuto)

Una vignetta di Andrea Pecchia

Molti artisti coglieranno il senso del quadrato magico, della parola assente, del gioco di parola, della parola che diventa segno grafico e architettonico, dell’enigma.

Emblematici sono i lavori dell’incisore e grafico olandese Maurits Cornelis Escher…

Escher: Giorno e notte (1938)

Escher: Metamorphose

Escher: particolare (Metamorphose)

… o le griglie dell’artista statunitense Andy Warhol…

Andy Warhol: Campbell’s Soup Cans (1962)

Andy Warhol: 210 Coca-Cola Bottles, 1962

Andy Warhol: Crossword (1961)

… o il nostro Alighiero Boetti.

Alighiero Boetti

Alighiero Boetti: Copertine, Anno 1984. La monumentale opera di 12 pannelli riproduce a biro le copertine di riviste

Alighiero Boetti, La forza del centro, 1990

All’argomento si sono dedicati, magari solo per incisi simbolici, numerosi scrittori di letteratura gialla: fra i molti, basti ricordare il personaggio di fantasia, l’investigatore e appassionato solutore di cruciverba Nero Wolfe, dello scrittore statunitense Rex Stout.

Lo scrittore Leonardo Sciascia ha intitolato una sua raccolta di scritti Cruciverba, dove il titolo si fonda sull’idea di incrocio dell’argomentazione di base (orizzontale), attraversata da altri elementi minori a confermare e rinforzare l’idea (verticale).
E poi gli scrittori francesi Raymond Queneau e Georges Perec in La vita, Istruzioni per l’uso (che il secondo dedicava al primo), e Italo Calvino nel suo Il castello dei destini incrociati; tre scrittori in cui gli elementi matematico, combinatorio, linguistico, enigmatico ed enigmistico, giocano un ruolo chiave.

Anche in ambito fumettistico esiste un contributo di pubblicazione recente: una storia del cruciverba in due volumi dello scrittore e fumettista Paolo Bacilieri: Fun (2014) e More fun (2016). Titolo in omaggio, come abbiamo visto, all’inserto domenicale Fun del giornale New York World, dove comparve il primo cruciverba di Arthur Wynne.

Paolo Bacilieri: Fun (Coconino Press, 2014)

Paolo Bacilieri: Un tavola da More fun (Coconino Press, 2016)

Come può un semplice gioco sollevare così tanto interesse in un pubblico così eterogeneo?

Con ogni probabilità, per l’inconscio ricordo collettivo della sua origine sacra e antichissima.
In epoca cristiana, per esempio, si rivelò nel quadrato magico alfabetico: una sintesi per eccellenza, il più noto dei quali è SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS (Il seminatore tiene all’opera le ruote del suo aratro), parole che potevano essere lette in qualsiasi direzione e che parrebbero riferirsi all’elemento divino intento a seminare le sue parole. L’aratro è il simbolo della croce, a sua volta simbolizzata dall’incrocio delle parole.
E la croce è uno dei simboli più antichi della storia umana, comune a tutte le civiltà. Ne parlai qui, a proposito dello svastika.

 

 

 

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5 commenti

  1. Nero Wolfe risolve i cruciverba del Times perchè inconsciamente li sospetta di contenere una oncia di quel caos da cui rifugge attraverso una serie di filtri, il primo dei quali è la sua casa di arenaria della Trentacinquesima Strada. Il suo assistente Archie Goodwin è una concessione alla tendenza del mondo fuori a non seguire logiche binarie. Se si potesse sfilettarlo come una sogliola, non avremmo un enimma della Sfinge quanto un acrostico bizzarro come è pittoresco il modo di Goodwin di raccontare i casi che risolve il suo ” signore e donno “. Leo Sciascia ci dice che il suo Candido soleva fare le parole crociate colle immagini. Negli anni settanta Leo aveva già pensato alla teoria secondo cui la realtà è data da due coordinate cartesiane che la mente umana, nel tentativo di comprenderla o almeno sopportarla , trasforma in un ologramma tridimensionale che accade ora e ieri e sempre e di giorno e di notte, contemporaneamente, che ci si regga su quattro zampe o su tre , se è vera anche la teoria delle stringhe.
    Sposo il primo venuto, tre lettere ( Eva ndr ) è forse la traccia che da sempre Leo e Rex e Bacillo Bacilieri e tutti gli altri che hanno piazzato una casella nera ogni tanto per fermarsi e prendere fiato per poi riprendere il bastone ed indicare un nuovo incrocio da qualche parte sanno che siamo tutti sensitivi che scrivono sulla pietra una storia che è tutte le storie e che tutte le interseca. Alcuni sono solutori più abili. Altri , più fortunati forse, possono restare, come Candido, con il muso verso nord ad ibridare le immagini come Nero le orchidee…

  2. Bel commento, Crepascolo. Che aggiunge elementi perfino poetici a un qualcosa che per forza di cose non poteva che essere stringato.
    Ne approfitto per fare anche una mia considerazione.

    Ho decapitato la parte conclusiva dell’articolo per motivi professionali. Ma qui nei commenti mi permetto di inserirla e vale come contributo di lettrice, beninteso.

    Lo psichiatra e filosofo Carl Gustav Jung, per spiegare questa passione generale, avrebbe parlato di “archetipo”, cioè di quell’essenza che sta alla radice e dà vita a un simbolo comune a tutte le culture, essenza che si manifesta nel cosiddetto inconscio collettivo dando luogo a una risposta automatica e ancestrale.
    Nella sua lezione, a fronte del desiderio umano di essere libero e non soggiacere, l’essere alle prese con un archetipo denota la volontà di volersi liberare da questa automaticità, cioè dalla coazione, per conquistare una propria coscienza individuale, cioè liberarsi. E questo lo si raggiunge integrando l’archetipo (com-prendendolo) con la propria coscienza.
    Se è vero quello che disse Jung a proposito degli archetipi, un movimento collettivo spontaneo che dà luogo a compulsione, passione sfrenata, bizzarrie, a volte anche un lato paradossale, ma anche a creatività ed evoluzione, sorge dal bisogno e per la ricerca di qualcosa.
    Un qualcosa che, nel nostro caso, si manifesta nello schema di un quadrato magico, della croce, della quaternità.
    Il numero 4 è oggetto d’indagine da sempre nella storia umana. Negli Arcani Maggiori è rappresentato dall’Imperatore, un segno che simbolizza la volontà di portare a termine l’unione degli opposti, che simbolizza il divino, un segno che mostra la qualità dei rapporti che intercorrono tra la mente ‘quadrata’ del razionale e le dimensioni che la ragione non raggiunge.
    Dunque che cosa ci sta dicendo il cruciverba, di cui nemmeno una guerra riuscì a scalfire la portata di interesse e il cui culmine frenetico durò per tutto un lunghissimo dopoguerra? Che l’archetipo chiama perché non è stato ancora ben compreso?

  3. Confesso di non percepire il fascino dei numeri – non ti dico la fatica per memorizzare i pin della banca – ma mi piace la teoria del signor Jung ( Forever Jung canterebbero gli Alphaville ) secondo la quale i cruciverba cerchino di richiamare l’attenzione su di un Momento Ics in cui l’essere umano era consapevole di essere una definizione su di una tavola quadrettata che si interseca , imprevedibilmente, con altre e ha i suoi limiti in caselle nere. Sempre per stare nel Mito, il nostro precipitare nell’ologramma tridimensionale potrebbe assomigliare al momento in cui la tizia che sposò il primo venuto gli fece assaggiare un frutto proibito, anche se mi piace pensare che la cosa ricordi più il momento in cui il più splendente degli angeli decise che era un solutore troppo in gamba per le parole crociate facilitate e si ribellò collo scopo di imporre quelle a schema libero, il che , da quello che ricordo, non gli portò poi grandi vantaggi. So goes life…

  4. Il più splendente degli angeli… Secondo Harlan Ellison, il vantaggio lo avrebbe avuto in tempi lunghi, molto lunghi.

    Perché mi hai fatto tornare in mente una sua storia, L’uccello della morte, un geniale racconto che ha vinto anche un Premio Hugo, in cui i ruoli di Adamo, Eva e il serpente, nonché di Dio e Satana vengono raccontati da un punto di vista sorprendente. Senz’altro nuovo.

  5. Non ho letto il racconto, ma Satana è a volte immaginato come un tizio che racconta una storia. Penso al Kaiser Soze dei soliti sospetti , per esempio.
    Una idea per Harlan nel caso sia in rete : in principio tutto era un cruciverba perfetto colle definizioni univoche e le caselle nere nel ruolo di hic sunt leones. Nella fabbrica prima del Tempo – praticamente un monastero alla Nome della Rosa – scriba incollati al seggiolino creano nuove pagine fino a che uno di loro – una anomalia – non ha alzato lo sguardo dal foglio dopo aver creato la Definizione Ambigua ovvero Noto Quotidiano di Gran Formato che è sia il giornale sia il pane ( formato di grano ndr ). Avrebbe potuto cancellare. Ha scelto altrimenti. Il dubbio è nato con quel gesto.

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