LA DECOMPRESSIONE COLPISCE IL FUMETTO AMERICANO

LA DECOMPRESSIONE COLPISCE IL FUMETTO AMERICANO

Un male oscuro serpeggia tra le pagine dei fumetti americani, nei nostri amati comic book.
Iniziata in sordina una quindicina di anni fa, l’epidemia sembra aver attecchito profondamente fino al punto di essere diventata una sorta di endemia. La piaga ha un nome: decompressione!

La decompressione è una tecnica di sceneggiatura caratterizzata dalla enfatizzazione degli elementi visivi rispetto a quelli testuali. Nella definizione è inglobata anche l’attenzione posta sugli oggetti e le espressioni facciali, il rilievo dato alle interazioni tra i personaggi, la cura nella rappresentazione di gesti quotidiani (che prima si immaginavano avvenuti nello spazio invisibile tra una vignetta e l’altra) e, infine, l’abbondanza di scene d’azione assolutamente fini a se stesse.


Questo modello rappresentativo, che è l’esatto contraltare del comic book tradizionale, fu lanciato da Warren Ellis e Bryan Hitch in “The Authority”, la serie della Wildstorm uscita a fine anni novanta.
Pur essendo superumani, i membri di quel gruppo vivono la loro “normale” vita quotidiana con comportamenti e bisogni che non li differenziano dai comuni mortali. Ellis si limita a punteggiare la sceneggiatura con pochi balloon, lasciando il compito descrittivo alla innegabile perizia grafica di Hitch.


Da allora, il fenomeno ha preso piede. Progressivamente i ritmi di lettura vengono accelerati, rendendo sempre più breve la fruizione di un singolo albo. Autori di punta come Brian Michael Bendis portano la decompressione alle estreme conseguenze, riducendo all’osso la parte di storia sviluppata nell’albo.
Incredibilmente il fenomeno dilaga, ma nulla è casuale. Alla base del trionfo della decompressione c’è il boom dei trade paperback (con tutti gli albi che compongono la storia), dell’influenza della televisione e dell’arrivo in massa dei manga negli Stati Uniti.

Le Case editrici spingono gli autori a scrivere le proprie serie regolari secondo cicli narrativi di 5-6 storie per essere coerentemente pubblicati in volume. La stessa idea che prima serviva alla realizzazione di 22 pagine, viene dilatata a dismisura per arrivare a più di cento per volume.

Nel frattempo, la televisione e i videogiochi hanno “formato” una generazione di lettori prettamente visiva che focalizza la sua attenzione sull’immagine… È il disegno che deve dire (quasi) tutto, a discapito dei dialoghi.
L’approdo alle sceneggiature di numerosi autori di serial tv contribuisce a portare l’attenzione verso l’introspezione psicologica, che dilata ulteriormente i tempi della narrazione.

I manga, infine, dopo una prima fase in cui la loro influenza si era avvertita maggiormente sui disegnatori, hanno cominciato a fare proseliti tra gli sceneggiatori, che hanno introiettato i ritmi orientali, arricchendo le storie di sequenze fatte solo di particolareggiati primi piani o di dettagli sugli oggetti.

Certamente oggi, con tutta probabilità, esigere storie soffocate dai ballon è del tutto anacronistico. Le storie verbose e le saghe dai tempi biblici alla Claremont forse non riuscirebbero più a carpire l’attenzione duratura dei lettori.
Però è anche vero che molte volte dietro la decompressione si nasconde un vuoto pneumatico.

Una mezza idea diventa il pretesto per una serie principale e una sterminata schiera di spin-off e tie-in.
Certe eccessive elucubrazioni stilistiche paiono incomprensibili e sfociano nel puro artifizio tecnico.
La soluzione potrebbe essere nel bilanciamento degli eccessi, con uno storytelling “compresso” che non rinunci a quegli elementi della decompressione che una loro valenza hanno dimostrato di averla.

 

 

4 commenti

  1. Così facendo l’azienda incassa – o spera di incassare – il più possibile. Cerco di tenere il piede in due staffe: faccio finta, caro lettore Usa, di fare l’opuscoletto a voi tanto caro, ma la storia è, in realtà, scritta per essere poi raccolta in un volume. Cioè come si fa un Europa. Storie in volumi di circa 100 pagine.
    Cosi l’editore spera di non far arrabbiare il lettore tipico americano, e poi – siccome non si butta via niente – TUTTE le storie le ristampo in volumi.
    E sai poi cosa dico… la chiamo con un termine fico… la decompressione… perché ovviamente prima le storie erano troppo prolisse (ovviamente in parte è vero) che è sinonimo di allungamento del brodo con acqua.
    Non mi sembra il massimo dell’onestà. Ma così è…

  2. Questa analisi in gran parte è corretta, ma c’è qualche inciampo qua e là. Il primo è la questione dell’introspezione psicologica: non è lei a rallentare i ritmi oggi, per il semplice motivo che oggi è del tutto assente. Per alimentare la grancassa di un marketing demenziale si sono storpiati i personaggi rendendoli psicologicamente non plausibili. Inoltre non si capisce cosa si intende per saghe “lunghe alla Claremont”. L’eccessiva lunghezza è quella di oggi:la decompressione consiste proprio nell’allungare il brodo il più possibile vista la totale mancanza di idee. Qualcuno ricorda “giorni di un futuro passato”? Un intero nuovo universo in due storie.

  3. Tante teste tante sentenze, ma mi permetto – senza alcuna intenzione di sovrapporre la mia idea a quella di chi ha scritto l’articolo – di muovere qualche obiezione.
    Ellis ed Hitch portano su carta l’estetica del cinema spettacolare poco prima che il fenomeno riguardi anche i film con supereroi. Hitch ha realizzato anche un paio di cicli degli Ultimates che sono alla base del look degli Avengers del Marvel Cinematic Universe. Ellis rende rarefatti i dialoghi – come non aveva fatto in tanti suoi lavori precedenti fino al rilancio di Stormwatch – al servizio della azione rappresentata nelle tavole di Hitch e Neary.
    Bendis è tutta una altra faccenda. Paragonato a Tarantino , cita invece la costruzione dei personaggi via dialoghi di David Mamet. Impone spesso ai suoi disegnatori campo e controcampo di due personaggi che si parlano per tavole ( si veda per esempio lo Hellspawn di Ashley Wood ). Angel Medina ha lavorato ai suoi Sam and Twitch , ma qualche anno fa ha rinunciato ad una run su una delle tante testare di Avengers che allora Bendis scriveva per non tornare a disegnare tonnellate di vignette di campi e controcampi. Bendis sovrascrive il disegnatore. Sperimenta naturalmente ed i suoi Mighty Avengers con Frank Cho e con i balloons di pensiero che di solito evita ricordano la JLI di DeMatteis/Giffen, ma i suoi DD e Moon Knigt con matite e foto elaborate via software ( nel caso di Spider Woman nei credits è addirittura ringraziata la modella ) sono un trionfo dello sceneggiatore sul disegnatore che è chiamato spesso a filmare su carta ( il Tommy Lee Jones nei panni di Norman Osborn di tante storie di Mike Deodato jr ). Alberto Ponticelli al tempo di una sua infelice avventura sulle pagine di Sam and Twitch ( le chine imposte equalizzarono le sue matite perchè non si allontanassero troppo dal segno di McFarlane/Capullo/Medina ) disse che Bendis inviava colla sceneggiatura uno storyboard con pupazzetti disegnati ( in passato ha prodotto fumetti come autore unico ) .
    La narrazione decompressa in Bendis è uno strumento perchè il lettore si affezioni al personaggio. Il “suo” zio Ben in Ultimate Spider Man non muore immediatamente ed abbiamo tempo di conoscerlo ( pare che la moglie di Bendis gli abbia chiesto se davvero aveva intenzione di piallarlo ).
    I fumetti di Bendis potrebbero essere letti alla radio e compresi al 99 %. L’equivalente di ” film per ciechi ” con cui Marco Ferreri bollava pellicole verbose come Il Pranzo di Babette.
    Esiste narrazione decompressa al servizio delle matite chine. Lo Ed Brubaker che scrive Catwoman per il compianto Darwyn Crooke inchiostrato da Mike Allred o per Dev Madan o Cliff Chiang o Javier Pulido.
    E’ narrazione decompressa il Brian Azzarello al lavoro con Marcelo Frusin o con Edoardo Risso.
    Personalmente ritengo che la ND sia stata incentivata dalle majors per la raccolta in paperbacks e che questo faccia assomigliare le storie ad albi SBEllici di cento paginette ( sono anni che lo dico e scrivo ), ma dal punto di vista della struttura credo che la ND abbia un padre nobile cioè il lavoro di Chris Ware che tanto è stato citato negli ultimi anni.

  4. Conosco bene Bendis dai tempi di Jinx. Che a suo tempo mi era piaciuto. Non l’ho piu riletto comunque.
    La decompressione – normalmente usata in Giappoone – è stata criticata per il fatto che un libricino Usa di 20 pagine che esce una volta al mese – ad un costo molto elevato – non è forse il posto ideale per mettersi a fare la decompressione. In Giappone il prezzo/formato/cultura/pubblicazioni sono diversi.

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