I PIONIERI DELLA FANTASCIENZA

I PIONIERI DELLA FANTASCIENZA

Da dove proviene l’universo letterario che chiamiamo fantascienza? Chi sono gli anticipatori che aprirono la strada a un genere solo in apparenza slegato dalla realtà, ma invece aperto a una descrizione lucida e spesso corrosiva del presente, riuscendo in certi casi a superare perfino la censura con l’escamotage di un’ambientazione aliena, temporale o fisica?

Incontro di Gilgamesh ed Enkidu (Epopea di Gilgamesh, III millennio a. C.)

Secondo alcuni, la fantascienza avrebbe origini antichissime: con la Bibbia, l’Iliade, l’Odissea, o l’epopea di Gilgamesh. 

Jacques Bergier (coautore insieme a Louis Pauwels del famoso Il mattino dei maghi, Introduzione al realismo fantastico), partendo dal presupposto che Dracula sia realmente esistito e che sia esistito veramente un signorotto dell’Europa centrale che uccideva i bambini per berne il sangue, arriva a dire che, se si ammette che questa è estrapolazione a partire della realtà, si tratta di reale fantascienza. Mentre il romanzo La macchina del tempo (The Time Machine) di Herbert George Wells, la cui macchina è un’assurdità e puro prodotto di fantasia dal punto di vista strettamente scientifico, sembrerebbe genere puramente fantastico.

Jacques Sadoul (La storia della fantascienza, Histoire de la science fiction moderne, 1973) pone i germi dell’inizio della fantascienza con il viaggio sulla Luna narrato nel dialogo Icaromenippo dello scrittore greco Luciano di Samosata (120 – tra il 180 e il 192 d. C.). E Le avventure del barone di Münchhausen di Rudolf Erich Hasper (1785) sarebbero una parziale imitazione dell’opera di Luciano.
Di un altro viaggio sulla Luna ne parla ancora prima, nel 1657, Savinien Cyrano de Bergerac in Histories comiques par M. Cyrano Bergerac, contenant les Etats et Empires de la Lune.

Luciano di Samosata: I primi uomini sulla Luna (Scarrone, 1969)
Edizione divulgativa per ragazzi.

Una vecchia edizione delle Avventure del barone di Münchhausen (Firenze, Salani, 1913). Illustrazioni di Bongini.

Continua la sua scorreria fantastorica menzionando I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1726). Approda alle opere non erotiche di Restif de la Bretonne che pubblicò una delle prime storie del mondo perduto: La Découverte australe par un homme volant, ou Le Dédale français (1781), e in seguito, qualche anno dopo, L’An 2000, ou La Régéneration, che già rientra in territorio di anticipazione. Per arrivare infine a Mary Shelley la quale, per scommessa, nel 1817 scrisse Frankestein, dal nome dello scienziato che costruì il famoso mostro, anche se Sadoul aggiunge che sia esagerato reputare il lavoro della signora Shelley come una delle prime opere del genere fantascientifico.
Naturalmente pone Edgar Allan Poe, da cui fa discendere il fantasy e il fantastico che influenzò molti scrittori di fantascienza, Jules Verne e Hergert George Wells, come padri fondatori della fantascienza.

Approfondisce la fantastoria approdando prima in Inghilterra, poi ritornando sul continente e, infine, oltreoceano, menzionando rispettivamente per provenienza geografica: La donna eterna, di Rider Haggard (1886) e Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde, di Robert Louis Stevenson (1886).
Sul continente Gli Kipéhuz (Les Kipéhuz) di J. H. Rosny aîné (1887), scrittore belga di lingua francese. Oltreoceano Guardando indietro (Looking Backward) di Edward Bellamy, bellissima utopia sociale (1888); Il tallone di ferro (1907) e Il vagabondo delle stelle (1915) di Jack London, il primo una anti-utopia e il secondo un’escursione del protagonista nel suo tempo anteriore. Personalmente ritengo più strettamente “fantascientifico” il primo mentre il secondo, Il vagabondo delle stelle, mi sembra più un viaggio metapsichico ma, se riteniamo tecnologia mentale lo spaziare attraverso il tempo con le sole facoltà ultrasensitive umane, allora è giusta l’affermazione di Sadoul.

Edward Bellamy: Looking Backward 2000-1887 (Guardando indietro). Ward Lock & C. editori, fine Ottocento.

Jack London: Il vagabondo delle stelle (The Star Rover). MacMillan, 1915.

Un libro che ritengo fondamentale nella protostoria della letteratura  fantascientifica, o logico-fantastica come è stata anche denominata, è Flatlandia (Il mondo piatto), di Edwin Abbott Abbott, teologo e insegnante inglese (Londra, 1838 – 1926).
È la prima opera letteraria in assoluto che parli di geometria euclidea e superamento della geometria euclidea tridimensionale, con un’acutissima ipotesi di oggetti proiettati in uno spazio di quattro, cinque, sei dimensioni.
La prima edizione fu pubblicata in anonimato nel 1884, con l’intento pedagogico di tradurre astrazioni in una simbologia tangibile. Secondo Masolino D’Amico, invece, fu pubblicata per la prima volta nel 1882. Michele Emmer sembrerebbe tenere per buona la data pubblicata nel fondo bibliotecario nazionale inglese, cioè 1884, anno all’interno del quale sarebbe seguita subito una seconda edizione riveduta, e stavolta con il nome dell’Autore. Entro il 1915, furono nove le ristampe. Ma il vero successo dell’opera arrivò solo dopo che Einstein pubblicò la teoria della relatività.

È strumento di lettura e analisi non solo in ambito fantascientifico, ma anche letterario, filosofico e religioso, in quanto realizza la fondamentale domanda di come l’uomo possa porsi davanti alla trascendenza, oltre che essere un’esegesi e una dimostrazione estremamente poetica di matematica n-dimensionale.
Sarebbe altamente auspicabile una versione per bambini da introdurre in ambito scolastico-elementare: è singolare come all’inizio del terzo millennio l’analfabetismo dimensionale sia diffuso. Infatti pochi adulti saprebbero verbalizzare la quarta dimensione, tanto meno la quinta. È anche vero che l’avvento della computer graphic, per la prima volta nella storia, ha reso possibile in modo intuitivo la visualizzazione e la comprensione del movimento dell’ipercubo anche ai non addetti ai lavori. Basti pensare a un cartone tridimensionale della Walt Disney.

Alcune illustrazioni di Flatlandia, riprese dalla versione originale.

da Flatlandia, I

da Flatlandia, II

Anche Edgar Allan Poe fa scuola creando meravigliose ipotesi di come l’impiego scientifico possa funzionare relazionato alle scienze occulte, e crea mondi articolati da cui sarebbero stati ispirati Howard Phillips Lovecraft e numerosi autori di fantasy.

Jules Verne affronta il tema della scienza con l’amore per l’innovazione e descrivendo una tecnologia del futuro, ma sperimentando anche una poco conosciuta narrazione apocalittica dove un cataclisma annienta quasi del tutto il genere umano (L’eterno Adamo).

Infine H. G. Wells darà vita a tematiche che, nelle generazioni successive, saranno grandemente sviluppate: utopie sociali, filosofia sull’Uomo, ostilità extraterrestri o comunque non umane, invisibilità ottenuta mediante l’impiego della scienza.

Queste premesse fantastoriche servono a Sadoul per convalidare il fatto che, a parte Edgar A. Poe, Edward Bellamy e Jack London, nessun statunitense può essere considerato uno dei grandi precursori della fantascienza e che “la fantascienza moderna è un genere di origine europea che ha trovato la sua terra d’elezione negli Stati Uniti e là si è sviluppata meglio che altrove”

Giulio Verne: Voyages extraordinaires, Les Aventures du Capitaine Hatteras au Pôle Nord (Viaggi straordinari: Le avventure del capitano Hatteras al Polo Nord).
Copertina di Hetzel, dalla collana Aux deux éléphants.

H. G. Wells: The War of the Worlds (La guerra dei mondi). Hodder & Stoughton, 1910.

Una vecchia edizione per ragazzi della UTET: Racconti straordinari, di Edgar A. Poe, 1945. Collana “La Scala d’Oro, serie VIII, n. 9”

La frammentazione europea, linguistica oltre che politica, e un diffuso analfabetismo nell’Europa del XIX secolo – che pure aveva dato i natali a tutta la scienza occidentale – originò difficoltà alla pubblicazione di periodici che, per fattori economici, avevano invece bisogno, allora come oggi, di lettori che li leggessero regolarmente; anche perché il pubblicato rimaneva nel proprio nazionale e non superava rapidamente i confini politici e linguistici, a causa di questo spezzettamento.

Le uniche possibilità di sopravvivenza potevano averle riviste di contenuto diversificato, mentre riviste “specializzate”, cioè rivolte a una élite di una qualche disciplina e che costituivano il tessuto per un pubblico scientifico o letterario, erano destinate a naufragare.

Le cosiddette pubblicazioni di contenuto diversificato, a loro volta, si differenziavano in periodici di carattere popolare, rivolti a un pubblico di modesta cultura o per ragazzi. Oppure erano periodici di divulgazione, diretti a una borghesia che poteva aspirare a diventare in futuro anche clientela per quelle specializzate.

All’interno dei periodici di carattere popolare, in Francia si sviluppò il feuilleton, preferibilmente un romanzo suddiviso in puntate che imponeva una tecnica narrativa “a singhiozzo” e che doveva mantenersi a ogni stacco, per questa sua prerogativa, stuzzicante ed emotivamente suggestiva, al fine di indurre il lettore a continuarne la lettura forzatamente bloccata.

In Inghilterra, invece, si sviluppò un tipo di racconto autoconclusivo, ma parte di un unicum, che doveva costituire un vero e proprio romanzo, perché, a differenza della Francia che pubblicava su periodici quotidiani, in territorio inglese questo genere di narrativa popolare veniva pubblicato su periodici almeno settimanali.

È in questo quadro storico-sociale che, alla fine del XIX secolo, cominciano a inserirsi i primi grandi nomi fantascientifici, in particolare H. G. Wells. Mi riferisco, in particolare, all’apparizione dei suoi primi racconti ospitati su Fortnightly e su The Pall Mall Gazette.
La vera nascita di un genere si ebbe comunque nel 1895, con la pubblicazione del suo famosissimo The Time Machine, in cinque puntate, sulla nuova rivista The Strand.

H. G. Wells: The Time Machine, Una vecchia edizione popolare statunitense.

I primi passi dell’Italia verso la narrativa popolare e fantastica

Se ho menzionato il fattore mosaico europeo dell’Ottocento, tanto più il discorso vale per l’Italia dove, all’interno dei suoi confini naturali, non solo era spezzettata in vari Stati, ma addirittura alcuni di essi erano ostili fra loro oppure suscettibili di una dominazione straniera.
Questo portò l’editoria italiana, soprattutto nel settore dei periodici, a un sensibile ritardo rispetto alle altre nazioni europee nel proporre quella che per ora è meglio definire letteratura fantastica. E a indirizzare quasi esclusivamente il suo interesse verso i ceti più colti, con la sola trattazione di temi indubbiamente elevati.

La cultura popolare italiana di quel tempo si affidava ancora alla tradizione orale nella figura dei cantastorie, oppure si sviluppava attraverso i temi tradizionali del romantico proveniente da storie cavalleresche e d’amore, appartenenti a classici come la Francesca da Rimini, i Cavalieri della Tavola Rotonda, Orlando, etc… La cultura più elevata, invece, era troppo alle prese con le lotte politiche che tendevano all’unità d’Italia per sviluppare altri temi.
Tant’è che gli scossoni della Rivoluzione Francese e le idee rivoluzionarie degli illuministi, puntualmente soffocati, penetrarono nel nostro paese con un certo ritardo, e fu solo verso il 1830 che l’editoria italiana cominciò a dedicare qualche spazio a un romanticismo “d’evasione” che si metteva a contrasto con quello “impegnato” di un Francesco Domenico Guerrazzi, di un Cesare Cantù o di un Massimo D’Azeglio.

L’unità del Regno si trovò alle prese con una popolazione di 25 milioni di abitanti, con un tasso di analfabetismo che variava dal 10 al 50 per cento e con un pubblico potenziale di lettori i cui gusti erano quanto mai eterogenei. Ma l’impulso all’alfabetizzazione e le mutate condizioni politiche, che avevano dato libera circolazione alla stampa su territorio italiano, cominciarono a dare qualche risultato.

Un esempio e punta di diamante della nuova intraprendenza editoriale fu Edoardo Perino, un piemontese che si installò a Roma con la ferma convinzione di fare l’editore. Aprì una tipografia che divenne la più importante della capitale, fondò un quotidiano, Il Corriere Quotidiano, e lanciò la vendita delle dispense, cioè libri stampati a fascicoli settimanali, venduti con il sistema del porta-a-porta agli abbonati.
I temi di questi libri a puntate dovevano essere interessanti e raggiungere un pubblico sprovveduto – che era la massa – e quindi si mescolava La vita di Garibaldi alla storia di Beatrice CenciLa vita di Gesù a La vita del brigante Gasperone.
Il successo commerciale di una pubblicazione compensava il fallimento di un’altra: Beatrice Cenci, nella ricostruzione opinabile del Guerrazzi, raggiunse le centomila copie!

Si diffuse l’uso del romanzo a puntate, feuilleton d’importazione, che aveva la doppia funzione di incrementare la quota di vendita del quotidiano e, in una fase successiva, si trasformava nelle dispense vendute porta-a-porta.
L’Italia fu letteralmente invasa da Alessandro Dumas, Walter Scott, dal socialismo spicciolo di Eugenio Sue e i drammoni di Edward Bulwer-Litton che raccontava Gli ultimi giorni di Pompei (romanzo storico del 1834), dalle avventure di Rocambole narrate da Ponson du Terrail.

Nel mare di letteratura popolare che stava per dilagare, si inserivano i periodici per ragazzi di carattere didattico; e i periodici per gente di media cultura che, alla stregua dei francesi Les Musée des Familles o Le Magasin Pittoresque, si davano un’aria di contesto scientifico, inserendo scienza e tecnologia entro una forma di novità o curiosità, come L’Illustrazione per tutti.

Una tavola di argomento scientifico proveniente da Le Magasin Pittoresque, 1874. Rappresenta un osservatorio astronomico.

Il primo numero della rivista “L’Illustrazione per tutti”, 4 Gennaio 1891 (Edoardo Perino editore).

Bulwer-Litton: Gli ultimi giorni di Pompei (traduzione italiana del 1935, per i tipi di Aurora). Dal romanzo vennero tratte numerose versioni cinematografiche.

Nel corso del secolo, apparvero sempre più nuove testate e un punto fermo restava l’interesse per la scienza, divulgato a un livello generale d’informazione.
A Milano, dal 1826, usciva Annali universali di Tecnologia, Agricoltura, Arti e Mestieri; a Bologna, dal 1838, Il solerte, un settimanale che si occupava di scienze, lettere, arti e mode; a Torino, dal 1839, Il Museo scientifico, letterario e artistico.

Più importante, ai fini della protostoria fantascientifica, fu l’apparizione de L’Illustrazione popolare (1863) ad opera dei fratelli Treves, perché raggiungeva un più vasto pubblico, perché illustrato, e perché, quando cinque anni dopo assunse il nome di L’illustrazione italiana, si avvalse di firme illustri.
E ancora, più tardi: a Milano Il trovatore e La natura, a Genova La scuola e la famiglia, a Torino Il giornale delle donne. E, più importante fra tutti, La Tribuna di Roma iniziò la pubblicazione di un supplemento settimanale illustrato, La Tribuna illustrata, nella cui redazione vi erano fra i migliori giornalisti dell’epoca e che appariva più moderno e di più vasto interesse rispetto a L’illustrazione italiana.

Un numero di “Il Museo scientifico, letterario e artistico. Ovvero scelta raccolta di utili e svariate nozioni in fatto di Scienze, Lettere ed Arti belle” (Torino, Alessandro Fontana, 1846). Anno ottavo.

L’interesse per la scienza, presente in un pubblico medio italiano in formazione, s’infiltrava attraverso temi di cultura generale.
Tra l’altro, fu su questi periodici che cominciarono a circolare Poe e Hoffmann.

A dare una svolta fu l’editore Sonzogno – che si mise a contrastare il potere editoriale dei Treves, intervenendo su un crescente interesse per l’argomento – con un periodico popolare “specializzato” dal titolo Il giornale illustrato dei viaggi, e delle avventure di terra e di mare (1878), le cui materie, facilmente deducibili dalla testata, erano trattate in modo saltuario dagli altri periodici e raramente in forma narrativa.
Materie trattate importando idee e prose straniere, sullo spirito dell’epica colonialista che gli altri paesi europei stavano vivendo, e soprattutto importando dalla Francia, vuoi per la vicinanza geografica vuoi per l’affinità della lingua e infine per una relativa comunanza di interessi politici; ma pur sempre letteratura fantastica.
E non ancora fantascientifica, se non si vogliono considerare scienze degne di questa accezione la geografia, la botanica e la zoologia, e l’antropologia.
Infatti Il Giornale illustrato di Sonzogno usciva sulla falsariga di un settimanale francese, di cui riportava addirittura lo stesso titolo di testata fedelmente tradotto, oltre che traduzione di molto materiale straniero.

Questa sudditanza culturale italiana, dovuta al fatto che l’Italia era stata preda per molto tempo di altre nazioni e soffocata nella coscienza e nell’originalità culturali, naturalmente non risultò applicabile a un tipo di cultura superiore, ossia non di largo consumo, cioè non “popolare”. E sufficiente citare il Manzoni?

D’altra parte, dobbiamo ricordare che l’Ottocento romantico italiano, a differenza di quello francese, tedesco e inglese, era stato povero di narrativa fantastica, “fantascientifica” e comunque non realistica, perché tutto proteso a una funzione di politica risorgimentale.
Da noi, in quel periodo, andavano i romanzi storici e di appendice (magari sediziosi), e già fin d’allora gli scrittori italiani che avrebbero potuto dare luogo a una letteratura alternativa non trovavano editori e si davano a quella fuga di cervelli che, mi pare, è diventata una vera piaga nel tempo a venire. Cioè pubblicavano all’estero ed entravano di contrabbando in Italia, proprio in virtù di quei romanzi sediziosi. Lo sapevano bene gli editori-tipografi svizzeri del Canton Ticino.
La letteratura fantastica italiana, però, a questa stregua restava a un punto morto.

Fu comunque attraverso le pagine del Giornale illustrato dei viaggi, e delle avventure di terra e di mare che i giovani italiani conobbero i romanzi di Jules Verne, le storie di Louis Boussenard, Gustave Aimard, Louis Jacolliot, Mayne Reid, tanto per citare alcuni tra i più famosi.

Un numero di “Il giornale illustrato dei viaggi”, 1899

Un numero di “Illustrazione popolare, Giornale per le famiglie”, N. 84, 1895 (Fratelli Treves).
Gli esemplari completi sono rivestiti di un foglio azzurrino che riportava la testata del giornale e le prime forme di pubblicità.

I precursori italiani

L’Italia, terra ricca di marinai e di esploratori, perché non emergeva almeno nel panorama della letteratura esotico-avventurosa?

Gli interessati, una volta ritornati in patria, si limitavano a scrivere relazioni di viaggio. E a nessuno veniva in mente di farne dei romanzi o delle opere di narrativa fantastica.
I famosi esploratori Luigi Robecchi-Brichetti, Giuseppe Maria Giulietti, Gustavo Bianchi, Vittorio Bottego, scrissero eccellenti relazioni ma nessun esercizio di fantasia.
Soltanto tempo dopo, Vittorio Augusto Vecchi con lo pseudonimo di Jack La Bolina, e Guido Milanesi, scrissero romanzi marinari, ma nessuno dei due si inserisce nel fantascientifico che vorremmo trovare.

Con queste premesse, pareva che l’Italia non avesse nessuna voce in capitolo per creare un qualcosa di suo nel narrativo avventuroso, ma non fu così: un uomo, desideroso di viaggiare e a cui fu concesso di farlo solo con la fantasia, pubblicò un primo libro a puntate nel 1883 su un settimanale milanese, La Valigia, giornale illustrato di viaggi (Sonzogno), dal titolo I selvaggi della Papuasia. Fu l’esordio e l’inizio di un successo che dura ancora oggi. Quell’uomo era Emilio Salgari, considerato uno dei precursori della fantascienza in Italia. Seguì Una favorita del Mahdi del 1887, per ora avventura pura e semplice.

Il primo romanzo compiuto di Jules Verne nasceva nel 1863 (Cinque settimane in pallone), a cui seguì Viaggio al centro della Terra nel 1864 mentre, a ventiquattro anni di distanza, nel 1888, Salgari dava alle stampe Duemila leghe sotto l’America (pubblicato anche col titolo di Il tesoro misterioso.
È lecito dichiarare che il 1888, per l’Italia, segna l’inizio della letteratura fantascientifica più direttamente legata alla scienza?

Si sa, le cose si preparano pian piano. In realtà, anche in Italia erano già apparse testimonianze significative di questo nuovo genere letterario, anche se non nell’accezione propriamente moderna che si dà alla letteratura fantascientifica oggi.

I nostri protofantascientifici sembrerebbero essere: a sfondo utopico, Guglielmo Folliero De Luna con I misteri politici della Luna (1863) e Carlo Dossi con L’isola felice (1874).
A sfondo avveniristico, Antonio Ghislanzoni con Abrakadabra, storia dell’avvenire (pubblicato a puntate nel 1864 e raccolto in volume nel 1884).
A sfondo “astronautico”, Ulisse Grifoni con Dalla Terra alle stelle, viaggio meraviglioso di due italiani ed un francese (1887).
A sfondo moralistico-anticipatore, Paolo Mantegazza con L’anno 3000 (1897).

Emilio Salgari: Duemila leghe sotto l’America (Guigoni, 1901)

Paolo Mantegazza: L’anno 3000 (Treves, 1897)

Ulisse Grifoni: Dalla Terra alle Stelle, viaggio straordinario di due italiani ed un francese (1887 e successive ristampe)

Inìsero Cremaschi, nell’introduzione a Universo e dintorni, 29 racconti italiani di fantascienza (Garzanti, 1978), inserisce tra i primi precursori che ci offrirono “inattese e prodigiose tramature avveniristiche” Tommaso Campanella con La città del sole, L’Ariosto e il favoloso viaggio di Astolfo sulla Luna. Una perla di vera fantascienza la indica nell’opera Navis Aerea di Berardo Zamagna.
E cita ripetutamente e a ragione ben veduta Giacomo Leopardi: in Palinodia, Proposta di premi fatta all’Accademia dei Sillografi e le Operette Morali, si leggono proposte logico-fantastiche che, continua Cremaschi, “potrebbero offrire materiale prezioso per le correnti più modernamente filosofiche della science-fiction di oggi”.

Giacomo Leopardi: Opere di Giacomo Leopardi, Operette morali (Napoli, Saverio Starita, 1835). Prima edizione delle opere leopardiane.

Il vero problema era che in Italia, pur essendo già apparsi dei libri, non esisteva alcun periodico che fosse dedicato a questo genere di letteratura.

Con l’impulso all’alfabetizzazione, fra il 1900 e il 1910 erano apparse numerose testate rivolte ai bambini e ai ragazzi. Spiccava il Corriere dei piccoli (1908). Fu su questo periodico che cominciarono ad essere importate le tavole a fumetti americane (sebbene il fumetto fosse sostituito da versetti) e romanzi a puntate di origine straniera, come le storie di René Thévenin.
Allo stesso tempo, per gli adulti usciva La Domenica del Corriere (1899) dove si affermarono decisamente romanzi, anche qui a puntate, di origine per lo più francese o inglese, e di genere poliziesco, o avventuroso storico, o paradossale, o narrativa dalle sfumature più o meno velatamente scientifiche: fu così che, in Italia, apparvero Conan Doyle, Wells, Poe.
I loro lavori furono raccolti successivamente dal famoso settimanale in una pubblicazione mensile che usciva circa a metà mese intitolata Il romanzo mensile, per creare pubblicazioni di basso costo e di facile maneggio.

Un numero del “Corriere dei Piccoli”, 12 gennaio 1941-XIX, Anno XXXIII, N. 2.

Un numero relativamente recente di “La Domenica del Corriere”, N. 46, Novembre 1954

Nello stesso decennio, per il pubblico degli adolescenti, nascevano settimanali dedicati esclusivamente all’avventura. Avevo già accennato a Il giornale illustrato dei viaggi di Sonzogno, che la faceva da padrone.

A Genova, invece, a cura dell’editore Donath, si pubblicava Per terra e per mare, il cui direttore era lo stesso Salgari, e che aveva la straordinaria prerogativa di pubblicare quasi tutte opere italiane.
Oltre a numerose opere di Salgari, comparivano anche romanzi o racconti brevi di giovani scrittori italiani, come Luigi Motta e Mario Contarini.

A Como, con gli stessi intenti genovesi e lo stesso formato tipografico in quarto, veniva dato alle stampe Il Giornale dei Viaggi (i marchi commerciali non erano ancora regolamentati e se Sonzogno pubblicava con lo stesso titolo era uno dei mali minori). Lo dirigeva Anton Giulio Quattrini, scrittore di avventure, pirati e corsari.

Sebbene le testate avessero avuto vita breve per diversi motivi e importino poco in questo contesto, importa invece sapere che, in qualche modo, vi erano apparsi alcuni degli elementi che fanno la fantascienza.
Si riscontravano, cioè, elementi che oggi chiameremmo parapsicologia e alcune tematiche, dapprima sviluppate letterariamente, e poi implementate in senso dottrinario da H. G. Wells.
Alcuni esempi si trovano in Iginio Ugo Tarchetti con i suoi Racconti fantastici e Luigi Capuana, convinto assertore dello stile di Wells. Tra i suoi fantascientifici, di quest’ultimo cito Nel regno delle scimmieLa città sotterranea, L’acciaio vivente.
Inoltre comparivano temi spiccatamente scientifici, anche se trattati più con fantasia che con una preparazione adeguata. Vedi i salgariani Attraverso l’Atlantico in palloneLe meraviglie del duemila e Il Re del mare.

Iginio Ugo Tarchetti: Racconti fantastici (Treves, 1869). Frontespizio della prima edizione.

Luigi Capuana: Quattro viaggi straordinari (Introduzione di Gianfranco de Turris), Solfanelli, 1992.
Il volume raccoglie i racconti Nell’isola degli automi, Nel regno delle scimmie, Volando, La città sotterranea.

Emilio Salgari: Il re del mare (A. Donath, 1906).

Di Luigi Motta, per il fine protofantascientifico che ci si propone, senz’altro vanno citati L’onda turbinosaIl tunnel sottomarinoIl vascello aereoI tesori di Mäelstrom.
Aggiungo anche La battaglia dei ciclopi, strano romanzo di fantapolitica scritto negli anni Trenta in cui Motta predice con esito positivo la riscossa indiana dal dominio inglese e perfino la temporanea frattura tra Dominion del Pakistan e Dominion dell’India nel 1947.
In estemporanea, nell’edizione che ho avuto modo di leggere (Milano, Edizioni O.L.M., 1935) c’è una strana asincronia tra la narrazione e il corredo delle illustrazioni presenti o, perlomeno, di una delle illustrazioni, in cui vengono raffigurati robot al posto di esseri umani durante l’incursione aerea (il che non corrisponde a verità nel contesto narrativo). Al che, mi verrebbero da pensare molte cose: ammesso che l’illustratore non abbia letto il romanzo prima di illustrarlo – e potrebbe tranquillamente essere vero – e si sia affidato solamente alla dicitura che contraddistingue la collana in cui è assimilato il testo, e cioè “Ciclo dei tempi Futuri”, quanto l’illustrazione era già andata avanti rispetto alla narrazione in quegli anni? O si trattava di un espediente editoriale per attirare maggior clientela? Forse entrambi.

Luigi Motta: La battaglia dei ciclopi ( Milano, Edizioni O.L.M., 1935)

Tavola fuori testo di La battaglia dei ciclopi di Luigi Motta

Altri di quegli anni che occorre menzionare perché stavano preparando il terreno al genere fantascientifico più propriamente inteso furono Carlo Dadone (Il barbiere dei morti), Virginio Appiani (Le strane avventure del capitano José Cabral e I segreti della morta), Maurizio Basso (L’invenzione di Tricupi), un certo Comandante X, autore di un’opera di fantaguerra dal titolo La guerra d’Europa 1921-23, Giustino Ferri (La fine del secolo XX), Giampiero Ceretti (L’impero del cielo) per una previsione tecnologico-militare con intervento extraterrestre, ma ormai siamo già arrivati al 1918, Antonio Beltramelli (Gli uomini rossiIl Cavalier Mostardo), Giorgio Cicogna (I ciechi e le stelle).

In particolare considerazione va tenuto Enrico Novelli, più conosciuto come Yambo, grande illustratore e prolificissimo autore di racconti fantastico-avveniristici: AtlantideManoscritto trovato in una bottigliaFortunato per forzaIl Re dei mondiGli esploratori dell’infinito; e molti altri ancora.

Alcune vecchie edizioni di Yambo.

Gli anni Venti e Trenta, e oltre. I pionieri italiani

La politica editoriale dei settimanali cominciò a dare frutti e sempre nuovi scrittori cominciarono a cimentarsi nell’avventura, sconfinando nella primigenia fantascienza.
Senza citare la letteratura “maggiore”, dai futuristi a Luigi Pirandello a Giovanni Papini, troviamo in prima linea ancora Yambo, ancora Luigi Motta, Calogero Ciancimino, Gastone Simoni, Nino Salvaneschi, Edgardo Baldi, Vittorio Emanuele Bravetta, Giorgio Cicogna (morto sperimentando un motore a razzo), Giorgio Scerbanenco, Gustavo Risolo, Guido Pusinich, Luigi Barberis, Mario Contarini, Guglielmo Stocco.

Pur non essendo sempre una letteratura di alta qualità, l’effetto che si creò in seguito a questa ondata di nuovi scrittori fu un’indicazione di “genere”.
Per esempio, Il giornale illustrato, che dall’inizio della Prima guerra mondiale aveva cominciato ad accogliere una crescente produzione italiana, cominciò a definire il contenuto dei racconti e, per quanto riguarda il presente discorso, etichettò questa letteratura come “I racconti del mistero”, dove il senso era l’uscita da una realtà concreta e materiale e la proiezione verso altri mondi.

Al contrario, restavano integrati nel genere di avventura vera e propria quei romanzi che, pur avendo al suo interno un’argomentazione con presupposti scientifici, narravano storie facenti parte dell’ordine naturale delle cose, come con i romanzi di Verne, definiti mai fantastici, ma piuttosto straordinari.

Non mancano opere di interesse protofantascientifico tra gli scrittori futuristi, come l’ avveniristico e anticipatore di tematiche estremamente attuali La fine del mondo (1921) di Volt, pseudonimo di Vincenzo Fani Ciotti. O Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti (1909, e 1910 per la traduzione italiana).

Volt: La fine del mondo (Vallecchi, 2003). A cura di Gianfranco de Turris.

Filippo Tommaso Marinetti: Mafarka il futurista. L’edizione Sonzogno del 1920.

Anche se in Italia si registrò una nostra fantascienza organica e conseguente soltanto dopo il 1945, una fantascienza vera e propria fece già breccia nel nostro paese durante gli anni Trenta con le storie a fumetti di Flash Gordon.

Il settimanale L’avventuroso, nato a Firenze nel 1934, per anni comprò in blocco le storie a strisce di parecchi personaggi americani. Importò, cioè, la “visione statunitense” della fantascienza a partire da Flash Gordon, un prodotto veramente popolare che si serviva della scienza senza soffermarsi troppo su disquisizioni complicate e spesso improbabili. Fu un successo enorme.

L’esperimento pionieristico di L’Avventuroso diede una svolta al gusto del pubblico italiano. Molti editori per ragazzi cominciarono sempre più a dare spazio al fumetto, riducendo progressivamente le pagine di narrativa scritta, nonostante l’ostilità ufficiale verso le storie narrate graficamente, considerate diseducative alla lettura e alla riflessione.
La Seconda guerra mondiale, le sanzioni economiche all’Italia e le pressioni dei pedagogisti sul governo fascista rallentarono considerevolmente non solo l’affermazione dei fumetti (che erano merce da importazione), ma anche la possibilità di sviluppare una nostrana solida fantascienza. Ci fu, però, un episodio significativo che mostra come in Italia ci fosse un gran fermento.

Flash Gordon su “L’avventuroso, Grande settimanale d’Avventure”, Anno I, Numero 2, 21 Ottobre 1934-XII (Nerbini editore).

Nonostante le avverse condizioni storiche, in quegli anni circolavano nelle edicole delle maggiori città i cosiddetti pulp magazines, riviste popolari economiche, tra cui non mancavano quelli spaziali, in linea con Amazing Stories, e altri di genere aeronautico.

Armando Silvestri, caporedattore della rivista aeronautica L’Ala d’Italia, nel 1938 progettò di impostare un gruppo di riviste destinate all’avventura, e sovvenzionate dall’Editoriale Aeronautica presso cui lavorava.
Il programma era quello di differenziarle nel seguente modo: L’Avventura (entro uno scenario terrestre), Avventure del MareAvventure del CieloAvventure dello Spazio.
Purtroppo, per vari motivi, cioè l’esclusivo interesse della direzione per l’argomento aeronautico, lo scetticismo verso la fantasticheria spaziale, e non ultimo il precario stato economico del periodo, si realizzò solamente Avventure del Cielo, che uscì nel 1938 e chiuse nel 1943.

Gianfranco De Turris, a questo proposito, in Quarantacinque anni di fantascienza in Italia (1997) scrisse: “Vi fu (…) un tentativo che merita di essere ricordato per la sua novità ed originalità e che, se si fosse risolto positivamente, avrebbe di certo modificato la storia dell’editoria fantascientifica nel nostro Paese. (…) Se avesse visto la luce “Avventure dello Spazio”, per il quale Silvestri pensava d’ispirarsi alle varie “Amazing” e “Astounding” che aveva potuto acquistare ed esaminare, la storia di questa narrativa in Italia sarebbe stata diversa da come noi tutti l’abbiamo conosciuta. Ma questa è solo ucronia (…)”

Mal comune mezzo gaudio: resta consolante il fatto che, anche negli altri paesi europei, pubblicazioni specializzate come quelle che erano nell’intenzione di Silvestri non esistevano ancora. E perfino in Canada, a ridosso degli Stati Uniti, bisogna arrivare al 1941 e addirittura più in là, per trovarne.

Una pubblicazione di divulgazione scientifica di Armando Silvestri: La tecnica del secolo (Vallardi, 1956).

Nell’immediato dopoguerra, Armando Silvestri fu, comunque, creatore e promotore di un’altra rivista, la quale fece storia nella fantascienza italiana: Oltre il Cielo (1957), quindicinale stampato in rotocalco con foto e illustrazioni e dedicato all’astronautica, alla missilistica e alla divulgazione scientifica.
Rivista che si affiancava a un’altra di aeronautica, Ali Nuove, ripresa dopo la parentesi della guerra, e che traeva origine da Cielo, un altro periodico aeronautico diretto da Publio Mangione insieme a Silvestri.

L’importanza di Oltre il Cielo sta nel fatto che, benché dedicata alla nascente scienza astronautica, aveva il coraggio (e la lungimiranza) di abbinare una sezione fissa riguardante la fantascienza.
Inoltre, dopo aver ospitato racconti di autori stranieri soprattutto all’inizio, affiancò ad essi anche quelli di autori italiani, “ma senza pseudonimo” (sottolineo senza pseudonimo perché, solitamente, i nostri autori inglesizzavano la paternità dei racconti, in virtù di un sotterraneo luogo comune che si era andato affermando, per cui la fantascienza potesse arrivare solo dal mondo anglofono).
Ben presto questi ultimi divennero la regola sino a giungere, a conclusione di un’esperienza quindicennale, a un totale di 475 racconti e 12 romanzi a puntate dovuti a più di cento nostri scrittori.

Oltre il cielo, Numero 15, Anno II, 16-30 Aprile 1958.

Questi emergenti pionieri italiani, illustri sconosciuti ai più, fino ad allora avevano pubblicato solitamente su periodici e quotidiani di provincia.
Con l’avvento di Oltre il cielo di Silvestri, i loro nomi cominciarono a sfilare narrando fantasie scientifiche, avventure esoteriche, futuri immaginari, viaggi extraterrestri e, soprattutto, molti ebbero la “sfacciataggine” di ambientare le loro storie in territorio italiano. E dico sfacciataggine perché era un altro luogo comune che una mutazione genetica in Brianza o un’eroina o un eroe che non si chiamassero Mary o Bob non fossero plausibili, o che piazzare una deflagrazione atomica nei pressi di Roma potesse suscitare il ridicolo, mentre sarebbe stata perfettamente plausibile che accadesse nel Texas.

Si affermarono Sandro Sandrelli, Eugenio Viola, Giovanna Cecchini, Feliciano Nurri, Luigi Berto, Guido Ruggieri, Gian Luigi Gonano, Mario Stollo, Toti Celona e N. L. Janda (pseudonimo di Lino Aldani), Renato Pestriniero.

Sulle pagine di questa rivista si sono formate almeno due generazioni, non solo di lettori, ma anche di narratori e critici che poi hanno continuato la loro attività sulle testate degli anni Settanta e Ottanta giungendo anche in posti di prestigio.

Per alcuni anni la rivista di Armando Silvestri e Cesare Falessi (giornalista, scrittore autore di ottimi racconti, cofondatore e direttore della rivista dal 1957 al 1961), rimase sola a difendere il principio che anche gli italiani potevano scrivere della buona e spesso ottima fantascienza con idee originali, coerente, appassionante, ben organizzata narrativamente, firmata a chiare lettere dai nostri autori, per dilettanti che fossero.
Essa si trovò così ad essere la prima vera palestra dei nostri fantascrittori, almeno per la narrativa breve.

Altri scrittori nostrani comparvero sulle riviste Super fantascienza illustrata, I Romanzi del Cosmo e Galassia, nate in quel periodo.

Si cominciarono a leggere i due poeti Liana De Luca e Roberto Sanesi, Carlo Bordoni, Armando Lucchesi, Manrico Viti e Roberto Bonadimani il quale, più tardi, si dedicò al fumetto pubblicando nel 1977 Cittadini dello spazio.
Una menzione particolare al caso di Luigi Rapuzzi – che si firmava con lo pseudonimo di L[ouis] R. Johannis – perché superò i limiti letterari dell’imitazione sul modello statunitense, pubblicando Quelli dello Spazio nel 1954, per i tipi milanesi di Edizioni Librarie Italiane, in Superfantascienza.

Un paio di numeri di Super Fantascienza illustrata.

I Romanzi del Cosmo, N. 103, 1962 (Ponzoni editore).

Galassia, Maggio 1967, Anno VIII (La Tribuna editore).

Nel 1950, anche il periodico Ali cominciò a incoraggiare i nostri scrittori sulla via fantascientifica e Lionello Torossi, curatore della serie Scienza fantastica, destabilizzò il pregiudizio che la nostra tradizione umanistica escludesse la possibilità di creare una letteratura ispirata alla scienza.

Sempre negli anni Cinquanta, fu Giorgio Monicelli, nipote di Alberto Mondadori, a dare vita alla fortunatissima collana I Romanzi di Urania, bimensile formato digest, e alla rivista Urania, con racconti brevi, articoli di divulgazione scientifica, romanzi a puntate e una rubrica di corrispondenza.
Il primo numero de I Romanzi di Urania uscì l’1 ottobre 1952 e fu Le sabbie di Marte di Arthur C. Clarke. Bisognerà arrivare ai primi anni Sessanta per trovare, in Italia, le sue prime opere in volume.

Arthur C. Clarke: Le sabbie di Marte ( I Romanzi di Urania, N. 1, 10 ottobre 1952).

Un numero della rivista Urania, Rivista mensile di avventure nell’universo e nel tempo, N. 14. 1 Dicembre 1953.

Per finire: torti ne sono stati fatti tanti, a cominciare dalla non menzionata Roberta Rambelli, tra le prime scrittrici di fantascienza, e straordinaria e prolifica traduttrice di questo nuovo genere, grazie alla quale molti capolavori di fantascienza sono stati conosciuti in Italia.

Con il già citato Giorgio Monicelli il neologismo fantascienza entra dunque nell’immaginario italiano.
Per inciso, fu lo statunitense Hugo Gernsback a coniare, invece, il termine science fiction. Il suo ruolo, fondamentale per questo tipo di letteratura, diede alla fantascienza moderna un significato di genere letterario. Nel 1926 fu lui a creare la prima rivista specializzata di fantascienza, Amazing Stories (Storie stupefacenti), di formato leggermente più grande del pulp tradizionale (cm. 21 x 29). In quel momento la si chiamava ancora scientifiction.

Fu Carlo della Corte, l’autore di Pulsatilla sexuata (la prima antologia italiana di SF pubblicata in una collana non specializzata; Sugar, 1962), a dire: “La fantascienza non si nutre soltanto di mostri a tre occhi e di dischi volanti: le sue ricognizioni penetrano in molti campi dello scibile. Fantascienza è assunzione di dati della realtà d’oggi e di previsioni e ipotesi su quella futura, sollevati al livello di forza rappresentativa”.
Oggi amplierei: in tutti i campi dello scibile umano di tutti i tempi.

Inìsero Cremaschi, con altre parole, scrisse: “La fantascienza, che è alterità contrapposta alla società precostituita, vive sempre delle ipotesi, palesi o segrete, che è in grado di esprimere in quanto espressione letteraria”. Nella prefazione al suo Giungla domestica, Gilda Musa la definì scienti-utopia e, ancora meglio, narrativa fantalogica.

D’altronde, se è vero che la lettura e il suo supporto fisico, cioè il libro, sono la base tecnologica dell’informazione e della conoscenza e quindi di tutto ciò che comprende lo sviluppo e la storia del genere umano, ne consegue che l’ipotesi o la previsione sono un argomento tecnologico per eccellenza della letteratura in generale e, in particolare, di quella fantascientifica, in quanto è il libro stesso ad avere un connotato tecnologico. Tant’è che Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis, autore che potremmo considerare un contemporaneo visto che la sua dipartita risale solo a qualche anno fa, è considerato letteratura fantascientifica a tutti gli effetti, una vera e propria saga della tecnologia umana.
Nel romanzo di Lewis l’ipotesi sta nel coraggio di affrancarsi dalla consuetudine, del così-è-sempre-stato, per lanciarsi nell’esperimento di un’alternativa che non è stata ancora suffragata da fatti ma che potrebbe rivelarsi decisiva per lo sviluppo della qualità vitale umana. Dunque ipotesi è investigare nel futuro, certo, ma anche nel passato, dove risiedono i tesori della memoria dimenticata.

È anche indagine in un presente dove, spesso, ciò che è nuovo è invece un occultato risalito in superficie, o che tenta di risalire.
Si dice che ciò che è magico, in realtà, potrebbe essere un fattore di ignoranza all’interno di una tecnologia non sufficientemente avanzata: il “buon selvaggio” davanti all’ipotesi di una radio che manda canzonette non pensa che sia tecnologia, ma magia o stregoneria. Allo stesso modo l’uomo contemporaneo, di fronte all’insolubile, ancora non pensa “tecnologia”, ma “magia” o “parapsicologia”.

La tecnologia cambia e cambia anche la letteratura fantascientifica e, se si tiene per buono quanto detto, appare chiaro che questa letteratura esiste da sempre. O perlomeno, in ambito letterario esiste a memoria (scritta) d’uomo. Sulla tradizione orale, cioè sulla fonte mitologica ante litteram, il supporto è l’uomo stesso.

Un’antologia a cura di Roberta Rambelli: Fantascienza: guerra sociale? (Silva, 1965).

Si è soliti affermare che la fantascienza moderna nasca tra le due guerre, o dall’esplosione nucleare su Hiroshima. Nella sua fase preistorica, la nostra cominciò negli anni Cinquanta.
Non entrerò in merito alle diatribe su quando, come e dove, si debba parlare di genere fantascientifico, o se la storia letteraria studiata per genere sia un sillogismo artificioso.
Preferisco sottolineare che la nostra letteratura logico-fantastica del dopoguerra passò attraverso un ulteriore difficile periodo, ostacolata da un acceso dibattito culturale avverso all’immaginazione, alla fantasia e alla scienza.
Che ne mortificò l’impulso alla nascita, quasi irrimediabilmente, e i cui risultati possiamo vedere ancora oggi. C’è un bug culturale, in Italia, dopo la fine della Seconda guerra, perché il rifiuto sistematico e a priori di tutto quello che proveniva da un determinato momento storico ha inoltre impedito non solo lo sviluppo naturale di una memoria collettiva artistica, che è stata piegata ma non spezzata nel suo fulgore, ma anche il suo naturale decorso, indispensabile per la stessa evoluzione artistica.

È anche interessante notare come da più parti, e in diversi momenti, ci sia stata se non un’aperta ostilità nei confronti del genere fantascientifico, certamente un sorriso ironico o di sufficienza.
A questo proposito, Pauwels e Bergier scrissero: “Attraverso l’abbondante e straordinaria letteratura detta di fantascienza, si distingue (…) l’avventura di uno spirito che esce dalla adolescenza, si piega alla misura del pianeta, si impegna in una riflessione su scala cosmica e colloca diversamente il destino dell’uomo nel vasto universo. Ma lo studio di una tale letteratura, così paragonabile alla tradizione orale degli antichi narratori, e che testimonia moti profondi dell’intelligenza in cammino, non è cosa seria per i sociologi”.
Appare denso di ironia come questo libro di Bergier e Pauwels spesso sia, ancora oggi, catalogato entro gli scaffali della “parapsicologia e magia”, con accezione di ciarlataneria, non certo di scientificità in quanto studio del “realismo fantastico”. Sono passati più di cinquant’anni da che fu scritto e ancora oggi stupisce, invece, di quanto sia attuale e di quanto continui ad essere profetico, a posteriori, nella misura in cui sia rimasto inascoltato e inevaso. Ma proprio questo tacito occultamento mi fa pensare e mi conferma quanto i due autori avessero ragione nel parlare di verità occultata, o ri-velata.

Infine, a onore del vero, occorre menzionare che, se questo breve saggio fosse stato una protostoria e storia della letteratura dell’orrore piuttosto che della letteratura fantastica, molti dei titoli o degli autori citati ne farebbero parte. Probabilmente la letteratura, la parola scritta che resta nel tempo, in accordo con l’inconscio collettivo umano che continuamente la vivifica, si nutre di così tanti e tali molteplici aspetti da sfuggire ad ogni arbitrio razionale, alla volontà di denominarla.

Ma questa non è più protostoria né storia di un “genere”.

Carlo Della Corte: Pulsatilla sexuata (Sugar, 1962).

 

 

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3 commenti

  1. Leggo poca fantascienza, ma quando lo faccio preferisco rivolgermi a questi pionieri, anche se piuttosto recenti rispetto a quelli che hai menzionato nell’articolo. Il mio preferito senz’altro Jimmy Guieu, che col suo Les Pionniers de l’Atome mi ha fatto davvero sognare. Leggere questi autori oggi è come tornare ad avere quello sguardo ingenuo ma genuino di un tempo. E’ strano notare che alcuni film e serie recenti rivolgano a dei modelli del passato, come Star Wars e Star Trek.

  2. Ritengo che la moderna fantascienza nasca col Frankenstein della Shelley: http://www.futureshock-online.info/pubblicati/fsk62/html/shelley.htm

  3. […] appartenente alla nuova generazione che ha raccolto l’eredità di quelli che ho definito pionieri qui, nel capitolo dedicato all’Italia, Giuseppe Lippi è stato, e lo è tuttora, tra i maggiori a […]

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