DOTTOR KILDARE TRA ROMANZI, FILM, RADIO E FUMETTI

dottor kildare

Sfogliando l’episodio del Dr. Kildare, uscito in appendice a un albo di Flash Gordon dei Fratelli Spada negli anni sessanta, e che vediamo riprodotto per intero alla fine dell’articolo, i miei ricordi volano indietro nel tempo.
A quando, bambino, compravo albi spaiati di Gordon nelle “buste”, dove una volta le rese dei fumetti venivano redistribuite nelle edicole a un prezzo nettamente inferiore a quello di copertina.
Poi, quando ho acquistato la serie completa del Flash Gordon di Alex Raymond, pubblicata dai Fratelli Spada alla fine degli anni settanta (vendettero anche le copertine in brossura tant’è che oggi li conservo rilegati), il dottor Kildare non c’era più.

Le serie sul dr. Kildare sono state un fenomeno importante e di grande animazione, culturale e sociale, non solo di divertimento, in America.
Dal dr. Kildare nasce un sottogenere che ha avuto sviluppi di ogni tipo e che, ancora oggi, ha successo.
Il sottogenere si definisce genericamente “ospedaliero” in Italia e più rigorosamente medical drama nei paesi anglosassoni, e può essere inserito in un contesto melodrammatico, psicologico, satirico, addirittura comico.
In effetti tutto può accadere in una struttura sanitaria e tutto può riflettere i tempi e il mondo in cui le storie vi si svolgono.
Proprio per questo è interessante vedere come la maggiore durata e la maggiore coerenza dei temi del dr. Kildare siano da riscontrare nel fumetto che ne è stato ricavato.

La serie cinematografica, composta di sedici film realizzati dal 1937 al 1947, diventò, nelle mani del dirigente progressista della Mgm, Dore Schary, senza che nemmeno lui se l’aspettasse, un simbolo della rinascita dalla Grande Depressione e delle politiche riformatrici di Franklyn Delano Roosevelt.

Infatti, in questi film, la sanità è rappresentata come un bene pubblico, un servizio per tutti, all’interno di una società dove le classi sociali devono, bene o male, volenti o nolenti, affrontare le problematiche del New Deal.
Il borghese qualunque e il delinquente, il disoccupato e l’imprenditore di successo, l’uomo tranquillo e il disadattato, il ricco e il povero, il wasp e l’afroamericano, l’erede dei pellerossa e altre minoranze etniche, trovano nell’ospedale il teatro dei loro disagi, dei loro bisogni, dei loro pregiudizi e delle loro aspettative.

Ed è simbolico l’episodio – in The people vs dr. Kildare del ’41 – in cui si vede Kildare, che agisce al Blair General Hospital di New York, ricorrere, per salvare un paziente bianco, ad un altro ospedale, composto solo da personale di colore, mettendo così in luce il segregazionismo che era ancora radicato nella società americana degli anni Trenta-Quaranta anche al nord.

Laraine Day interpreta l’infermiera perennemente innamorata del Dr. Kildare (Lew Ayres)

 

Il successo del serial provocò un afflusso al General Hospital per cui il dipartimento della Sanità dovette far costruire dieci nuovi padiglioni ed imporre la cernita senza pregiudizi di sorta di primari, medici, infermiere e barellieri.

E il richiamo non venne meno neanche quando il protagonista, Lew Ayres, dichiarandosi obiettore di coscienza e arruolandosi nella Croce Rossa pur sui fronti più insanguinati, all’intervento degli Stati Uniti nella guerra mondiale fu espulso dalla serie e sei film furono girati senza di lui.

In realtà, inizialmente, l’idea di utilizzare il personaggio di Kildare venne ai produttori Walter Wanger e Ben Glazer della Paramount che, già nel ’35, avevano realizzato Mondi privati (Private words), il primo film ambientato in una clinica psichiatrica (un’ottima opera ancora oggi, affidata ad un regista notevole, Gregory La Cava, ed elaborata intelligentemente da un libro di successo della narratrice inglese Phillys Bottome, specializzata in drammi sentimentali) in cui, nel ruolo dell’attor giovane (o dovremmo dire del “dottor giovane”) compariva Joel McCrea il quale, sotto contratto con la casa, era già uno dei divi più importanti dell’Hollywood del tempo.

Inevitabilmente, quando uscirono ed ebbero uno straordinario successo i romanzi di Max Brand dove appare il dr. Kildare, Wanger e Glazer misero immediatamente in produzione La figlia perduta (Internes can’t take money, del ’37, diretto da Alfred Santell) con protagonista McCrea insieme all’anch’ella già affermatissima Barbara Stanwyck, da un soggetto originale di Brand scritto per l’occasione.

Ma La figlia perduta, proprio per la notorietà dei due attori principali e la storia che li tiene insieme, sfugge alle caratteristiche della produzione a medio costo per imporre Kildare come coprotagonista di una vicenda in cui sono soltanto una parte della vicenda le vicende ospedaliere che diventeranno tipiche delle sue avventure successive.

Bisogna quindi attendere Dore Schary e la Mgm, che comprerà tutti i diritti delle opere di Max Brand con Kildare protagonista, perché l’avventura visiva del personaggio e del suo ospedale abbia inizio con tutte le sue caratteristiche salienti.

Max Brand (1892-1944) era un autore di letteratura pulp.
I suoi più grandi successi erano stati pubblicati o su volumetti a basso costo o sulle riviste popolari. La sua produzione era tanto folta quanto corriva e si contano abbia usato almeno dieci pseudonimi, oltre a quello con cui lo conosciamo, per nascondere le sue origine teutoniche e un po’ imbarazzanti: Frederick Schiller Faust.

Il suo più grande successo, fino ad allora, era stato l’invenzione di Destry, uno dei personaggi con cui il genere western diventerà, come si disse poi, “maggiorenne” e da cui era stato tratto, nel ’39, un prototipo essenziale del film di frontiera dove umorismo, sensualità e avventura, si mescolano con una maestria mai superata per i tempi: Partita d’azzardo (Destry rides again di George Marshall) con personaggi che diventeranno poi proverbiali, su cui dominano un sornione e simpaticissimo James Stewart e una voluttuosa, seducente (anche quando canta in inglese canzoni del repertorio country) e commovente Marlene Dietrich.

Il personaggio di Kildare gli era stato suggerito, in mancanza di ispirazioni thriller (in cui si rifaceva ovviamente ad Hammett e Chandler) o melodrammatiche (in cui era superato dalle scrittrici femminili), dall’opera di Archibald Cronin, lo scrittore scozzese, medico di professione, che aveva fatto delle sue esperienze personali grandi romanzi che ebbero famose riduzioni cinematografiche e televisive e che il pubblico italiano ha sempre amato, almeno fino a una ventina d’anni fa, attraverso la sua opera completa, tutta vanto di Valentino Bompiani, tra cui ricordiamo E le stelle stanno a guardare, La cittadella, Angeli della notte per rimanere nell’ambito “sanitario”.
I film tratti da Cronin ebbero, tra il ’34 e il ’44, un successo planetario oltre ad essere degli ottimi prodotti, alcuni di fattura molto superiore alla media, che avevano lanciato dive e divi.
Tutti quelli con protagonisti dottori e infermiere erano una denuncia delle condizioni della sanità britannica di fronte allo stato deprecabile del lavoro nelle miniere e delle condizioni del proletariato industriale e agricolo.

Quindi, nel periodo in cui Roosevelt aveva lanciato la sua allora originale politica sociale in risposta alla depressione del ’29, Brand aveva sicuramente pensato ad un’imitazione tipicamente americana, senza sapere che sarebbe stato lui l’inventore di un genere mentre Cronin sarebbe salito, anche per le opere estranee all’ambiente nosocomiale, a ben altri ed alti vertici artistici.

I romanzi di Brand, tutti apparsi a puntate, in primis sulla rivista Argosy-All Story Weekly, tra il 37 e il 39, sono soltanto sei, alcuni editi in Italia da Sonzogno come le opere western e avventurose, e tutti sono serviti da base per la serie cinematografica, ma la sua partecipazione alle opere destinate al grande schermo, con soggetti originali o la semplice ispirazione ai personaggi e agli ambienti di sua creazione, conta circa quindici pellicole.

Dopo La figlia perduta i film della Metro Goldwyn Mayer sono quindici e, poiché come vedremo sono stati poi tradotti tutti dalla Rai, possiamo citarli con i loro titoli italiani: Il giovane dottor Kildare (Young Dr. Kildare) (‘38), La difficile prova del dottor Kildare (Calling Dr. Kildare, ‘39), Il segreto del dottor Kildare (The Secret of Dr. Kildare, ‘39), Lo strano caso del dottor Kildare (Dr. Kildare’s Strange Case, ’40), Il dottor Kildare torna a casa (Dr. Kildare Goes Home, ‘40), La crisi del dottor Kildare (Dr. Kildare’s Crisis, ‘40), Il dottor Kildare sotto accusa (The People vs. Dr. Kildare, ‘41), Il dottor Kildare si sposa (Dr. Kildare’s Wedding Day, ’41), La vittoria del dottor Kildare (Dr. Kildare’s Victory, 1942).

Tutti questi film sono interpretati da Lew Ayres che era divenuto celebre fin dal ’30, quando aveva interpretato per la Universal il capolavoro di Lewis Milestone All’ovest niente di nuovo, tratto dall’altrettanto importante libro di Erich Maria Remarque, in italiano Niente di nuovo sul fronte occidentale, un proverbiale best seller contro tutte le guerre che rimase tale, negli Oscar Mondadori, anche in Italia fino ad oltre gli anni Ottanta.
Il dottor Gillespie fu impersonato da Lionel Barrymore, il membro anziano della “famiglia reale di Broadway e Hollywood”, il quale continuò ad apparire nella serie anche dopo che Ayres fu costretto ad andarsene.
La coprotagonista femminile, l’infermiera Mary Lamont, rimase Larraine Day fino a quando, nel ’41, si sposa finalmente con Kildare e non compare, chiamati a più remunerativi impegni cinematografici, in La vittoria del dr. Kildare, ultimo con Ayres.

I film successivi all’abbandono di Ayres sono Chiamata urgente per il dottor Gillespie (Calling Dr. Gillespie, ’42), Il nuovo assistente del dottor Gillespie (Dr. Gillespie’s New Assistant, ‘42), Un caso di coscienza per il dottor Gillespie (Dr. Gillespie’s Criminal Case, ‘43), La scelta difficile del dottor Gillespie (Three Men in White, ‘44), Fra due donne (Between Two Women, ‘44) e Torbidi amori (Dark delusion, ’47), gli ultimi impostati forse alla creazione di un serial parallelo.
Quanto il personaggio fosse ancora sconosciuto in Italia nell’immediato dopoguerra si può dedurre dal fatto che gli unici film esportati anche per il cinema furono il primo, e proprio gli ultimi due che, non a caso, non hanno Kildare nel titolo.

Del resto, con l’esclusione di Chiamata urgente per il dottor Gillespie e Torbidi amori, il personaggio di Kildare, molto più succube a Gillespie, è interpretato da un altro attore sotto contratto con la Metro, Van Johnson, più ricordato poi per le commedie, i musical e le ottime prestazioni drammatiche dell’ultima parte della sua carriera fuori dal legame capestro con la società di Louis Mayer.
Le trame, per l’influsso del conflitto, si mescolano con il thriller spionistico, il cinema di propaganda, e trattano gli effetti psicanalitici sui soldati provenienti dal fronte.
Ma la natura essenziale del General Hospital come centro di accoglienza per qualsiasi tipo di malato sarà sempre, più o meno, rispettata.

Con la morte di Roosevelt finì però questa funzione e, con la “caccia alle streghe” (vedere i numeri 011, 018, 023, 044 e 045, 048 e 050 dell’Almanacco di Teresio Spalla con testi pubblicati principalmente su Scenario e ora presenti sulla mia pagina personale di Facebook) anche Ayres e Dore Schary finirono sulle liste nere.
L’attore fu accusato addirittura da sua moglie – Ginger Rogers – nel clima isterico di quel drammatico e buio periodo.

Va però precisato che nessuno dei due, che non erano affatto dei pericolosi sovversivi ma dei sinceri democratici che s’erano opposti alla violazione della Costituzione come tanti altri personaggi della cultura americana, scamparono a rappresaglie personali e poterono in seguito proseguire la carriera.
Ayres, in particolare, continuò come attore protagonista fin quando non passò alla prosa televisiva e ai ruoli da guest star destinati, in tv, ai divi un po’ attempati.

Raymond Massey (Gillespie) e Richard Chamberlain (Kildare)

 

Bisognerà però attendere la fine definitiva delle “liste nere” perché, nel ’61, il dr. Kildare potesse apparire come protagonista di una fortunatissima serie televisiva.

All’origine dell’idea televisiva vi fu certamente una fortunata serie radiofonica – che praticamente non ebbe interruzioni dal ’39, quando avevano iniziato ad interpretarla Lew Ayres e Lionel Barrymore – fino a quando, nel ’49, fu ripresa, prima con Ayres e poi con altri attori, dalla Mutual Broadcasting System, un’emittente affiliata alla Metro Goldwyn Mayer che trasmetteva su un numero inusitato di stazioni.

E poi non bisogna trascurare l’influsso di altri romanzetti di ambiente medico che continuarono ad uscire interrottamente fino a quelli, pur mediocri, di James Moser che poi diede vita egli stesso alla serie Ben Casey, un’imitazione delle storie del dr. Kildare che lanciò un attore – Vince Edwards – che in seguito venne anche in Europa a girare western di coproduzione italo-spagnola.

Ben Casey, andando in onda per la prima volta il 2 ottobre 1961 per l’Abc, non precedette il nuovo dr. Kildare televisivo di pochi mesi poiché questo, dopo un primo episodio pilota del febbraio 1960 con attori diversi da quelli che poi sarebbero scomparsi e quindi scartato, fu trasmesso per la prima volta il 28 settembre dello stesso ’61.

Può essere una curiosità sapere come Ben Casey (che fu realizzato per sei stagioni, fino al ’66, senza mai raggiungere i livelli di ascolto di Dr. Kildare) non fu affatto, nonostante le sue origini, un prodotto minore.
Nel ruolo del dr. Gillespie della situazione, compariva il grande interprete di cinema e teatro Sam Jaffe, appena uscito dalle liste nere, e Franchot Tone, un altro notevole attore, a suo tempo colonna del mitico Group Theatre (vedi n°011 dell’Almanacco di Teresio Spalla). Non solo ne fu uno degli interpreti principali ma, contemporaneamente, continuò a sostituire Lionel Barrymore, dopo il suo ritiro nel ’52, come dottor Gillespie nell’infinito serial radiofonico.

Sta di fatto che il successo di Il dottor Kildare (come poi fu intitolato in Italia) raggiunse immediatamente un richiamo inarrestabile che portò alla produzione di 190 episodi in cinque stagioni di cui l’ultima raggiunse il livello inusitato di 58 episodi settimanali, tutti con il quasi esordiente Richard Chamberlain (che allora aveva 26 anni) come Kildare e il noto caratterista e premio oscar Raymond Massey (che di anni ne aveva 65) come Gillespie.

Le stagioni duravano allora circa 22 episodi settimanali. Il dottor Kildare fu invece trasmesso per episodiche continuative che non prendevano la tradizionale pausa tra un anno e l’altro e, mentre si costituirono due troupe che giravano due episodi contemporaneamente, gli attori furono sottoposti ad un impegno massacrante.
Ma lo potevano ben accettare dato che erano diventati i divi della tv più pagati del momento.
Massey dichiarò che, nemmeno dopo l’oscar vinto nel ’40, aveva mai guadagnato di più e ottenuto una popolarità così diffusa nel mondo.

Nonostante al tempo i serial televisivi importanti fossero ancora in bianco e nero, Il dottor Kildare, dopo i primi 58 episodi di 30 minuti in bn pensati cautelativamente per il settore pomeridiano dei ragazzi e degli anziani, suscitò tanta attenzione nel pubblico che il network – sommerso di lettere e telefonate e anche un raduno di fans di fronte al General Hospital – fece in modo che i successivi 58 fossero a colori, trasmessi in prima serata, e, fatto inusitato, durassero 60 minuti anziché i consueti 45’ richiamando un numero eccezionale di investitori pubblicitari.
Di solito la programmazione di 45 minuti prevede una durata di un’ora comprendendo 15 minuti di pubblicità. Il dottor Kildare raggiunse una durata di 100 minuti con 40 minuti di inserzioni collocate subito prima, subito dopo e in quattro intervalli durante lo scorrere dei telefilm.
Noi siamo abituati a interruzioni più moderate anche per le serie che esportiamo dagli Usa. Ma questa era, ed è ancor oggi, la tv americana nella sua concezione fruitiva e comunemente accettata dai telespettatori.

Anche nel caso televisivo il Blair General Hospital tornò ad essere il simbolo di una sanità pubblica aperta a tutti e, in alcuni casi, la questione è posta direttamente sia da Kildare che da Gillespie causando interrogazioni al Congresso da chi era contro la riforma sanitaria promossa prima da The great society di Lyndon Johnson (un presidente che, se non si fosse lasciato impantanare nella guerra del Vietnam sarebbe probabilmente passato alla storia come il più riformatore dopo Roosevelt di cui si considerava un coerente seguace) e poi da Bob Kennedy quando fu chiaro che si sarebbe candidato alla Presidenza prima di essere ammazzato come il fratello John.

Nel periodo degli episodi di 30 minuti la tematica era attenuata poiché erano maggiormente messi in luce le fatiche del Kildare degli anni Sessanta per raggiungere la considerazione dell’ospedale e la stima di Gillespie, e inoltre la sede ospedaliera non era nominata.
Ma, dalla seconda, si ritorna al General Hospital di New York e sono i casi dei pazienti ad assorbire le storie del medico e del suo primario.

Quando la serie coincise con l’escalation della guerra vietnamita Kildare passò spesso ad esaminare casi causati dal conflitto, dalle proteste interne e internazionali contro di esso, a rendersi quindi parte delle contraddizioni che il Vietnam aveva posto alla coscienza, specialmente giovanile, degli Stati Uniti d’America.

La canzone dei titoli fu, per un breve periodo, basata sulla famosa Love my tender che cantava Elvis Presley (ma solo la melodia rielaborata dall’esperto autore di colonne sonore Bronislau Kaper) ma, data la situazione, la casa discografica ritenne che la proposta di un tema del tutto nuovo avrebbe fatto vendere una tonnellata di dischi.
Fu allora composta, da Jerry Goldsmith, Three stars will shine tonight che vinse nove “dischi d’oro” ed è rimasta, ancora oggi, il simbolo sonoro della serie e soprattutto del personaggio di Kildare.
Quando il presidente Obama ha iniziato la sua campagna per la statalizzazione della sanità (che come sappiamo non gli riuscì che molto minimamente per l’opposizione del Congresso e della Corte Suprema) furono le note di quella title song a risuonare come commento dei suoi interventi pubblici sull’argomento.

Va comunque aggiunto che, al contrario di Ben Casey e altre serie similari che spuntarono come funghi, non fu scartata, nonostante il costo dei diritti d’autore, l’eventualità, negli episodi appropriati, di far ascoltare le canzoni più celebri del momento per cui, non so quanto guadagnandoci, anche Bob Dylan, Bruce Springsteen, Harry Belafonte e lo stesso Presley, contribuirono al realismo delle storie di Il dottor Kildare.

Poiché la fama liberal (cioè anche vagamente progressista per la recezione delle mille vandee che compongono da sempre gli Stati Uniti) divenne proverbiale fin dall’inizio, la Nbc chiese alla produzione, per la seconda stagione, di sostituire Chamberlain con un attore inglese mentre il problema non si poneva per Massey che era canadese.
Ma, quando si riseppe della notizia, le proteste furono tali che il protagonista, americano di Beverly Hills, rimase lo stesso.
Del resto, a suo rischio e pericolo, aveva accettato un ruolo rifiutato da William Shatner (che poi divenne il comandante Kirk della prima serie di Star Trek dovendo attendere sette anni per interpretare da protagonista una serie che, com’è noto, fu considerata inizialmente di basso cabotaggio finché non esplose, altri sei anni dopo, con le repliche) e James Franciscus il quale finì con l’interpretare una serie minore d’imitazione – Doc Elliott – che, altri tredici anni dopo, durò solo 15 episodi.

È qui bene precisare che, per il pubblico americano più gretto, la presenza di due protagonisti non americani, in quei tempi, provocava un distacco psicologico nello spettatore tra quello che era considerato accettabile solo da un prodotto non locale che poteva essere, per questa mentalità assai sciovinista e un bel po’ ipocrita, anche più avanzato nei temi e meno censurabile, come accadde per The Avengers (da noi Agente speciale) , il primo serial inglese a sfondare il prime time americano, che comprendeva puntate dove il sesso, e altri riferimenti ai mutamenti della realtà mondiale, erano affrontati senza troppo pudore ma con la finezza che ha fatto di quest’opera il simbolo della cultura pop giunta anche in tv grazie alla Bbc.

Poi i tempi cambiarono ancora.
Finirono i favolosi Sixty e, a poco a poco, cominciò l’era del riflusso e della deregulation.

L’albo a fumetti del Dr. Kildare con in copertina, come tipico della Dell, una foto tratta dal telefilm

 

In questo contesto Massey, che già aveva dato prova di scabrosa elasticità morale durante il maccartismo, sostenne la candidatura alla presidenza di Barry Goldwater – il Donald Trump degli anni Sessanta – e i suoi due figli, Anna e Daniel – i quali, per dissapori contro di lui s’erano già trasferiti in Gran Bretagna dov’erano divenuti personaggi noti del teatro e del cinema inglese – ricavarono dalla vicenda, contestando pubblicando le scelte del padre, una fama ancor più solida e duratura.

Chamberlain, la cui omosessualità fu nota solo nell’ambiente fino agli anni Ottanta, si era a sua volta trasferito nel Regno Unito fin da quando la serie era in onda per non rischiare che la sua vita privata potesse venire resa pubblica dai perversi e ricattatori settimanali scandalistici statunitensi.
Ciò non tolse che, tra la fine degli anni Settanta e i primi Novanta, in piena era reaganiana, evitando di schierarsi politicamente, tornò frequentemente in Usa dove interpretò numerosi sceneggiati tra cui, anche in Italia, i più noti furono Shogun e il tremendo melodramma pseudopeccaminoso Uccelli di rovo con cui riacquistò la popolarità della giovinezza ospedaliera.

A testimonianza del cambiamento dei tempi, nel ’72, la serie Il giovane dottor Kildare (The young dr. Kildare), trasmessa frequentemente per anni e anni da noi su emittenti minori o del tutto scalcagnate, effettivamente piuttosto opaca e con attori meno carismatici, non ebbe successo e fu bloccata dopo solo 24 episodi di 45 minuti.

Invece, e questo ci piace notarlo, furono le comic strip a mantenere vivo il dottor Kildare.

C’erano stati, anche prima e durante le prime due stagioni della serie tv, alcuni tentativi di riproposizione sia in fumetto che in romanzo.
Ci furono brevi fenomeni letterari di tipo seriale pubblicati dalla casa editrice Whitman e ci furono altri tentativi destinati al pubblico giovanile, particolarmente sensibile ai temi trattati dai telefilm e mai prima affrontati: dipendenza da stupefacenti (in molti casi causati dall’esperienza vietnamita ma in altri dalle condizioni dei ghetti newyorkesi), malattie veneree (secondo una richiesta formulata direttamente dal presidente Johnson), controllo delle nascite con contraccettivi e aborto, disturbi nervosi (anche questi derivati dalla guerra o dalle condizioni da stress di studenti disadattati come di professionisti di Wall Street) nonché altre questioni sul reinserimento dei reduci.
Chiaramente tutto ciò poteva venire sviluppato ancora più ampiamente in letteratura poiché, come disse lo stretto collaboratore del presidente Thurgood Marshall, “è più facile che una mucca da latte entri indisturbata e vi si sieda in mezzo che la maggioranza dei membri del Congresso abbiamo letto un libro dopo il college, se ci sono stati”.

Al contempo, in quell’epoca, Johnson fu il primo presidente ad accogliere le richieste di Martin Luther King, denunciare in un famoso e acceso discorso il Ku-klux-clan e mandare l’esercito a salvaguardare i diritti degli afroamericani in certi stati del Sud.
Tutto questo ebbe l’apice con la nomina, per la prima volta nella storia degli Usa, di un giudice afroamericano nella Corte Suprema: proprio Thurgood Marshall.
Quindi le lotte razziali, il difficile inserimento degli afroamericani e dei latini, fu un’altra faccenda trattata nel serial che, in alcuni testi scritti, poteva assumere analisi ancor più radicali.
Perciò, tra le tante, si segnalano i romanzi, pur sempre in ambito popolare, di William Johnston, di Robert C. Ackworth, di Norman Daniels.

Le strisce del Dr. Kildare per una intera settimana disegnate da Ken Bald (di domenica esce la tavola a colori)

 

Tra questa rinascenza narrativa si inserirono i disegnatori Robert L. Jenney e Al Anderson che collaborarono ai testi, disegnarono copertine e illustrazioni che si attenevano dichiaratamente alle istruzioni dell’American Medical Association che prestava ufficialmente la sua consulenza alla serie dalla seconda stagione.
Sia Jenney che Anderson tentarono la pubblicazione di Il dottor Kildare a fumetti, sia in strisce che in albi, ma senza successo poiché, la Dell Comics aveva opzionato la possibilità.

Ed infatti il disegnatore Ken Bald iniziò a disegnare le strisce dal ’62 al ’65 fin quando, con la trasposizione in albi collettanei, la Dell Comics non s’impantanò in una causa miliardaria con la Mgm per l’uso della foto di Chamberlain in copertina, cosa ritenuta indispensabile perché le storie apparivano in una collana – la Comic four color – che pubblicava altri personaggi negli stessi giornaletti.

E però le storie con Kildare, nelle strisce di Bald, continuavano ad essere edite su svariati quotidiani associati alla King features syndicate che aveva placcato la serie tv dato che la prima striscia giornaliera apparve quand’era ancora in programmazione la prima stagione, il 15 ottobre 1962.

Ken Bald continuò quindi a disegnarle per i giornali come tavola domenicale sino al 3 aprile 1983 e come giornaliera fino al 21 aprile 1984.
Continuò quindi a pungere, in punta di matita, in piena presidenza Reagan.
Maurice Horn, nel volume a più voci 100 years of american newspaper comics (edito nel ’96) dice: “Bald, pur avendo modellato i suoi personaggi sugli attori della serie televisiva ha disegnato la striscia dr. Kildare con stile legante, sobrio, originale e autosufficiente, tanto da non stonare con l’altra sua creazione più sensuale: Sun Girl”.

Fu la sua serie a fumetti, originalmente in bianco e nero e colorata appositamente per le raccolte in albi, che, ridipinta, io ho letto con passione in coda ai volumi di Gordon di cui ho detto all’inizio e di cui proponiamo, al termine dell’articolo, un intero racconto – Il figlio del miliardario – disegnato da Bald dove, oltre a Chamberlain e Massey (riprodotto però in modo più libero e creativo rispetto all’originale) scorgiamo Edward G. Robinson nei panni di un padre ricco e potente che non comprende la personalità del figlio.
Un tipico racconto nello stile di Il dottor Kildare del cinema, della letteratura, della tv.

Per tornare, infine, al serial televisivo, esso ebbe un grande successo anche in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta e c’è da chiedersi come mai non fu ritrasmesso che una sola volta, negli anni Ottanta, dalla nascente Fininvest.
Si trattava comunque di una scelta delle ultime stagioni, quelle che eseguiva ai suoi tempi la Rai, dove apparivano attori molto celebri come guest star, con un doppiaggio molto buono, la colonna sonora indimenticabile, e a colori.
Chissà in quale magazzino fallimentare, o in quale dimenticato scaffale delle “teche” di via Salaria, stanno oggi prendendo la polvere i nastri di questi telefilm.

La fattura era eccellente. La serie Il dottor Kildare, dal punto di vista della qualità, fu una delle migliori mai realizzate in Usa fino agli anni Novanta.
Inoltre, mentre i serial del tempo rispettavano poco la continuity per privilegiare le storie che potessero attirare appunto guest star di grande richiamo, quella con Kildare conservò sempre un grande rispetto per la tenuta degli ambienti, dei personaggi secondari dell’ospedale, dello spirito innovativo del prodotto.

Come alcuni ricorderanno, Kildare riapparve in tv, nel formato cinematografico, nei primi anni Novanta, quando, grazie al lavoro di ricerca e cura del mio caro amico Nedo Ivaldi, la Rai trasmise numerose serie cinematografiche degli anni Trenta e Quaranta, traducendole e realizzando ex novo sia la colonna sonora che quella musicale e la banda rumori.
Quindi i sedici film furono tutti rieditati con l’eccezione del primo e degli ultimi due che erano effettivamente apparsi sugli schermi cinematografici nell’immediato dopoguerra.
Ma, poiché si trattava di serial destinati al doppio programma, e per di più in tempo di guerra, non era prevista l’esportazione, e non veniva realizzata la “colonna internazionale” su cui imprimere la versione per altri mercati.
Quindi anche i film con Kildare furono doppiati e risonorizzati con gli esigui fondi destinati alla riproduzione cinematografica in bianco e nero. Il che li rende, soprattutto alle orecchie degli amatori, piuttosto ostici se non per la curiosità che suscitano le vicende spesso molto indicative dell’atmosfera del New Deal.

Per altro anche questi, pur con il moltiplicare dei canali pagati dai contribuenti per una programmazione molto discutibile e ripetitiva, non appaiono ormai da anni.
Anche questi, probabilmente, sono stati dimenticati in qualche teca dove apprendisti e funzionari non si scomodano a far visita.

Ciò nonostante, attraverso il fumetto che proponiamo, è possibile rendere ancora la freschezza e la genuinità de Il dottor Kildare.

In Usa, nella prima edizione in dvd, le strisce sono state allegate, nelle custodie, in albetti diffusi tra il 2001 e il 2010.
Poi ne è stata distribuita un’altra versione che sarebbe dovuta apparire da noi ma non s’è mai vista.

Per fortuna potete godervi questa storia disegnata dall’impareggiabile Ken Bald.


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